Dal Corriere.it :
Il personaggio Marino, «campione» dei laici
«Ma farò ancora il medico»
Oggi l’annuncio della candidatura del chirurgo al congresso: sui temi etici devono decidere gli iscritti
ROMA — Più d’uno in questi giorni gli ha chiesto: «Se diventi segretario, che fai?». E lui, con un sorriso: «Chiederò di poter continuare a operare una volta alla settimana». Una battuta, ma fino a un certo punto. Ignazio Marino, il senatore-chirurgo, che oggi dovrebbe candidarsi ufficialmente alla segreteria del Pd, da quando è parlamentare va in ospedale a Verona la domenica, dorme lì, e poi torna il lunedì sera a Roma (questa settimana invece ha operato proprio ieri). E’ stata una delle condizioni che ha posto dopo che Massimo D’Alema, di cui è amico di famiglia, lo ha convinto a tornare in Italia, tre anni fa. Del resto, come ama spiegare lui, «in ospedale si sta a contatto con la vita normale: si parla con gli infermieri, i pazienti, i familiari, e così si capiscono i veri problemi della gente». Ma come mai un chirurgo di fama mondiale, un genio dei trapianti di fegato, un signore che ha collaborato con gli esperti di bioetica di Obama per la ricerca sulle staminali, decide all’improvviso di candidarsi alla guida di un partito in non eccellenti condizioni? Domanda obbligatoria. Risposta altrettanto obbligatoria (almeno per come la vede lui): «Io che non ho mai avuto una tessera di partito prima d’ora, che non vengo né dalla cultura della Margherita né da quella dei Ds nel Pd mi sento a casa mia, sono convinto che questa formazione possa imprimere una svolta al centrosinistra».
Prendere Marino per un ingenuo, però, sarebbe un errore marchiano. Il senatore- chirurgo è l’uomo che a un D’Alema furente con lui per la decisione di candidarsi ha risposto con queste parole: «Massimo, io sono anni che passo la mia vita tra fegati e sangue, pensi che possa avere ora paura di affrontare un confronto politico?». Che Marino non sia uno sprovveduto, nonostante non abbia mai fatto vita di partito, lo ha capito al primo incontro Goffredo Bettini: «Venne da me, che nel 2006 ero il capolista nel Lazio per il Senato, per prendere contatti. Gentilissimo, mi sembrò persino timido. Ma quando cominciò a parlare compresi subito che mi trovavo di fronte a una persona intellettualmente accorta e acuta, a un uomo che invece di usare tante frasi in politichese arrivava al cuore dei problemi con semplicità e facilità». Ecco, questo è il signore che ieri tutti gli ex democristiani, da Beppe Fioroni a Franco Marini, hanno criticato perché ancora ricordano la battaglia che ebbero con lui sul testamento biologico. A quell’epoca, Marino confidava a qualche senatore amico: «Quante volte le gerarchie ecclesiastiche mi hanno detto sui temi etici cose molto più coraggiose di quelle che vanno dicendo certi ex dc».
Già, perché il senatore-chirurgo, oltre a essere un cattolico (e un bravo scout da ragazzino) è anche in ottimi rapporti con le alte sfere della Chiesa. Sarà difficile, quindi, dipingerlo, nello scontro congressuale come una sorta di «Anticristo». E sarebbe sbagliato anche accusarlo di saper parlare solo di testamento biologico e di valori laici. E’ chiaro che a quei valori il senatore- chirurgo crede, ma ha delle idee ben precise pure sul Partito democratico che vorrebbe. Un partito che, magari, non potrebbe tener fuori dalla sua Direzione, come avviene adesso, un signore che offre le sue consulenze alla Casa Bianca. Perché, come dice uno dei pd che stanno lavorando alla sua candidatura, «sarebbe bene aprire sul serio alla società civile, anche e soprattutto a quella che non si fa cooptare». Marino sogna un Pd «senza correnti, che mescoli le culture e che faccia contare sul serio gli iscritti». Come? «Per esempio quando il partito, com’è accaduto sul testamento biologico, ha difficoltà a prendere una decisione, non riesce a scegliere, si deve affidare al dibattito tra gli iscritti. Possono decidere loro, con una consultazione».
Sul treno che lo riporta da Verona a Roma, però, Marino non vuole parlare della sua candidatura. Preferisce ricordare l’operazione che ha appena eseguito e smentire le voci malevole che lo vorrebbero in freddo con Umberto Veronesi per dissidi tra prime donne della medicina («È una persona verso cui provo un rispetto straordinario e lui per me ha una certa, come dire... tenerezza»). Comunque l’altro treno, quello che della sua candidatura è già partito. Il macchinista è il deputato romano Michele Meta, cui tocca il compito di organizzare l’operazione-Marino. Bettini guarda e sorride, dalla stazione: «Mi dipingono come uno che muove i fili di questa vicenda. Falsità. Chiunque lo conosce sa che la forza di Ignazio è Ignazio stesso». Da qualche giorno lo sa anche l’«amico» D’Alema: chi vive in sala operatoria, «tra fegati e sangue», acquista inevitabilmente la determinazione necessaria ad affrontare lo scontro congressuale.
Maria Teresa Meli
04 luglio 2009