ranvit ha scritto:Non me ne voglia mariok ma le sue argomentazioni sono quelle tipiche della sinistra, piu' o meno marxista, ma certamente "utopista" : al solito infatti non si capisce quale sarebbe l'alternativa.
Per esempio quando dice : "i bisogni degli esseri umani devono conformarsi alle esigenze del sistema produttivo, arrivando alla paradossale necessità di consumare per produrre e non dell'inverso"
....e quale sarebbe l'alternativa? Produrre per consumare (il contrario di consumare per produrre)? E chi si assumerebbe l'onere di produrre solo sulla base del consumo (desiderato dagli esseri umani)....e chi decide quali sono i bisogni degli esseri umani?....il partito??? o mariok??? o il Capo??? Insomma, chi lo conosce questo consumo su cui bisognerebbe tarare la produzione?
Ho detto e ripeto che non sono marxista. Che non credo nella dittatura del proletariato, non auspico l'eliminazione della proprietà privata, la collettivizzazione dei mezzi di produzione, l'instaurazione di un'economia pianificata.
M sembra che non ci siano motivi per non essere creduto sulla parola, ma evidentemente c'è qualcosa che mi sfugge. Potrei giurarlo sulla testa dei miei figli, ma mi viene in mente che è una pratica ampiamente “sputtanata” dal nostro signore di Arcore.
Che mi si creda o no, il mio è solo il rifiuto della tesi secondo cui le teorie di Marx, non solo hanno indicato soluzioni sbagliate, ma sono in toto un cumulo di corbellerie che degli irriducibili mitomani si rifiutano di mettere una volta per tutte al rogo.
Il richiamo ad alcune teorie, come quella dell'alienazione del lavoro, della concentrazione del capitalismo, del cosiddetto consumismo, non è un modo per ipotizzare una società alternativa completamente libera da tali “storture”. Ma è molto più semplicemente l'esemplificazione del fatto che alcuni tratti del nostro sviluppo erano stati individuati da Marx con notevole anticipo e che sono fenomeni ahimè reali non solo frutto della fantasia perversa di una massa di populisti. Che poi esse non ammettano alternative, tanto meno quelle indicate da Marx, è tutt'altro discorso sul quale, ribadisco, possiamo anche concordare.
C'è da chiedersi a questo punto perchè non registrare la differenza di opinioni e chiuderla qui? E soprattutto, a cosa serve insistere nell'analisi di certe “storture” se ad oggi non si individuano alternative convincenti e, soprattutto, se quelle storicamente realizzate sono state un totale e drammatico fallimento? E' solo il gusto di “tenere il punto” in una diatriba priva di senso?
E qui credo che ci avviciniamo al nocciolo del problema, che giustifica sia pure in parte le estenuanti discussioni che solitamente si innescano quando si tocca tale tema. Nocciolo che spero di avere la sufficiente lucidità per descrivere chiaramente.
Il punto è che tanto accanimento nel pretendere abiure del marxismo, tende ad affermare qualcosa che va oltre la semplice negazione della validità di una teoria come un'altra. Da essa si fa discendere automaticamente la tesi secondo cui gli attuali processi economici sono gli unici possibili ed in quanto tali, vanno accettati per come sono, pena la fine dello sviluppo con le catastrofiche conseguenze che una tale evenienza comporterebbe sulle condizioni di vita dell'umanità.
L'assunto cioè che gli attuali meccanismi, anche se comportano fenomeni come la concentrazione della ricchezza, l'aumento delle disparità, apparenti o comunque contingenti contraddizioni sociali, hanno una loro “intrinseca necessità” (non a caso sono qui stati paragonati alle leggi della fisica) e vanno “lasciati lavorare”, in modo da dispiegare tutte le loro enormi potenzialità di creare ricchezza ed alla lunga inevitabilmente benessere per tutti.
Se c'è un problema, secondo i sostenitori di tale tesi, è che spesso il mercato non è sufficientemente libero, a causa di vincoli che ne limitano la capacità di autoregolamentazione attraverso la concorrenza.
Per stemperare le diseguaglianze ed eliminare i conflitti, basta tutto sommato agire “a valle” con meccanismi di redistribuzione e di welfare grazie alle risorse che uno sviluppo poderoso rende disponibili.
In parole povere, la tesi è che sì ci sono le diseguaglianze, ci sono le cause di potenziali conflitti, ci sono anche le ingiustizie, ma alla fine con lo sviluppo tutto torna ed è una vittima di falsi miti colui che si ostina a non arrendersi ad una tale evidenza.
Sono più o meno questi i tratti di un pensiero in questo momento “dominante”, comunemente noto con il termine di liberismo (ma non vorrei che da questo si innescasse un'altra inutile discussione sull'esatto significato di liberismo: credo che l'importante sia capirsi, al di là dei termini più o meno appropriati).
In un tale ambito, la “sconfitta” definitiva di qualunque residuo di marxismo e la pervicacia con la quale essa viene perseguita, assume ben altro significato di quello di una semplice “disputa culturale”, ma l'eliminazione di qualunque spirito critico verso il capitalismo e le sue leggi immodificabili.
E qui mi permetto di esprimere il mio dissenso rispetto ad una tale impostazione. Anche se non in possesso delle soluzioni alternative, anche se consapevole della ineliminabilità di certi fenomeni, resto dell'idea che lo spirito critico che non dà mai nulla per scontato o per definitivamente acquisito ed immodificabile, sia il pilastro su cui si basa un metodo laico di lettura della realtà e qualsiasi possibilità di progresso.
Senza contare che, nel merito, ci sono ragioni molto più concrete e molto meno teoriche che ci costringono ad aguzzare l'ingegno ed a ricercare possibili nuove strade . E sono quelle (queste sì non previste da Marx) connesse alla questione ecologica ed al potenziale esaurimento delle risorse naturali, che pongono con urgenza il tema della cosiddetta sostenibilità dello sviluppo, che non è detto che con il libero mercato potrà essere gestito e risolto in maniera efficace (abbiamo anzi abbastanza elementi per dire che non sia così).
Vorrei chiudere, a proposito dell'importanza del mantenimento di capacità critiche, con alcune reminiscenze scolastiche, che mi permetto di suggerire soprattutto a coloro che si autodefiniscono dei convinti liberali.
“Ebbene mio caro Pangloss – disse Candido – quando siete stato impiccato, sezionato, riempito di botte, messo ai remi della galea, avete sempre pensato che tutto andasse per il meglio?
Resto sempre della mia prima opinione – rispose Pangloss – perchè in fin dei conti sono filosofo, non mi conviene contraddirmi, giacchè Leibniz non può aver torto, e l'armonia prestabilita è la più bella cosa del mondo, come il pieno e la materia sottile”.