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At 00:33 18.07.00 , Salvatore CAMAIONI wrote: > Me lo aspettavo. Non so se durante la tua breve vacanza hai avuto modo >di leggere le cronache politiche, ma ti invito a riflettere su ciò che sta >succedendo nel governo regionale della Sicilia, il cui speciale statuto >autonomistico la rende, di fatto, una regione 'federata' all'Italia. > Cari saluti >Salvatore Camaioni Anche io posso dire che c'era da aspettarselo. Il federalismo non c'entra un fico secco con le regioni e con la loro maggiore o minore autonomia. Caso mai si parla di regionalismo, non di federalismo. Ed il caso siciliano, come quello sardo, ci mette in bella mostra il palese fallimento della esperienza di decentramento regionalista (con poche eccezioni) Elefanti burocratici fermi ed inattivi, bloccati da una costosa burocrazia e da lotte interne di potere; un tentativo di imitare in piccola scala l'impotenza politica dello stato centrale. E questo vale soprattutto per le regioni a statuto speciale, quasi a dimostrare che piu' si spinge verso il regionalismo e maggiori sono i disastri dell'immobilismo regionale. Uniche eccezioni sono date dal Trentino AAA e dalla Valle d'Aosta. La prima de facto non esiste piu'. La regione ha ceduto tutti (ripeto tutti) i suoi poteri alle due provincie autonome e se queste avessero fatto altrettanto dando piu' poteri politici e risorse economiche ai comuni allora saremmo in grado di osservare qualcosa di prototipale rispetto ad un inizio di federalismo "alla svizzera". Ma mancherebbe ancora tutta la parte del federalismo fiscale, che solo il parte si trova in Valle D'Aosta (100'000 abitanti, come un piccolo cantone svizzero) che e' contemporaneamente regione e provincia. Pallidi esempi di buona amministrazione regionale li possiamo trovare in EmiliaRomagna ed in Toscana ma non confondiamo questo con il federalismo. Mettiamocelo in mente. Federalismo non vuol dire "dare piu' poteri, soldi ed autonomia alle regioni". Questo ce lo raccontano i nostri politici ma loro di federalismo non capiscono un "acca", salvo eccezioni che si contano sulle dita di una mano o due. Loro dicono "federalismo" ma in realta' pensano al "regionalismo", ad un piu' "ampio decentramento". Sono cose diverse ed antitetiche. Non sono la trasformazione di una cosa nell'altra, tramite aggiunta o sostituzione di particolari, quasi ci fosse un kit di montaggio. E' una cosa molto piu' profonda e sostanziale, che parte dal basso, dal cittadino e dall'ambito a lui piu' vicino, non dall'alto con circolari e decreti. Ma non preoccupiamoci, il federalismo non e' cosa complessa da farsi. L'unico problema serio e' quello di semplificare la legislazione e di togliere potere a chi ora ne ha troppo (lo so, non sono problemi da poco) e di creare col tempo e con la esperienza quelle procedure cooperative e di controllo che lo ottimizzano nel tempo. Ma l'idea e' cosi' semplice che fu alla portata di qualche migliaio di contadini piu' di 700 anni fa. Non puo' essere una cosa sofisticata ed al di la' della nostra portata progettuale. D'accordo che si dice "contadino, cervello fino" ma noi dopo tanti secoli dovremmo essere in grado di capire che il federalismo non e' un decentramento piu' spinto e con qualche gabello autonomo in piu'. Non posso pretendere che i politici lo capiscano (e se lo capiscono hanno interessi opposti a quelli federali) ma i cittadini dotati di un minimo di cultura quello si'. Quindi prima di criticare o di applicare, cerchiamo di capirlo e se lo confondiamo con il regionalismo siamo lontani mille miglia. A proposito di ostilita' al federalismo, a parte la sinistra alternativa, che onestamente si schiera contro, ecco un ottimo quadro dipinto dal buon Sergio Romano, sul Corriere di alcuni giorni fa (ma anche lui associa federalismo a regioni come per una sorta di riflesso incondizionato, o "dogma"): ====[Quote] "Quando le posizioni della Lega cominciarono a riscuotere consensi nelle regioni del Nord, i grandi partiti, dopo avere resistito per alcuni anni, credettero di esorcizzare il problema dichiarandosi tutti "federalisti". La realtà è assai meno semplice. La sinistra è "unitaria" e giacobina, soprattutto quando la domanda di federalismo parte dalle regioni più ricche e rischia di sottrarre risorse alle zone meno sviluppate del Paese. Il Polo è federalista al Nord, perché non può ignorare gli umori dei suoi elettori in queste regioni, ma centralista al Sud dove la prospettiva federale è generalmente considerata con qualche timore. Qualsiasi organizzazione nazionale - i maggiori partiti, i sindacati, la pubblica amministrazione, i grandi corpi dello Stato - intravede nel federalismo una minaccia ai suoi poteri e alle sue competenze. Nessun partito è pronto a tollerare che una federazione regionale si stacchi dalla casa madre. Nessun sindacato intende rinunciare al contratto nazionale, vale a dire allo strumento che maggiormente garantisce la sua autorità. Non basta. Occorre ammettere che il federalismo si scontra talora con alcuni tabù nazionali sull'uniformità dei diritti e dei doveri. Saremo tutti sorpresi, probabilmente, quando constateremo che una regione, ad esempio, potrebbe far proprie, senza attendere una legge nazionale, le proposte del ministro Turco sulla costituzione di cooperative fra prostitute. Questi sono alcuni dei motivi per cui il federalismo italiano sta nascendo con grande lentezza, tra molte ipocrisie e riserve mentali. Ma nessuno di essi giustifica il rinvio a settembre delle quattro modeste riforme costituzionali che le Regioni attendono, tra l'altro, per scrivere finalmente i loro statuti. Una parte considerevole della classe politica sembra dimenticare che il federalismo non è più un'opzione. Se un Parlamento permette che i presidenti regionali vengano eletti direttamente dai cittadini, non può impedire che queste nuove figure politiche pretendano poteri corrispondenti all'importanza del loro mandato. Vi è una domanda di federalismo che assume talvolta aspetti folcloristici (il giuramento di fedeltà alla Lombardia), ma corrisponde ai sentimenti di una larga parte del Paese. Il fatto che la Toscana, non particolarmente nota sinora per i suoi sentimenti federalisti, si appresti a trasformare l'Assemblea regionale in "Parlamento", dimostra che il fenomeno non è soltanto settentrionale. Ma nelle regioni del Nord, in particolare, federalismo è diventato sinonimo di sviluppo e modernizzazione. Per meglio correre dietro all'Europa, il Nord vuole che lo Stato gli allenti le briglie sul collo e gli permetta di rimuovere con le proprie mani gli ostacoli che lo rallentano. A Roma, evidentemente, non lo hanno capito e hanno adottato una politica miope, se non addirittura insolente, che non giova, in ultima analisi, né al Nord né al Paese." ===[EndQuote] Saluti, Francesco Forti ![]() |