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Carissimo amico Mobiglia, le tue considerazioni circa le ragioni della sconfitta del centrosinistra nelle scorse regionali, sconfitta relativa, dato che il polo ha vinto anche perché ha attuato quella spaventosa e poco liberale alleanza con la xenofoba lega posthaideriana e la corporativista fascista fiamma tricolore di Rauti nel centro-sud: accordo fatto e stipulato latentemente rispetto agli occhi dell'opinione pubblica e che nasconde in seno una piattaforma di rivendicazioni particolaristiche e razziste altamente pericolose per la socialità e l'alleanza comunitaria italiana ed europea civile e civica. Carissimo Mobiglia, tu hai 7 anni più di me e certamente farai politica o parlerai di politica o discuterai di politica da più tempo rispetto a me: la figura di Moro ha segnato gran parte delle pagine della storia italiana, di una storia difficile fatta di stragismi integralisti, di forti spinte reazionarie da parte di logge massoniche filomilitariste miranti all'instaurazione nel Paese di un regime totalitarista, antidemocratico fortemente compromettente le basi costituzionali ed istituzionali del nostro stato, nate dalla Resistenza culturale italiana ed europea al fascismo nazionalista. Carissimo amico tu capirai quanto sarebbe stato importante riportare un'unità tra le forze democratiche e sociali che si anteponevano all'instaurazione di un regime illiberale e liberticida sulla falsa riga di quello militarista post-golpista greco instauratosi negli ultimi anni 60. Un blocco unitario di forte opposizione di solidarietà nazionale di alto senso di tutela e di doverosità di tutela delle fondamenta istituzionali e rappresentative democratiche e costituzionali avrebbe certamente ridato vigore e passione civica negli animi dei cittadini per resistere attivamente a questi tentativi di smantellamento di un patto civile e civico di costituzione di un forte apparato genetico e culturale di un Paese liberale e solidale. Si è riusciti a farlo ed a costruirlo, ma qualcuno ha dovuto rimetterci la vita: questo qualcuno è stato, come tu saprai, Moro. Certo tu consideri, come io considero, il fatto che questa illustre figura di statista proveniva da una cultura differente dalla nostra, ma non divergente: era un professore universitario di diritto romano, un intellettuale ed aveva precorso lo sfascio delle istituzioni, la degenerazione della cultura civica e civile che si stava battendo minacciosamente sul nostro Paese e che avrebbe investito gli apparati del medesimo qualche decennio più tardi, alla luce delle palesate connessioni tra poteri economici e corporativistici e poteri decisionali governativi politici. Caro Mobiglia, ti chiamo così dato che non conosco il tuo nome, tu consideri il fatto che i DS si sono accerchiati di modesti cespugli moderati del centro postdemocristiano: hai ragione il centro è un pericolo quando dà libera espressione a logiche di conservazione corporativa di interessi privati e lobbistici e di forte mutismo genetico geopolitico che tenta di cercare compromessi a basso prezzo con qualsiasi forze presente nello schieramento politico e parlamentare contingente; diventa sublime alleato quando comprende la vera filosofia cristiana e liberale manzoniana, rosminiana, romagnosiana, critico-giansenista, altamente riformista che pone la libertà dell'individuo al centro dell'attenzione di indagine culturale e lo mette in interazione con la collettività circostante. Questo è il cristianesimo che potrebbe, anzi deve essere amico di una sinistra socialdemocratica, fortemente connotata con una cultura che propaganda la solidarietà promozionale, la fratellanza, l'unità ed il senso di coesione civile e culturale in un'azione di collaborazione governativa e politica. Certamente la sinistra ha perso perché ha cozzato innanzitutto con gli interessi corporativistici esistenti nel Paese, fortemente esistenti e difficilmente combattibili: confindustria, la Chiesa, i baroni docenziali, le classi corporative dei medici, le logge finanziarie e borsistiche. Sono costoro che detengono il potere decisionale di maggiore rilevanza nel nostro Paese; sono costoro che antepongono i propri interessi alla ricerca di una bene comune e collettivo universale. Ebbene a costoro non interessa considerare se è meglio dialogare con una coalizione di sinistra o di destra: a loro interessa proporsi come forza latente governante i processi decisionali economici influenzanti quelli politici e, poi, magari, poter valutare se quel determinato governo o quella determinata compagine è disponibile o meno a sottostare alle loro pretese. Queste spinte neocorporativiste sono la causa, una delle maggiori cause degli insuccessi e della stabilità di un governo: chi riforma deve essere tenuto sotto controllo, altrimenti deve, secondo le loro bieche posizioni "ideali e programmatiche", essere gentilmente liquidato. In secondo luogo la sinistra ha perso la voglia e la forza di proporsi come sinistra; "Siamo stanchi di dipingere il mondo così come è, vogliamo cambiarlo" diceva Marx: qualcuno dice oggi "siamo stanchi di voler cambiare il mondo lo vogliamo tenere così come esso è". La forza progettuale di una forza che deve essere riformista, quindi intrisa da forti motivazioni ideali, come dice Bobbio, non può rimanere ferma a "governare" l'esistente così come esso si presenta e confondersi con la forza esecutiva di un normale ministero di una maggioranza tecnica: questo modo di governare fa perdere la motivazione