da pierodm il 11/08/2009, 17:25
Mi dispiace di non avere l'ottimismo di Loredana - ammesso che sia ottimismo, dato che si avverte nelle sue parole forse più disperazione di quella che appare in quelle di noi pessimisti.
La Rete va bene, così come vanno bene tutte le forme alternative d'informazione, intendiamoci.
Ma il problema non è tanto quello di essere o fare Rete tra cittadini, ma è quello del sistema, della struttura della "democrazia della comunicazione", del complesso economico-tecnologico.
Non lasciamoci trarre in inganno da fenomeni come quello iraniano o cinese, che vedono la comunicazione in Rete come una specie di Radio Londra ascoltata a Berlino o a Roma durante il nazifascismo.
Il fatto è che Radio Londra siamo noi, e che stiamo discutendo sul se e sul quanto al nostro stesso interno non ci sia la stessa opacità, la stessa resistenza surrettiziamente autoritaria, la stessa sudditanza che opprime "gli altri" in forme assai più vistose, tragiche ed esplicite. Ossia, se possediamo effettivamente quel "cuore libero e democratico" che tale appare agli ascoltatori lontani di Radio Londra - se lo possediamo cioè come sistema, più che come individui, ovviamente.
C'è perfino una scuola di pensiero che mette in guardia contro la fascinazione esercitata da questa nostra stessa iperconnettività tecnologica, in quanto crea una sorta di percezione dopata di "possibilità" e di libertà, mentre in realtà ci lega al potere di chi detiene le chiavi della tecnologia e della comunicazione.
Guardiamo in faccia la reltà: la sinistra, ma diciamo pure i progressisti in generale, in questi decenni hanno omesso clamorosamente d'interrogarsi sul piano politico e operativo circa i problemi appena accennati.
Un'omissione tanto più grave, e paradossale, se pensiamo che di questa "nuova realtà" hanno cominciato ad interessarsi filosofi e sociologi progressisti già dagli anni '30 e '40, in grande anticipo sui tempi.
Personalmente io credo che sia necessario operare, come si dice, sui "fondamentali" di una cultura, mentre contestualmente si cerca di fronteggiare una situazione che si è lasciata colpevolmente andare e che è ormai in emergenza - vale a dire, leggi sul conflitto d'interessi, sulla libertà d'impresa nelle telecomunicazioni, sull'antitrust a largo spettro, sul copyright, sui dati sensibili, sulla libera navigazione e pubblicazione in web, sul rapporto tra partiti, istituzioni e telematica, etc.
I fondamentali però rimangono, a mio parere, quelli della formazione individuale, della scuola e della "memoria": arrivo a dire (ad intuito, però, senza aver sufficientemente maturato la cosa) possibilmente astraendosi dal web e dall'informatica.
Libri e matite. Carte geografiche e corse nei prati.
Come dicevo qualche tempo fa: noi siamo l'ultima generazione che ha conosciuto sia un mondo antico, sia quello moderno e quello post-moderno. Siamo la generazione che cammina sullo spartiacque tra questi due ordini di tempo.
Dobbiamo avere il coraggio di fare di più che non lamentarci che "non s'interrompono così le emozioni": la questione è politica ed economica, è una questione di sistema, non solo di singoli prodotti o fenomeni.
Ma il coraggio non sta tanto nel battagliare contra inimicos, ma di dare ascolto a noi stessi, o meglio, a non soggiacere per superficiale modernismo acritico alle suggestioni e all'incanto dogmatico del luna park tecnologico.