Mi chiedo dove sarebbe il terzo laterale a sinistra, a questo punto, dato che la parte a destra del PD sfiora il 50% (il 60% se... - Franz.
Se la mettiamo sul numerico stretto, allora, non capisco perché si parla di "terzi", dato che il 50% non è un terzo ma la metà, e il 10% dei centristi UDC anch'esso non è un terzo.
Già altre volte, però, avevo criticato quella che chiamavo la "sindrome della simmetria", cioè quella tendenza a schematizzare la realtà secondo una suddivisione per "numeri canonici", che sono in genere uno, due, tre, cinque e dieci.
La realtà è invece spesso asimmetrica: due parti grandi, una piccola e due o tre microscopiche, o sei medie e due piccole, o quattordici, o ventidue disuguali, etc. - oltre al fatto che altrettanto spesso le varie parti si sovrappongono o sfumano l'una nell'altra senza un confine preciso.
Partiamo dalla definizione che abitualmente si dà circa la famosa area "moderata": chi non è schierato né con la destra né con la sinistra, tanto per cominciare - e il PD mi sembra che corrisponda.
Poi, chi ha un'impostazione "gradualistica" rispetto a chi crede nelle azioni di rottura - e anche qui ci siamo.
Poi, chi crede nella sostanziale bontà dello status quo, ovvero chi si mostra dichiaratamente "legalista" rispetto a pulsioni di vario genere che contestano l'impianto istituzionale in quanto squilibrato a favore di una parte - e anche qui ci siamo.
Poi, chi non avanza gravi contestazioni al sistema economico, ma si limita a rivendicare qualche riforma che ne migliori il funzionamento - e anche qui il PD mi sembra in linea.
Ora, quest'area può corrispondere ad una percentuale assai variabile: quando si dice "un terzo" credo che si debba intendere non tanto come quantità, ma come "terzo soggetto" rispetto ad altri due. Una questione di sostanza, insomma, più che un valore numerico.
Lo stesso vale anche per gli altri "terzi", ossia per gli altri soggetti, che in realtà possono essere anche più di due: una destra conservatrice liberal-democratica, per esempio, più una destra estrema, più una sinistra d'impronta sindacale, più una sinistra "rivoluzionaria", più un'area religioso-integralista, più un'area di accentuato riformismo liberale, più un liberalismo rivolto principalmente ai diritti civili (radicali), etc.
E' vero, possiamo ex officio accorpare queste aree, per arrivare a definire due schieramenti, o tre, ma dipende a quale scopo lo facciamo: sul piano politico-culturale si è visto durante l'opposizione al fascismo e nella resistenza che gli schieramenti sono stati sostanzialmente due.
Quando però si cerca di definire la composizione di un elettorato, gli accorpamenti rischiano di dimostrarsi artificiosi e fallaci: se le aree sono sei o sette, bisogna eventualmente valutare le loro rispettiva compatibilità, e le ragioni che ne costituiscono l'esistenza e l'effettiva rappresentatività sociale.
In questo senso, a me sembra che il centrismo, il moderatismo sia largamente rappresnetato proprio dal PD, sia seguendo le difinizioni di cui sopra, sia guardando alla parte di società che vi si riconosce: difficile pensare che quella parte "operaia" che si riconosceva nel PCI, per esempio, trovi nel PD una naturale rappresentazione, o che la trovino quelle categorie più povere, più emarginate, più deboli e meno garantite.
Nel momento in cui un sistema elettorale viene forzato verso il bi-tri-polarismo può darsi che una parte dei non-rappresentati confluisca nel voto verso il partito meno lontano, ma questo non cambia la sostanza della lettura delle posizioni sociali, né l'insufficiente potere di rappresentatività di quel partito, e quindi la sua cagionevolezza o debolezza tout court.
Ma c'è poi un ulteriore elemento di perplessità, di carattere strettamente elettorale.
Pensare di dover andare a caccia dei voti moderati, credendo di essere "di sinistra", senza accorgersi che i voti moderati che era possibile raccogliere già si hanno, significa essere destinati ad una perenne frustrazione.