propositiva alimentante una ragione ontologica dell'esistenza di una forza di maggioranza nuova e progressista; il mezzo, il mantenimento del potere, in quanto potere, rischia di divenire il fine. La sinistra deve essere coraggiosa di fare delle riforme ma partendo dal basso, dal popolo, dalla collettività, come bene ha detto il giornalista di Repubblica Antonio Pollio Salimbeni: il calare dall'alto certi progetti crea diffidenza tra gli elettori, crea discrepanza tra vertici della politica e popolo, crea forte disconnessione tra interessi della comunità e preservazione degli interessi corporativi delle lobby tradizionali di potere. Infine la sinistra forse ha perso perchè non ha saputo integrare le grandi trasformazioni di processo economico produttivo liberale con la preservazione degli interessi universali della collettività nella sua eterogeneità: Amartya Sen può essere un maestro in questo tramite la lettura del suo saggio "Libertà individuale ed interesse generale". Una politica solidale e fortemente riformista non può prescindere dal valutare certi eventuali effetti che certi processi di forte liberalizzazione di settori tradizionalmente pubblici, eroganti certe tipologie di servizi anche sociali, può determinare sulla situazione sociale ed economica di gran parte della collettività: la comunità dei giovani disoccupati, del popolo dei lavoratori parasubordinati, del ceto medio basso, quello delle partite d'IVA, dei pensionati, dei cassaintegrati. Infine poco si è attuato circa la problematica sociale del lavoro: tutti accusano i sindacati di essere "ostacolo" alla ripresa economica del Paese e di essere ostacolo allo sviluppo dell'occupazione; io credo che l'ostacolo sia chiaramente colui che, imprenditore, non rischia, cercando di investire di più in più settori (Ciampi quando ancora il tasso di inflazione era fortemente ridimensionato, da ministro dell'economia, aveva esortato molte volte gli imprenditori a rischiare maggiormente, dato che le condizioni vi erano, i tassi di interesse erano molto bassi), cercando di valorizzare la propria manodopera subordinata, "debitrice" secondo la distinzione tra lavoratori subordinati, dator operarum, e lavoratori autonomi, dator operis, data nel codice civile del 1865, quindi collaboratrice insieme al creditore-datore-conduttore nel funzionamento e nel raggiungimento della perfezione dell'opera produttiva finale. Ebbene solamente così si può puntare al progresso economico ed all'aumento dell'occupazione; la flessibilità selvaggia, il licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, il solo risarcimento del lavoratore licenziato del danno "economico" derivante dalla perdita del proprio posto di lavoro non sono altro che pure "barbarie" regressive il sistema sociale e compromettenti la base costituzionale e repubblicana del nostro stato che fa del lavoro la spinta maggiore di contributo collettivo alla crescita ed al progresso del Paese e che garantisce una sorta di costituzionalizzazione dei principi sociali di tutela e di garanzia dell'esercizio dei diritti civili effettivi da parte del prestatore di lavoro, l'unico soggetto privo di difesa civile, sociale ed economica. Questo deve essere il compito di una vera sinistra, caro Mobiglia: son d'accordo con te nel dire che i DS si sono attorniati di alleati poco "illuminati", cocci rimanenti di un centro post-democristiano, rappresentante parte della società tradizionale italiana; per questo inviterei te ed i tuoi, i nostri amici e compagni a votare SI al referendum contro la quota proporzionale per l'elezione della Camera dei deputati. Ti assicuro che non sono un maggioritarista convinto, anzi naturalisticamente sono anche piuttosto vicino ad un sistema proporzionale alla tedesca o anche alla spagnola: ma il proporzionale in un sistema politico come il nostro, altamente instabile ed altamente transitorio riporterebbe la costruzione di forte centro perennemente governante e di un allontanamento di una sinistra e di una destra a discapito della democrazia dell'alternanza europea ed effettivamente rappresentativa; si illuderebbe il popolo a votare, tramite il proporzionale, nuovi tipologie parlamentari di governo e di maggioranze che si alternerebbero vicendevolmente autoriproponendosi. Sarebbe il collasso della democrazia effettiva e della stabilità, a discapito del sistema progressivo di sviluppo economico e produttivo, nonché sociale dello stato italiano. Ti saluto caro Mobiglia, cercando di dirti e ricordarti, infine, poi ti lascio, ma ti riscriverò, che il PCI di Togliatti e di Berlinguer avevano già da tempo criticato fortemente il socialismo reale russo e sovietico e da tempo aveva scelto la via della democrazia rappresentativa repubblicana ed istituzionale nella ricerca della costruzione di uno stato liberale e sociale nuovo ed europeo, autonomo da pressioni egemonizzanti estere sovietiche e statunitensi: la svolta di Salerno, ti ricordo, è avvenuta nel 1943 ed è da lì che insieme le forze repubblicane ed antifasciste hanno incominciato a costruire lo stato costituzionale italiano. Quindi vedi anche tu che il PCI non era una cozzaglia di burocrati e sorretto da una ciurma di elettori qualunquisti e populisti: la responsabilità, l'apertura al dialogo ed all'assunzione anche di un impegno a prendere in mano le redini del governo del Paese, per il suo ammodernamento e la sua libertà, sono sempre state caratteristiche presenti nel gene di Botteghe Oscure. Ti saluto amichevolmente ed attendo tua risposta ![]() |