da borghinolivorno il 21/06/2009, 13:29
Si al referendum: lettera aperta di Segni e Guzzetta pubblicata sul Corriere della Sera del 20 giugno
Caro direttore, Sartori è il più illustre tra i nostri critici. E allora facciamo qualche precisazione.
Gli obiettivi del referendum erano tre. Innanzitutto ridurre la frammentazione: grazie alla spinta del referendum e alle decisioni di Veltroni e Berlusconi alle elezioni del 2008 è stato fatto un passo avanti. Ma è un risultato che può svanire già alle prossime elezioni. Cosa farà il Pd? Andrà da solo o riprenderà la strategia delle alleanze? Il Pdl rimarrà unito anche nel dopo Berlusconi? Se non passa il referendum la frammentazione può ritornare, così come i partiti dell'un per cento con il loro potere di veto. Con la legge attuale, non vi è nessuna soglia di sbarramento per nani e nanetti coalizzati. Lo scriveva sul Corriere del 1˚novembre 2006 proprio Sartori (oggi tanto critico), il quale, dopo avere detto che «i referendum del professor Guzzetta sono di gran lunga meglio di niente», affermava: «Le coalizioni vanificano lo sbarramento.
Pertanto la proposta di vietare i collegamenti elettorali è sacrosanta».
Il secondo obiettivo è quello di eliminare le candidature multiple, su cui anche Sartori concorda. Il terzo è quello di eliminare le coalizioni. Il 5 giugno 1946, alla Costituente, Piero Calamandrei si domandava: «Come si fa a far funzionare una democrazia che non possa contare sul sistema dei due partiti, che, in Italia, in questo momento non esiste e che ancora per qualche tempo non esisterà, ma che deve invece funzionare sfruttando o attenuando gli inconvenienti di quella pluralità dei partiti la quale non può governare altro che attraverso un governo di coalizione?» Perché, aggiungeva, «È il governo di coalizione che non ha coesione, che si frantuma». Ci sono voluti più di sessant'anni perché il processo di costruzione di due grandi partiti si avviasse.
Governo di coalizione ha significato, da noi, governo fondato sul ricatto dei partiti minori che tengono in scacco la maggioranza minacciando la crisi di governo. È successo nella scorsa legislatura, ma anche in questa. La Lega la fa da padrone e ha imposto, per evitare l'accorpamento con le europee, il referendum il 21 e 22 giugno, con lo spreco, inutile, di 330 milioni di euro. Noi ci battiamo per il principio secondo cui il partito che vince governa senza dover subire il ricatto di una minoranza. E ha di fronte un'opposizione grande e unita. Come accade nelle democrazie più avanzate, Inghilterra, Francia e Stati Uniti. E poi: cos'è più democratico?
Che un partito governi da solo con il 35 per cento dei voti, come Tony Blair nel 2005, o che un partitino dell'1 per cento possa far cadere un governo e provocare lo scioglimento delle Camere com'è accaduto nel 2008, aprendo la strada alla vittoria di Berlusconi?
Si dice che così chi vince le elezioni potrà cambiare la Costituzione senza referendum confermativo: falso. Con il premio di maggioranza al singolo partito mancherebbero ben 81 deputati per raggiungere il quorum dei due terzi. Il doppio di quelli della Lega, se vincesse Berlusconi.
È falso che sia un regalo a Berlusconi. Anche oggi, la legge elettorale permette a Berlusconi di andare da solo. Questi sono gli argomenti dei nostalgici della prima Repubblica, che sperano in un ritorno alla politica dei «doppi forni» e delle «geometrie variabili». All'Italietta ingovernabile, sulla quale lo stesso Calamandrei ammoniva: «Le dittature sorgono non dai governi che governano e che durano, ma dalla impossibilità di governare dei governi democratici».
Anche per questo voteremo sì.
Giovanni Guzzetta e Mario Segni
presidente e coordinatore del comitato promotore dei referendum elettorali