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Il vicolo cieco della sinistra.

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda Loredana Poncini il 02/09/2009, 7:57

Rispetto al vicolo globalmente difficile in cui ci troviamo, con un lavoro che i lavoratori-dipendenti cercano di difendere stando per giorni sulle gru o sui tetti, un'economia che tenga conto del Terzo settore, come prospetta Stefano Zamagni ed è espresso nell'enciclica "Caritas in veritate", apre uno spiraglio ?
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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda franz il 02/09/2009, 8:42

pagheca ha scritto:Scusa Franz, ma o ti sei espresso male o sei tu ad avere preso un abbaglio stavolta: i paesi poveri sono quelli - di norma, ovvero con alcune eccezioni - con i piu' elevati indici di Gini, e quindi quelli con elevati indici di disuguaglianza. Sono quelli ricchi che in genere possono disfarsi delle piu' crudeli disuguaglianze.

Già, in realtà Gini non è un indice di disugualianza ma un indicatore di concentrazione (di estensione della concentrazione). Parlando di due cose diverse contemporaneamente, è facile fare confusione. In alcuni casi gini e disugualianza coincidono, in altro no. Anche la concentrazione ci dà una misura della disugualianza ma non è l'unico modo.

Se su mille abitanti abbiamo 999 poveri e 1 ricco, l'indice di concentrazione (gini) è elevato, perché tutta la ricchezza è concentrata in una sola persona, ma la disugualianza no, perché il 99.9% del paese è "ugalmente povero". Ai fini della valutazione degli effetti di una crescita (dello sviluppo) gini come indice dice solo una parte della verità. Parlando di gini e visto che cio' che mariok citava parlava di disugualianze, mi sono concentrato a ragionare su queste ultime.
Se nel nostro ipotetico paese di mille abitanti, l'anno dopo abbiamo due ricchi e 998 poveri, l'indice di gini scende (ora la ricchezza è concentrata su sue persone) ma la disugualianza sale. Sale e diventa massima quando metà del paese è ricco e metà del paese è povero. Un eventuale indice di disugalianza qui toccherebbe il suo massimo, per poi ridiscendere a valori minimi quando avessimo 999 ricchi ed 1 povero.

L'esperimento di cui si parla ipotizza come base di partenza un certo numero di persone tutte dotate della stessa ricchezza (o povertà) ed abilità nel fare affari ed investimenti. Qui l'indice di disugualianza è pari a zero (ed anche gini). Dopo un certo periodo di tempo si nota che l'iniziale ugualianza è sparita ed alcuni sono piu' ricchi di altri. La ricchezza (valore) misurato) si è concentrata e la disugualianza, prima inesistente, ora è presente. Il motivo è dato dal fallimento, anche casuale, di alcuni investimenti, che impoveriscono chi ha perso e premiano coloro i quali a cui è andata bene.

Il caso che osserviamo, dei paesi poveri che iniziano a svilupparsi è simile. La povertà è difusa e la poca ricchezza, se esiste, è concentrata. La condzione praticamente di partenza (stessa ricchezza o povertà) a e' quella delle popolazioni primitive detite alla caccia ed alla raccolta. L'unica ricchezza era data dai pochi strumenti e dal know-how.
Se tutti e mille fossero uguali non avremmo nemmeno il concetto di povertà e ricchezza (Engels mi pare parlasse di "comunismo primitivo") ed avremmo la massima ugualianza (equa distribuzione della ricchezza). Appena uno si arricchisce e gli altri 999 no, l'indice di gini schizza ai livelli massimi ma la disugualianza non si sposta piu' di tanto, dato che il 99.9% della popolazione non ha cambiato condizione rispetto a prima.
Con il crescere della ricchezza i poveri diminuiscono ed i ricchi aumentano. L'effetto piu' stridente della disugialianza la osserviamo quando metà del paese è nella assoluta povertà e l'altra è sfacciatamente ricca. In questo momento il pianeta si avvicina al questo 50-50 (fino a 30 anni fa era un 20-80). Nei paesi occidentali oggi abbiamo circa un 88% di benestanti ed un 12% di poveri (sotto la soglia di povertà relativa). L'effetto dello sviluppo quindi è quello di portare grandi disugualianze nei paesi poveri, fino a quando la crescita raggiunge quel livello che permette di superare il 50% e di alimentare anche un sistema ridistributivo pubblico. Qui le disparità tornano a diminuire ed anche la concentrazione (del reddito e della ricchezza) diminuisce (la ricchezza è piu' diffusa - meno concentrata - grazie ai sistemi di ridistribuzione).

