[RIFORMANDO:531] R: I: Re: Tu quoque, Gramsci, foederalis?
Piero DM  Giovedi`, 08 Giugno 2000


----- Original Message -----
From: Salvatore CAMAIONI

>     Tornando alle scienze dell'uomo, la pretesa di capire tutto senza
alcuna
> mediazione è un peccato di superbia e, sotto il profilo scientifico,
> un'ingenuità. Io che di questo ho piena consapevolezza, come della mia
> assoluta ignoranza del pensiero gramsciano, non mi improvviso esegeta e,
con
> molta umiltà, cerco di capirne qualcosa ripercorrendo la strada fatta da
> chi, prima e meglio di me, si è preso la briga di studiarne il
significato.
> Naturalmente, nella scelta delle fonti del mio apprendimento non ho
> preconcetti di sorta né riverenze per alcuno; rifuggo dalle
interpretazioni
> "ufficiali" e mi affido agli scienziati "laici", in tutti i sensi.

Caro Salvatore, sono d'accordo con te per molte delle cose che dici in
questo e altri interventi, ma questo passaggio mi sembra piuttosto
spericolato :-)
Non ne faccio una questione di principio impostata sull'affermazione di una
generica "libertà" (anche se si potrebbe), ma mi limito a fare una
considerazione per così dire tecnica: gli esegeti, i mediatori, gli
interpreti ufficiali e qualificati, sono spesso molto più incomprensibili
degli autori che vorrebbero spiegare al volgo. Quando questo non avviene sul
piano della sintassi pura e semplice, si pone comunque il problema di
"interpretare" ideologie e impostazioni culturali degli stessi mediatori,
che non sono affatto necessariamente più semplici o più neutrali degli
autori di cui si occupano.
Anzi, è spoesso vero il contrario, poiché generalmente si tratta di
accademici o saggisti analitici, laddove invece gli "autori originali" hanno
un talento e una comunicatività nettamente migliore.
Questo non significa che leggere i commentatori sia inutile o dannoso, se si
ha l'accortezza di farsi un'idea anche delle loro posizioni ideologiche o
estetiche.

Mi viene in mente per esempio un autore sicuramente complesso, vissuto in un
periodo storico estremamente denso di fermenti contraddittori, calato dentro
un mondo culturale e politico attraversato da fortissime tensioni, e oltre
tutto un autore difficile da catalogare con certezza tra i filosofi o tra i
poeti o letterati in genere, o tra i profeti o i sociologi, tra i moralisti
o gli ideologi politici: F. Nietzsche.
Se si legge soltanto una delle sue opere, o magari solo una parte
"essenziale" di questa unica opera, si possono trarre delle conclusioni più
diverse sul pensiero di quest'uomo, a seconda di quale opera si tratta, di
quale pagina. In questo caso è di grande utilità la lettura attenta della
prefazione del suo ottimo e canonico curatore italiano, se non altro per
evitare di farsi idee sbagliate.
Ma è anche vero che ancora meglio e di più si capisce Nietzsche se invece si
ha la pazienza (non ne occorre molta, è un ottimo srittore) di leggere altre
opere, altre pagine. Sono pagine spesso difficili (ma non più di quelle di
Montinari o di Giametta, suoi studiosi-commentatori, o di tanti altri
intellettuali che hanno parlato di lui) ma in compenso si
scopre di riuscire a cogliere benissimo il senso e anche il dettaglio del
suo pensiero, e anzi si coglie proprio quell'essenza che è destinata a
rimanere fuori dalle spiegazioni esegetiche.
In realtà, l'aiuto degli esegeti non sorregge la conoscenza diretta, ma
soltanto ne dilata i confini, e serve soprattutto a collocare l'autore in un
contesto storico-culturale che è necessariamente, fascinosamente invisibile
o distorto da dentro le
pagine dell'opera.
Nel caso di Nietzche, per esempio, io sono convinto che le sua mitizzata
configurazione "nazista", l'esasperata interpretazione superomistica, sia
dovuta proprio ad una devianza esegetica, che ha fortemente piegato il suo
pensiero in questa direzione, limitandolo e negandone in definitiva i
significati più interessanti, che invece vengono percepriti con immediatezza
proprio da una lettura diretta: ovviamente, una lettura non distratta o
puramente emozionale, ovvero una lettura per la quale la "cultura normale" è
solo uno strumento messo al servizio dell'intelligenza del lettore e di un
suo sforzo di capire che non può essere eliminato da nulla e da nessuno.

Un discorso analogo vale per Gramsci e per tutti quegli autori "geniali e
popolari", dove per popolari si intende che hanno scritto "per tutti e per
nessuno", e sicuramente non tenendo d'occhio i circoli accademici.
Fin qui il discorso tecnico.
Ma c'è un lato ulteriore da considerare, che spinge ad una cautela più
sospettosa verso i mediatori e gli esegeti, specialmente quando c'è di mezzo
la politica o la morale: i mediatori hanno spesso un eccessivo interesse a
far emergere significati che tornano utili alla "loro" causa, al loro modo
di vedere, agli interessi di chiesa o di partito. Sto parlando di una voluta
e consapevole manipolazione, e non del generico "punto di vista soggettivo"
a cui facevo riferimento prima.
Naturalmente non è affatto escluso che anche questo genere di commenti
manipolatori possano comunque tornare utili (leggendo leggendo, tutto fa
brodo), ma forse più per capire il mondo e le intenzioni dei dintorni che
l'autore in sé e per sé.

A tutto questo aggiungerei anche un'altra considerazione.
La cultura italiana (nel suo senso più lato e popolare, esattamente secondo
Gramsci) soffre intrinsecamente e fondamentalmente di un eccessivo,
istintivo rispetto reverenziale verso "l'autorità", soprattutto quella dei
mediatori, dei demiurghi, dei sensali di idee, dei prefetti della morale:
eredità innanzi tutto dell'antico e implacabile dominio ecclesiastico
cattolico romano.
L'accenno alla "libertà luterana" di Francesco è dunque quanto mai
giustificato come metafora, benché poi sia Calvino sia Lutero siano stati i
fondatori di una libertà tutt'altro che libertaria e liberatoria, ma anzi di
una società ancora più moralistica, repressiva e ipocrita di quella
cattolica.
Quindi, ispirarsi a Lutero per liberarsi della necessità dell'imprimatur va
benissimo, ma stando bene attenti a realizzare un'effettiva libertà
individuale di interpretazione e lettura dei testi, delle filosofie e della
stessa realtà: una libertà laica, che da un lato presume la nostra capacità
di capire e giudicare, dall'altro impone a questo scopo un impegno adeguato,
talvolta una fatica, una ricerca, una viglianza critica.
In definitiva, si ripropone di nuovo (non per caso) il problema fondamentale
della democrazia, che è affermazione dell'individuo ma non dell'anarchia, ed
è soprattutto la negazione sia dell'autoritarismo, sia del populismo -
specialmente di quel populismo oggi di gran voga, che prevede non la lotta
contro l'ignoranza, ma il trionfo dell'ignoranza facilona, e del puro
opinionismo.

= Piero DM =






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