da pierodm il 15/07/2009, 12:10
L'autocandidatura di Grillo è evidentemente una provocazione, un paradosso.
Ma non perché Grillo è un "comico". Né perché "parla male del PD".
E' una provocazione perché sarebbe una provocazione qualunque candidatura alla segreteria di un partito, quando viene da chiunque sia fuori da questo partito, qualunque partito: un segretario non è un conquistatore, né un compratore che rastrella sul mercato borsistico il 51% delle azioni, ma è, cioè dev'essere - direi quasi per definizione - un "prodotto" del partito stesso.
Ma la provocazione ha avuto qualche effetto - non so se sia il "suo" effetto, cioè quello espressamente voluto: quello di far emergere le ragioni del rifiuto, o meglio, di far emergere nella concitazione del rifiuto stesso un frammento di "realtà", ossia di spontaneità, di pensiero, di atteggiamento da parte di questa politica.
Torniamo alla questione del "comico" e del "parlare male".
L'uso dell'appellativo di "comico" mi ricorda le reazioni che certa gerarchia vaticana e certi ambienti (non solo democristiani e fascisti, ma anche di una certa parte di nomenklatura del PCI) ebbero a suo tempo verso PP Pasolini, quando osò commentare nel modo che gli era congeniale alcune questioni scottanti: non più scrittore, non più intellettuale, non più artista, ma una specie di psicolabile in preda alle proprie sindromi di omosessuale, un guitto, un teatrante, uno "spostato", vale a dire un disadattato. Un povero stronzo, al quale si chiese con "quale autorità" interveniva su quelle questioni.
In questo senso, non si tratta di un paragone tra Pasolini e Grillo, ma dell'incoerenza e la strumentalità di certi punti di vista, di certe reazioni, che considerano un giornalista, un attore, uno scrittore, un panettiere, un cittadino qualunque, rispettivamente intellettuali o scribacchini, lavoratori o esaltati rompicoglioni, artisti o pagliacci, secondo che siano d'accordo o in disaccordo con quello che al momento fa comodo.
Il "parlare male" di Grillo del PD sembra anche a me esagerato, se non altro nei toni: ma sono i toni di chi sta su un palcoscenico, e fa quel mestiere.
Ma sugli stessi temi molti di noi, e anche molti nella sinistra stessa, nel partito stesso, esprimono in sostanza le stesse idee: con toni più misurati, ma proprio per questo forse più gravi, in quanto esprimono un dissenso meno spettacolare e più profondo, più "politico".
Ma non voglio continuare a insistere su questo tasto. Vado al sodo.
Le candidature stravaganti e provocatorie non si bloccano per via burocratica, o con la censura verso il mestiere o la figura del canditato, ma con l'autorevolezza: nessun artista, nessun "pagliaccio" si sarebbe mai sognato di candidarsi alla segreteria del PCI, e nemmeno del primo PDS, ma nemmeno della DC - e non è che mancassero i critici acerrimi del partito, nelle varie categorie.
Come d'altra parte ho già detto, sono stati questi stessi dirigenti - diciamo brevemente, è stato questo stesso partito - a trascinare a mano a mano, per la parte che gli competeva, la politica su questa linea personalistica, su questo schemi leaderistici, sull'esasperazione competitiva giocata a tutto campo.
Quando D'Alema si lamenta dell'invasione della società civile, la dice sbagliata, ma il disegno è corretto: la politica - privata scientemente di ogni confine ideologico, destrutturato il concetto di partito, ridotta al sistematico conteggio maggioritario dei voti, etc - è destinata ex officio ad ogni genere di "invasione": anche qui, non possiamo considerare "modernità" l'invasione dei Colaninno, e una nequizia quella dei Grillo.
Per inciso: io non voterei mai Grillo, ma soprattutto perché penso che sia opportuno che ciascuno faccia quello che sa fare meglio, e che per un giornalista bravo, un comico di successo, uno scrittore geniale, diventare un parlamentare o un dirigente di partito non sia per niente una "promozione".