Riassumendo, lo studio ci dice che partendo dall'ugulianza, lo sviluppo crea disugualianza. Soprattuttto all'inizio.
Poi noi sappiamo che crea anche ricchezza e che questa puo' essere ridistribuita in vari modi, attenuando quella disugualianaza. Per tornare al marxismo, esso non ha dato soluzioni valide al problema. La soluzione di marx per arrivare ad una società di uguali era la collettivizzazione degli strumenti produttivi e la dittatura del proletariato.
Il capitalismo di stato non ha funzionato e le società che ci hanno provato (che non erano pero' società occidentali a capitalismo avanzato) hanno avuto si' una certa ugualianza diffusa (povertà diffusa) ma anche una ricchezza generale inferiore, tanto che sono collassate.
Il successo invece è venuto dalla applicazione delle idee socialdemocratiche, che tuttavia erano antitetiche al marxismo.

Ciao,
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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda franz il 02/09/2009, 8:56

Loredana Poncini ha scritto:Rispetto al vicolo globalmente difficile in cui ci troviamo, con un lavoro che i lavoratori-dipendenti cercano di difendere stando per giorni sulle gru o sui tetti, un'economia che tenga conto del Terzo settore, come prospetta Stefano Zamagni ed è espresso nell'enciclica "Caritas in veritate", apre uno spiraglio ?

Il terzo settore è parte integrata dell'economia. Caso mai è la politica che ne deve terne conto.
L'economia già lo fa perché non puo' non tenere conto delle cose che sono al suo interno.
Spiragli pero' non ne vedo. Indipendentemente dal fatto di fare profitto o meno (che si traduce in un modo per non pagare imposte) anche il terzo settore deve seguire criteri economici di conduzione (se ha stipendi da pagare) per cui potremmo vedere anche i loro lavoratori salire sul tetto, in caso di crisi generale.
La domanda quindi è: perché i lavoratori in Italia salgono sui tetti ed in germania no?
La crisi è identica e spesso sono italiani in entrambi i casi.
Quello che è piu' sviluppato in Germania non è il terzo settore ma il welfare.
In questo caso se il lavoratore perde il posto ha un stipendio assicurato par quasi due anni.
Non ha bisogno di salire sul tetto ma si mette alla ricerca di nuove occasioni, segue corsi di riqualificazione.
Si mette in prpria o si organizza per farlo, appena la crisi finisce.

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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda pagheca il 02/09/2009, 9:08

be': i numeri stanno nel link che ho indicato. Poi ognuno e' libero di tirare fuori le conclusioni che gli pare naturalmente. Ma e' per questo che questo tipo di discussioni non mi entusiasma. Perche' rischiano sempre di diventare un esercizio dialettico con poche o nulle conseguenze sul piano della comprensione della realta', soggette come sono alle interpretazioni personali.

saluti,
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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda franz il 02/09/2009, 9:17

pierodm ha scritto:Per tornare solo un momento al marxismo, in altre occasioni ho già avuto modo di dire che il richiamo alle esperienze sovietiche e maoiste è assolutamente fuorviante e, in qualche modo, truffaldino.
Il marxismo, e il socialismo in genere, nacquero come risposta della cultura europea occidentale alla realtà della società industriale capitalista, prospettandone un'evoluzione e proponendo una volontà d'indirizzo che erano conseguenti alla cultura stessa che avevano generato quella risposta.
Nei paesi in cui questa concatenazione di fenomeni e di realtà era più pienamente corrispondente a questo schema, il socialismo e lo stesso marxismo hanno dato luogo alla democratizzazione della società, allo sviluppo dei diritti, ad una positiva evoluzione del concetto di "lavoro", al welfare, e insomma alle moderne società che, possiamo considerare liberal-socialiste.

