da pierodm il 18/09/2009, 12:32
Lasciamo stare l'URSS, per brevità e semplicità, dato che prima di affrontare questo aspetto bisognerebbe fare una lunga e complicata premessa per mettere nella giusta evidenza la diversità dei partiti nelle democrazie parlamentari occidentali e il PCUS, o meglio ancora lo pseudo-partito di tutti i regimi totalitari.
Vorrei solo sottolineare che mettere tutto nello stesso calderone è un metodo sicuro per andare fuori strada - lo stesso vale per quelle varie mitologie catastrofiste, complottiste, fantapolitiche, dal complotto giudaico-massonico alle diverse versioni della Spectre mondiale che mette insieme le cricche del Pentagono con i finanzieri di Formosa e con il tesoro nascosto della Germania hitleriana in Paraguay.
Prendo atto con piacere che accetti di affrontare nel merito il discorso che stavamo facendo, e per questo lascio da parte i toni polemici.
Però continuo a non capire come fai a non riconoscere la straordinaria funzione che hanno avuto i partiti nel dopoguerra repubblicano, e ancora prima, nei turbolenti decenni d'inizio secolo, nei quali si sviluppava il contrasto centrato sulla conquista dei diritti da parte di una grande massa di popolazione fin'allora esclusa.
E' ovvio ed evidente che i partiti repubblicani abbiano sofferto dei limiti e dei condizionamenti dati dalla nostra storia, dalla nostra cultura e da certe pesanti presenze che in altri paesi non ci sono - quale quella del Vaticano, soprattutto.
Ma dobbiamo anche renderci conto di quale fosse la situazione di partenza: un paese ancora largamente analfabeta, abituato alla sudditanza più che alla cittadinanza, confuso da vent'anni di autoritarismo fascista, rintronato da una guerra devastante, e proiettato di colpo ad uno sviluppo economico che non poggiava però su un capitalismo e una borghesia con una consolidata cultura liberale, e con istituzioni che conservavano le strutture e la mentalità non solo fasciste, ma per molti aspetti ancora borboniche.
Il PCI, il PSI, ma anche il movimento di Giustizia e Libertà, quello Radicale, i Repubblicani, e la stampa, le idee che circolavano nella comunicazione, nell'arte, nel cinema, e nella stessa radio-televisione hanno in vari modi fatto circolare un'apertura culturale diversa, hanno indotto ad una diversa curiosità informativa, ad un diverso atteggiamento critico, alla formazione di una diversa, nuova coscienza dei diritti di cittadinanza: non si tratta di una "educazione" fatta di pamphlet e di catechismi di partito - se non in forme molto limitate e marginali - ma di una generale brain storming "democratico".
A questo, che è un aspetto culturale e comunicativo, bisogna aggiungere anche la forza centripeta di attrazione, che spingeva - anche per ragioni non sempre cristalline, è ovvio e inevitabile - a partecipare alla militanza in un partito, o comunque alla necessità di una scelta, che non era solo elettorale: anche questa una novità, per la grande massa della popolazione, e anche questa una funzione a suo modo molto "educativa".
Certo, c'è da chiedersi: quanta parte di questa popolazione ne ha tratto dei vantaggi reali in termini di "crescita della coscienza"? E quanta parte della vecchia, ancestrale cultura borbonica e fascista è stata cancellata?
La risposta - non chiarissima, non univoca e non facilmente tracciabile con nettezza - sta nelle linee di frattura che possiamo oggi rintracciare nell'elettorato, o anche nei tipi di risposte critiche e culturali che sono date alle sollecitazioni sopravvenute in questi ultimi anni, nei quali la capacità di discernimento e di giudizio sono state messe a durissima prova da fenomeni che la vecchia politica aveva solo intravisto.
Per esempio - mettendo da parte il discorso focalizzato sulla sinistra in senso stretto - una gran parte del movimento di opinione che resiste al berlusconismo è secondo me il prodotto di una maturazione culturale che possiamo definire "liberal-socialista", al di là del caleidoscopio di antefatti, di vicissitudini, di sfumature, di appartenenze che si sono nei decenni concretate nella militanza in uno o l'altro dei partiti laici o in quelli di sinistra.
La stessa componente del cattolicesimo laico e democratico è probabilmente nata e si è sufficientemente consolidata, svincolandosi dal confessionalismo più papalino, grazie alle correnti laiche della vecchia DC e dall'esperienza associazionistica che da queste è nata - vedi le ACLI, e la cultura raccolta intorno a Famiglia Cristiana.
Questo genere di politica e di partiti, certo, è figlio di un'epoca.
Possiamo forse decidere che quest'epoca sia finita, e che quella nuova non consente di riproporre le stesse formule - o forse possiamo decidere diversamente.
Ma non possiamo negare ciò che questa politica ha rappresentato, in positivo, dopo aver registrato anche ciò che c'è stato di negativo.
Il problema, semmai - secondo me - è di capire in che modo si possono perseguire gli stessi risultati positivi in un'epoca che si presenta diversa.