Da ilmattino.it :
Nella loro storia gli italiani non hanno mai dimostrato un grande rispetto per le istituzioni politiche. Sono, per tradizione e vocazione, anarchici e individualisti, hanno uno scarso senso dello Stato e del bene comune. Pensano al loro «particulare» e non si curano della sfera pubblica. Si tratta, non c’è dubbio, di stereotipi e luoghi comuni, ripetuti mille volti e spesso utilizzati per screditarli, come si è visto in queste settimane sulla stampa internazionale, che ha sfruttato le vicende private di Berlusconi per riproporre un’immagine denigratoria e caricaturale dell’Italia e dei suoi abitanti.
Ma come spesso capita, stereotipi e luoghi comuni, per quanto sgradevoli, hanno sovente un fondamento di verità, che toccherebbe ai diretti interessati correggere e smentire. Gli italiani, purtroppo, tra le loro tante caratteristiche hanno anche quella di essere incorreggibili e testardi. Si lamentano, giustamente, delle rappresentazioni negative di cui sono oggetto, si ribellano con orgoglio alle stupidaggini dette sul loro conto, ma poi proseguono imperterriti lungo la loro (cattiva) strada, evitando così di modificare quei comportamenti e atteggiamenti che rischiano di avvelenare la loro vita collettiva.
Prendiamo appunto il caso delle istituzioni politiche cosiddette di garanzia, che in tutti i sistemi politici, e in particolare nelle democrazie contemporanee, svolgono un ruolo essenziale di equilibrio e di mediazione. Dovrebbero essere considerate, indipendentemente dalle persone che temporaneamente le occupano, delle realtà neutrali e non partigiane, la cui principale funzione è quella di garantire la stabilità e il rispetto delle regole, la correttezza dello scontro politico e un clima quanto più possibile civile e costruttivo.
Le istituzioni così intese - si tratti, nel caso dell'Italia, della presidenza della Repubblica o della presidenza delle due Camere - sono un bene di tutti, un fattore di concordia e un simbolo di unità, nonché un indispensabile elemento di moderazione. La cui importanza, dal punto di vista tecnico-funzionale, è destinata ad accrescersi soprattutto nei momenti di crisi o quando la lotta politica raggiunge toni eccessivamente polemici e battaglieri. Quando volano parole grosse o c'è una grande posta in gioco c'è sempre bisogno di qualcuno capace di una parola saggia e di un comportamento pacato.
Ma per poter funzionare a dovere, per assolvere al meglio la loro funzione di garanzia e di equilibrio, le istituzioni debbono essere rispettate e tenute al riparo da attacchi strumentali e polemiche. Se perdono il loro carattere oggettivo e per così dire impersonale, se vengono considerate attori politici tra gli altri, se vengono trascinate a forza nella rissa tra forze politiche, esse rischiano di perdere la loro caratteristica essenziale, finiscono per essere snaturate, depotenziate e alla lunga delegittimate. Con conseguenze pesantemente negative per l'intero sistema politico. Bene, come si è visto in questi giorni in Italia, in particolare con le pesanti accuse che Antonio Di Pietro ha rivolto al Capo dello Stato, il rispetto per le istituzioni non sempre viene considerato dai nostri uomini politici un dovere o un comportamento imposto, se non altro, dal senso di opportunità e da un minimo codice di cavalleria.
E se i politici non rispettano le istituzioni perché dovrebbero poi farlo i cittadini? Non solo, ma se nessuna istituzione viene tenuta al riparo da accuse e insinuazioni, se al «custode della Costituzione» viene addirittura rimproverato di disattendere la Carta fondamentale e di tradirne lo spirito, a chi dovrebbe affidarsi un Paese nei suoi momenti difficili?
L'Italia sta attraversando una fase particolarmente delicata della sua storia, stretta nella morsa di una persistente crisi economica e di uno scontro all'ultimo sangue tra partiti tanto aggressivi quanto deboli. Maggioranza e opposizione non dialogano e non riescono a trovare alcun punto d'intesa. Silvio Berlusconi è da settimane al centro di polemiche e accuse relative alla sua vita privata, che hanno trovato una vasta eco soprattutto all'estero e hanno contribuito ad indebolire l'immagine dell'Italia nel mondo. La criminalità organizzata continua a prosperare e a seminare veleni (come nel caso delle recenti dichiarazioni di Totò Riina sul ruolo che i servizi deviati avrebbero avuto nell'uccisone del giudice Borsellino). Il terrorismo, interno e internazionale, rappresenta una minaccia non ancora del tutto sventata. I militari italiani sono pesantemente impegnati in Afghanistan. C'è il rischio, dopo la ripresa estiva, di un aggravarsi delle tensioni sociali prodotte dalla crescente disoccupazione. Dato un simile clima, gli inviti di Napolitano prima ad una tregua, in coincidenza con lo svolgimento del G8, poi al dialogo e al confronto hanno tutt'altro che il sapore di una predica o di una stucchevole raccomandazione ispirata dal buon senso. Rappresentano piuttosto un chiaro obiettivo politico, una precisa indicazione di metodo, resa ancora più cogente dalla convergenza che nelle ultime settimane si è stabilita tra il Capo dello Stato e il Presidente della Camera Gianfranco Fini. Che proprio ieri, intervenendo anch'egli alla tradizione cerimonia del Ventaglio con la stampa parlamentare, ha ribadito quanto sia importante, soprattutto in una fase come l'attuale, che le massime cariche dello Stato si muovano in modo «consonante» e «convergente», nell'interesse supremo della nazione. Nel linguaggio giornalistico si è subito parlato dell'esistenza di un asse Napolitano-Fini, che potrebbe nascondere chissà quale disegno politico. In realtà, si tratta solo di tenere dritta la barra della politica italiana in un momento che è, oggettivamente, di grande confusione e pericolo.
Il paese ha un urgente bisogno di riforme. Soprattutto ha bisogno di superare il clima da muro contro muro che dura ormai, a conti fatti, da circa un quindicennio. Spetta alle forze politiche, legittimate dal voto popolare, uscire dall'impasse e trovare soluzioni per quanto possibile condivise e frutto, in ogni caso, di un ampio confronto politico-parlamentare (a partire dalla legge sulle intercettazioni, per finire, se possibile, con la riforma costituzionale). Spetta invece alle istituzioni - che sono neutrali e super partes per definizione - operare e vigilare affinché ciò avvenga. Tutti in questi giorni sembrano aver compreso, apprezzandolo, lo spirito che anima gli interventi di Napolitano.
Tutti tranne, evidentemente, Di Pietro.
Alessandro Campi
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