Direi che avendo letto il celebre manifesto, so bene che quello che è successo in Cina e Unione Sovietia è il frutto perfetto di quanto voluto espressamnte (la dittatura del proletariato).
Non è quindi un incidente di percorso come qualcuno vuole farci credere.
Vero che Marx ed Engels profetizzavano la loro strada per i paesi occidentali avanzati del tempo (germania e inghilterra) ma a ben vedere gli operai di allora (il mitico proletariato) diede alla proposta marxista un netto rifiuto, preferendo la via socialdemocratica (essenzialmente democratica). A dire no al comununismo (abolizione della proprietà privataa, collettivizzazione degli strumenti di produzione, dittatura del proletariato, fine delle libertà democratiche) fu proprio il movemento operaio a cui Marx si rivolgeva. Ieri come oggi.

Il movimento comunista quindi, sconfitto nelle roccaforti europee del proletariato, ebbe un certo seguito in realtà contadine (come la russia e poi la cina) che Marx non aveva affatto previsto. In Russia fu Lenin, come noto, a capire che mancando la borgesia (visto che non c'era industria) toccava al movimento comunista prendene le parti. Ovviamente il fatto che il comunismo si sia imposto in un paese non industialmente sviluppato dove c'era la servitu' della gleba, ha prodotto un certo miglioramento. In luogo del capitalismo di mercato, quello di stato ha tuttavia prodotto uno sviluppo assai inferiore (l'occidente è cresciuto molto di piu') ed ha prodotto comunque una casta di previlegiati (funzionari con dacia). Il risultato è stato fallimentare (tralasciando i morti fatti dalla dittatura del proletariato e dalla rivoluzione culturale) sul piano economico, tanto che ora che la collettivizzazione è caduta in Russia e Cina (ed è ammessa la prorpietà privata), quei paesi si stanno sviluppando a ritmi enormi (maggiori dei nostri). Sviluppo che ci mostra anche notevoli disparità, in luogo della generale miseria preesistente.

Il marxismo quindi proponeva la "cura" che abbiamo visto in URSS e Cina proprio per noi (tedeschi, francesci, inglesi, italiani). Rifiutandolo e sceglianio la via sociealdemocratica, abbiamo avuto lo sviluppo che sappiamo.
Il fatto che qualcuno tendi di accreditare al marxismo i successi economici delle società occidentali avanzate, caratterizzate da forze socialdemocratiche, liberali e cristiane, è esilarante.

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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda mariok il 02/09/2009, 9:32

Quello che ho preso è il coefficiente di Gini prima delle tasse.

L'OCSE lo chiama Gini coefficient of income inequality before taxes and tranfers.

Io l'ho tradotto coefficiente di diseguaglianza, ma possiamo chiamarlo anche Giuseppe. Senza tante seghe mentali, dovrebbe risultare chiaro che un paese con indice di Gini 0 (ogni percentuale di popolazione percepisce la stessa percentuale di reddito: quindi "perfetta" uguaglianza di tutti gli individui) è più "uguale" di uno con indice 1 (tutto il reddito ad un individuo; ed a poco vale la considerazione che tutti tranne uno hanno lo stesso reddito, cioè zero, e che quindi ci sarebbe paradossalmente più uguaglianza).

Inoltre, avendo preso i coefficienti before taxes and transfers ho volutamente escluso gli effetti delle politiche fiscali di redistribuzione. Per cui tutte le considerazioni sullo stato sociale ecc. in questo caso non c'entrano nulla.

Quanto poi al fatto che quello che conterebbe sarebbe il tasso di crescita e non il valore assoluto della ricchezza, anche in questo caso l'Italia, con un coefficiente di Gini più alto di tutti i paesi europei (tranne Slovacchia e Repubblica Ceca) , dovrebbe avere il più alto tasso di crescita, mentre come è noto è da molti anni costantemente agli ultimi posti.

Infine, a proposito di scoperta dell'acqua calda.

Che il mercato tenda spontaneamente verso la concentrazione è un fatto talmente assodato che ormai non c'è uno stato a capitalismo avanzato che non si sia dotato di leggi e di organismi di controllo anti-trust.

