[RIFORMANDO:607] Liberta' di licenziare sul lavoro
Francesco Forti  Giovedi`, 20 Luglio 2000

http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20000720/commenti/14vad
o.html

Libertà di licenziare e flessibilità del lavoro 

                di PIERO OTTONE 

FLESSIBILITà del lavoro, libertà di licenziamento: ho
esposto di recente su questo tema spinoso una proposizione di
semplicità estrema (che ripeterò fra un istante per comodità
del lettore). Nei giorni successivi ho ricevuto numerose
lettere, favorevoli e contrarie a quel che ho scritto; troppe per
essere pubblicate, o per dare risposte individuali. Torno quindi
sul tema, per tentare, se mi riesce, una risposta collettiva.
La proposizione era questa: in un sistema di stampo
capitalistico, quale il nostro, un imprenditore è libero di
assumere persone per produrre beni o servizi, ed è libero di
licenziarle quando quelle persone non gli servono più, o
perché non produce più quei beni o servizi, o perché li
produce in quantità diversa, o perché li produce in altro modo.

Molti lettori, fra i quali gli avvocati sono numerosi, mi
rispondono piuttosto irritati che ho scoperto l'acqua calda,
perché la libertà di licenziamento è prevista dalla legge. Che
cosa vado cercando, dunque? In Italia si può licenziare.
Ma si può davvero? Ne dubito, e infatti molte di quelle lettere,
dopo avermi accusato di scrivere cose ovvie, contengono
critiche e obiezioni, a dimostrazione che tanto ovvie non sono.
Cerchiamo dunque di intenderci. Preciserò innanzi tutto che
la proposizione da me formulata non esclude l'osservanza di
obblighi contrattuali da parte dell'imprenditore. Se un tale è
assunto con un contratto a termine, mi sembra evidente che
non può essere licenziato prima di quel termine. Supponiamo
poi che l'imprenditore non osservi i suoi obblighi, che non
paghi i contributi, che non garantisca la sicurezza sul lavoro; e
supponiamo che il lavoratore lo richiami all'osservanza dei
suoi doveri, per via giudiziaria o per altra via: l'imprenditore
non ha alcun diritto di vendicarsi col licenziamento, ci
mancherebbe altro. 
Tutto questo mi sembra evidente: ora lo specifico solo perché
mi rendo conto, a giudicare dalle lettere ricevute, che non è
evidente per tutti.
Ma altre lettere sollevano obiezioni di principio. La libertà di
impresa, molti scrivono, trova un limite in considerazioni
sociali e morali. Si afferma che nel rapporto di lavoro il
lavoratore è la parte più debole, e deve essere protetto;
soprattutto deve essere protetta la sua dignità. Sono
d'accordo: la dignità di ogni individuo è sacra. Ma non vedo
alcuna lesione alla dignità di un cittadino se gli si dice che non
è più necessario per produrre quei beni e quei servizi per la
cui produzione era stato assunto. Al contrario, mi sembra
assai poco dignitoso conservare un posto di lavoro quando
non si è più necessari. In nome di che cosa? Compassione?
Pietà?
In virtù di considerazioni sociali, si risponde: anche il
lavoratore non più necessario ha diritto di vivere,
probabilmente deve mantenere una famiglia. Sacrosanto
anche questo: ma ho scritto l'altra volta, e ripeto adesso, che
il compito di fornirgli i mezzi di sostentamento spetta allo
Stato, non all'impresa. Lo Stato deve dare al disoccupato un
salario, e magari insegnargli un nuovo mestiere. Molti lettori
obiettano che in questo modo si impone allo Stato un nuovo
onere. E l'obiezione è ineccepibile: ma proviamo a ridisegnare
lo Stato assistenziale, secondo concetti logici e razionali, e
probabilmente scopriremo che alla resa dei conti lo Stato
spenderà di meno, non di più.
Anche perché una conseguenza della proposizione da me
esposta sarà la fine di oneri e contributi impropri, che oggi lo
Stato paga sovente alle imprese per compensarle di quell'altro
onere improprio derivante dalla difficoltà (nonostante le
norme di legge) di licenziare. E qui veniamo a un terzo ordine
di obiezioni contenute nelle lettere di molti lettori; obiezioni
che pienamente condivido.
Si dice infatti: se adottiamo regole liberistiche, dobbiamo
adottarle non solo verso i lavoratori, ma anche verso gli
imprenditori, ponendo fine a tanti interventi statali manifesti o
larvati da cui le imprese traggono beneficio. Giustissimo: la
coerenza lo impone.
Bisogna rompere un circolo vizioso: evitare di chiedere alle
imprese funzioni improprie (l' assistenza a una mano d'opera
di cui non abbiano bisogno) per non essere indotti a
compensarle con benefici altrettanto impropri (l'assistenza
statale). "Urge una riflessione seria - scrive un lettore - sul
ruolo dello Stato rispetto alla società civile". Lo penso anch'io.


==============

Nel caso, la penso anche io come Ottone.
In praticamente tutti i paesi europei e' cosi'.
Non c'e' il "circolo vizioso" e ci sono abbondanti 
sussidi di disoccupazione e strutture atte alla
riqualificazione di chi rimane disoccupato. 

Spero che ci sia occasione di parlarne subito,
altrimenti diamo ragione a chi pensa che di queste cose 
si parla solo se c'e' a breve un referendum provocatorio. 

Saluti,
Francesco Forti




[Date Prev] [ ">Back ] [Date Next]