annalu ha scritto:Anche i dialetti sono una cosa seria. Siamo un paese abbastanza arretrato per mantenere ancora l'uso parlato di alcuni dialetti, quindi sarebbe proprio il momento giusto per preoccuparsi di salvarne la tradizione.
Però "salvare" i dialetti non significa certo imporne l'uso nelle scuole come lingua principale: si avrebbe solo il risultato di impedire il progresso e la capacità di comunicazione tra le persone, bloccandone la mobilità da una località all'altra.
Certo che sono una cosa seria (la comunicazione è sempre una cosa seria) ma non sono d'accordo con la tesi di legare l'arretratezza di un paese al mantenimento di dialetti (ovviamente parlati e forse anche, raramente, scritti).
Il dialetto, si dice, è la lingua materna. Si impara da piccoli, nei primi anni di vita ed è quindi legato anche alla comunicazione affettiva ed emotiva. In questo senso è vero che è una forma di comunicazione quasi privata, nel senso che non solo ha varianti cittadine ma anche in quartieri e famiglie. Certi termini magari li usa solo una famiglia o un gruppo di famiglie perché li usava il nonno che avevano in comune. Col dialetto (riassumo quanto ho capito leggendo varie cose in questi anni, tra Pinker ed altri che si sono occupati di comunicazione linguistica) cambiano i termini (il modo di chiamare le cose) e la fonetica (il modo di prounciarle). Non cambia pero' la grammatica (il modo di costruire la frase, declinare, coniugare). La grammatica è cio' che contraddistingue una lingua e come tale puo' essere codificata in regole grammaticali. Se si cerca di fare questo col dialetto si arriva o a verificare che in realtà si tratta di una lingua con regole proprie oppure ci si imbatte in localismi che non possono essere regolamentati. In veneto si puo' dire "ste mone" oppure "sti mona", non c'è una regola se non che un modo viene detto a Padova e l'altro a Venezia. A parte l'anedottica divertente, insegnare queste cose obbligatoriamente a scuola è un'idiozia, visto che chi è nato in veneto lo sa già da quando ha pochi anni come sa perfettamente cosa si intende per "ombra". Potrebbe pero' essere un corso facoltativo, per approfondire alcuni aspetti o studiare la storia del dialetto o alcuni suoi illustri esponenti (per il veneto scritto abbiamo il Goldoni).
Cosa servirebbe allora studiare un dialetto nella scuola dell'obbligo?
A poco, direi. Serve invece imparare lingue (ma qui ripropongo il problema del sardo, che è una lingua, non un dialetto). E serve soprattutto nella scuola dell'obbligo (già fin dalle elementari, quando la mente del bambino ha la massima propensione ad apprendere lingue) impararne piu' d'una. Non importa quali, certo, ma visto che studiare una lingua diversa da quella nazionale richiede un impegno notevole, è bene studiare lingue che servano nella vita (scegliendo tra inglese, francese, tedesco, spagnolo, .... arabo, cinese).
Il problema del dialetto allora secondo me è una questione che non è scolastica ma familiare.
È la madre che deve decidere se parlare fin dall'inizio con il proprio figlio in italiano (se lo conosce bene) oppure in dialetto (e se non sa l'italiano almeno si spera che il dialetto lo parli bene). Nella scelta della madre (se la intendiamo come scelta razionale) va preso in considerazione anche l'ambiente. Se tutti gli altri bambini del vicinato si esprimono in dialetto, e suo figlio solo italiano, avrà difficoltà di comunicazione nel gruppo (non capirà certi termini). Tuttavia se si adegua alla parlata locale imparerà comunque il dialetto degli altri. Se la famiglia trasloca in una località distante entro i due o tre anni dalla nascita, il bambino imparerà anche il dialetto del luogo. Se la famiglia cambia nazione è bene che insegni l'italiano, non il dialetto. Sempre, ben inteso, che la famiglia conosca bene l'italiano. Meglio un buon dialetto che un italiano sgrammaticato. Non solo ma meglio un buon dialetto in casa proprio perché è il canale comunicativo "materno" degli affetti e dei sentimenti, compreso il "buon senso" dei proverbi (giusti o sbagliati che siano).
Questa sarebbe la maggiore perdita. Una comunicazione familiare in un italiano asettico, privo del colore dialettale (e non solo per i proverbi) sarebbe forse anche dannosa per un bambino.
La scuola a questo punto deve insegnare l'italiano - le regole della grammatica italiana, queste sconosciute a tutti, giornalisti compresi - e non un dialetto. Questo potrebbe essere oggetto di studi facoltativi, ammesso che ci siano insegnanti che lo conoscano in modo cosi' approfondito da poterlo insegnare. A questo punto sarei proprio curioso di vedere che dialetto veneto insegnano nelle scuole di padova, venezia, treviso, verona.
Nel caso delle lingue
subnazionali (come il sardo ed altre lingue parlate da minoranze) o dei dialetti la scelta deve essere locale, non nazionale e non vedo comunque l'obbligatorietà come una cosa giusta. La scelta di studiare lingue e dialetti dovrebbe essere facoltativa e l'unico obbligo che vedo per me è italiano ed inglese.
Ciao,
Franz
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
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