Tra l'altro il fenomeno fu descritto già oltre un secolo fà da Marx con la cosiddetta teoria della "concentrazione del capitale".
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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda franz il 02/09/2009, 9:53

pagheca ha scritto:be': i numeri stanno nel link che ho indicato. Poi ognuno e' libero di tirare fuori le conclusioni che gli pare naturalmente. Ma e' per questo che questo tipo di discussioni non mi entusiasma. Perche' rischiano sempre di diventare un esercizio dialettico con poche o nulle conseguenze sul piano della comprensione della realta', soggette come sono alle interpretazioni personali.

saluti,
pagheca

Vero, i numeri sono numeri (tra l'altro l'indice di gini va da zero a uno) ma per capirli bisogna capire il concetto che in indice esprime. Gini è un indice di concentrazione di una risorsa trasferibile.
http://it.wikipedia.org/wiki/Indice_di_ ... ne_di_Gini
Come tale non è un perfetto indice di disugualianza.
Se la popolazione fosse fatta da solo due persone, uno molto ricco e uno molto povero, avremmo (non so se sei d'accordo) un elevato indice di disugualianza. Il massimo possibile. Idem se avessimo, in una popolazione di mille persone, 500 ricchi e 500 poveri. Eppure in questo sencodo caso l'indice di Gini darebbe una concentrazione a metà trada tra zero e uno e quindi l'indice di Gini indicherebbe una distribuzione non ottima ma nemmeno pessima. Una situazione a metà strada che pero' coincide con la massima disugualianza che possiamo immaginare. A meno che uno non ritenga migliore la situazione in cui tutti sono poveri, tranne uno solo.

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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda franz il 02/09/2009, 10:10

mariok ha scritto:Quello che ho preso è il coefficiente di Gini prima delle tasse.

L'OCSE lo chiama Gini coefficient of income inequality before taxes and tranfers.

Io l'ho tradotto coefficiente di diseguaglianza, ma possiamo chiamarlo anche Giuseppe. Senza tante seghe mentali, dovrebbe risultare chiaro che un paese con indice di Gini 0 (ogni percentuale di popolazione percepisce la stessa percentuale di reddito: quindi "perfetta" uguaglianza di tutti gli individui) è più "uguale" di uno con indice 1 (tutto il reddito ad un individuo; ed a poco vale la considerazione che tutti tranne uno hanno lo stesso reddito, cioè zero, e che quindi ci sarebbe paradossalmente più uguaglianza).

Per me invece non vale poco (vedere gli esempi fatti questa mattina).
Non ci sono solo i trasferimenti fiscali. La maggior parte dei trasferimenti è legata a assicurazioni sociali (private o pubbliche) come ad esempio le pensioni (che non so se sono anche loro state scluse dal calcolo OCSE)m ed i fondi pensione.
Inoltre come dicevo quel calcolo è sul reddito, non sulla ricchezza. I redditi in un paese occidentale sono molto piu' omogenei. Osservando la ricchezza di Berlusconi e la mia posso convenire che invece le disparità sono nel capitale (che poi è quello che puo' essere invenstito ed è oggetto di rischio).

In ogni caso osserviamo che nei paesi occidentali avanzati esiste una buona distribuzione del reddito (anche prima delle politiche redistributive) ma questa non è una novità (salvo chi la nega, di solito a sinistra) perché in un paese in cui tutti lavorano è evidente che ogni famiglia ha un buon reddito, anche se magari non ha risparmi. Tuttto questo pero' non è legato al discorso cho ho proposto a proposito delle disparità che lo sviluppo economico comporta (soprattutto all'inizio dello sviluppo stesso).
L'esempio da me proposto infatti prende il caso di uno sviluppo economico che inizia da una partenza di ugualianza (uguiale capitale ed uguale capacità di usarlo posta come condizione di partenza) e spiega perché la disugualianza (nel capitale) si genera già dopo pochi anni.

Sulla concentrazione, è chiaro che essa è un pericolo solo in quanto uccide la concorrenza (se avessimo una sola azianda in un certo settore). Solo in questo senso esistono normative anti trust. La risposta marxista (il capitalismo di stato) tuttavia era l'eliminazione della concorrenza ed un solo grande monopolista (lo stato, poi di fatto il partito comunista al potere). Vedi tu dove sta la soluzione migliore.

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Re: Il vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda mariok il 02/09/2009, 11:02

Vabbè a questo punto la discussione mi sembra oziosa.

A me non dispiacerebbe, innazitutto qui in Italia, poter avere un coefficiente di Gini più basso senza per questo deprimere la crescita. Se poi questo non contraddice le tue teorie, sono ancora più contento.

Piuttosto, tornando all'argomento iniziale del thread, anche dall'andamento della discussione mi derivano alcune considerazioni che vorrei condividere con chi ne può essere interessato.

Nulla da dire, anzi piena condivisione, sulla scelta di Loredana “di uscire dalla cronaca dell'immediato, e di rifocillarmi un poco, ispezionando il pensiero di ieri per mettere un po' meglio a fuoco l'oggi”.

Ciò che mi colpisce, per la verità negativamente, è che è bastata la citazione di una frase risalente al 1970 ("Le speranze illuministe e marxiste sono messe a dura prova dagli avvenimenti del nostro secolo."), per farci ripiombare nell'attualità politica scatenando una “vivace” discussione sui “miti della sinistra” e sulla sua incapacità di liberarsi della madre di tutti i mali: il populismo marxista.

Innanzitutto vorrei chiedermi se, alla luce della situazione di oggi nel nostro paese, sia utile tormentarsi, con spirito tipicamente tafazziano, sul perchè la sinistra starebbe in un vicolo cieco e non chiedersi piuttosto dove si trova l'Italia.

Altra domanda che mi sorge spontanea è che, ammesso pure che ci siano ancora tanti irriducibili “marxisti” (anche se l'affermazione somiglia pericolosamente alla propaganda di Berlusconi, che vede comunisti dappertutto) di che sono fatti tutti gli altri, che rappresentano presumibilmente la maggioranza degli italiani e che non possono cavarsela attribuendo tutti i mali della società al marxismo ed ai suoi miti.

Vorrei chiedere per esempio: dove sono e cosa fanno i tanti o pochi liberali che dovrebbero portare il vessillo di quei valori tragicamente calpestati dai socialismi e comunismi realizzatisi in varie forme?

Non parlo ovviamente dei superstiti di un ex partito che ha espresso, oltre qualche brava persona come Zanone, tangentari tipo De lorenzo e Altissimo, ma di “raffinati” intellettuali come Mieli, Panebianco, Ostellino, Romano ecc.

Tutti o quasi prontissimi a dare addosso a qualche sparuto “comunista” che si permetta di difendere alcuni diritti come lo statuto dei lavoratori, espressioni, a loro giudizio, della peggiore dittatura del proletariato e causa di tutti i mali della nostra economia.

Ma nulla hanno da dire quando i governi di destra presieduti dal cav. Berlusconi spendono e spandono attingendo ad un crescente debito pubblico (quest'anno + 35 miliardi di spesa corrente, nel silenzio quasi generale). Tranne poi a rifarsi vivi, quando tocca alla sinistra ed a gente come Prodi tappare i buchi lasciati da Tremonti, per insorgere contro l'aumento della pressione fiscale.

Siamo sicuri che il nostro problema sia quello di avere troppi nostalgici del marxismo e non piuttosto troppi falsi liberali?

A margine del meeting di CL, nel coro delle apologie dell'evento, Marcello Pera ha ribadito un concetto non nuovo, caro al suo leader tedesco, secondo il quale i valori presenti nelle costituzioni dei paesi democratici occidentali, deriverebbero dalle nostre comuni radici cristiane.

Non un “liberale” che abbia alzato la mano per dire: “A' Marcè, ma che stai dicendo?”. Possibile far finta di ignorare che mentre in Francia veniva redatta la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino nello Stato Pontificio imperversava la più assolutistica e dura monarchia d'Europa?

E che dire delle sortite in difesa dello stato di diritto e delle sue garanzie quando un qualche potente amico viene indagato per reati di corruzione, a fronte dell'assordante silenzio sulle picconate che la destra va infliggendo a ciò che resta della magistratura e della sua autonomia?

Quale sostegno hanno dato al “marxista” Bersani ed alle sue pur timidissime liberalizzazioni e come mai non parlano quando Tremonti, nel silenzio generale, cancella quel poco che è stato fatto, come per esempio, in questi giorni, sul monopolio della vendita dei medicinali?

Non sono certamente tenero nel giudicare e criticare le grandi responsabilità della sinistra e della sua storia travagliata. Ma arrivare a distorcere completamente la visione della realtà che ci circonda, mi sembra onestamente esagerato.
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Riassunto al vicolo cieco della sinistra.

Messaggioda franz il 02/09/2009, 11:16

Se posso riassumere brevemente (la brevità non è una promessa, ma ci tento) si discuteva del vicolo cieco della sinistra e di come il marxismo fosse coinvolto in questo vicolo cieco.
Analizzando il marxismo come risposta ai problemi che il capitalismo e la società di mercato generano, la mia tesi è che si tratta di una strada fallimentare, da abbandonare totalmente.
Ad essere piu' precisi potremmo per prima cosa considerare Marx, quello che ha scritto.
Qui a mio avviso non ci sono dubbi. Le sue analisi e le sua conclusioni, le sue prospettive politiche sono state sbagliate e fallimentari. Abolizione della proprietà privata, cancellazioni delle libertà liberali, dittatura del proletariato, socializzazione degli strumenti di produzione appartengono oggi ad un passato che non puo' tornare. Qualche cosa è rimasto sulla teoria del valore ma una discussione su questo ci porterebbe lontano. La crisi irreversibile del capitalimo non c'è stata ed anzi, il capitalismo si è rinnovato e non è piu' quello del 1850.

Poi abbiamo un'altra categoria, assai piu' metafisica, che è quella del "marxismo". Qui il concetto è molto elastico ma dovrebbe comprendere anche chi, dopo marx, ne ha sviluppato, esteso, adattato il pensiero. La estensione piu' atroce è il marxismo-leninismo, invenzione di Stalin. Anche se la definizione di cosa sia il "marxismo" è abbastanza elastica, nego che noi possiamo includere in questo filone di pensiero il movimento socialista e soprattutto quello socialdemocratico. Il socialismo era preesistente a Marx e la socieldemocrazia era contemporanea (tanto che molte opere di Marx sono piene di attacchi furiosi ai pensatori sociademocratici del tempo).
Sul piano delle soluzioni politico-economiche quindi non è possibile fare un grande calderone in cui i meriti della socieldemocrazia vengono indebitamente trasferiti al comunismo marxista.

Il marxismo aveva un carattere fortemente antidemocratico.
Il fatto che poi l'obiettivo potesse essere quello di una società piu' giusta ed uguale (che magari tutti possoni idealmente condividere) nulla toglie al fatto che in politica contano i risultati ed il metodo per raggiungerli.
Il metodo (dittatura) era sbagliato ed i risultati sono stati pessimi, anche se ovviamente i "marxisti puri" possono comodamente dire che quello che è stato fatto nei paesi a cosiddetto socialismo reale non era marxista.
In realtà lo è stato, ma non nei paesi che Marx proponeva.
Lo è stato perché le cose che marx poponeva (abolizione della proprietà privata, cancellazioni delle libertà liberali, dittatura del proletariato, socializzazione degli strumenti di produzione ) sono state fatte. L'unica crisi insanabile ed irreversibile vista è stata quella del capitalismo di stato comunista.

Ora con buona pace di tutti, rimane sulla strada la risposta socieldemocratica.
Che nulla ha a che vedere con Marx ed il marxismo.
Società democratiche con libere elezioni, di mercato (con proprietà privata e pubblica) con alternanza di potere, welfare e ridistribuzione.

Si puo' forse concludere che molto probabilmente, l'apparizione del comunismo nella scena internazionale (dove prese il potere) ha indotto nei paesi occidentali (per timore) una maggiore risposta sociale, che ha reso possibile il welfare e lunghi perido di condizione politica socialdemocratica. Quindi una parte del successo socialdemocratico puo' essere attributo alla reazione politica al comunismo. Tuttavia la redistribuzione fu possibile solo perché lo sviluppo economico di mercato la rendeva praticabile ed era confacente alla nuova riformulazione del capitalismo consumistico fordista (che si siluppa maggiormente se tutti sono consumatori dotati di reddito, proprio o redistribuito).

Ora fintanto che ci si preoccupa che esiste una sinistra e che essa abbia una strada, è evidente che occorra una guida, un metodo, una alanisi e lettura della società. Non basta la direzione lontana da raggiungere.
In questo contesto una discussione che liberi il tavolo da ogni residuo di marxismo per me non è tempo perso.

Rispondero' dopo alle considerazioni di mariok.
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