[RIFORMANDO:475] Federalismo e regionalismo
Salvatore CAMAIONI  Mercoledi`, 03 Maggio 2000

    Devo prima di tutto una spiegazione a Carlo Romani, che mi ha
garbatamente
rimproverato di di dare la parola soltanto ai federalisti e non a tutti gli
altri: non era
questa, ovviamente, la mia intenzione né il mio còmpito. Nel dare la parola
ai federalisti
esprimevo soltanto la mia personalissima curiosità di conoscere più a fondo
il pensiero
dei federalisti piuttosto che degli 'unitari', come me, che conosco assai
bene.
    Ciò premesso, trovo molto incisiva l'osservazione dello stesso Romani
che la Francia
funziona benissimo pur senza essere uno stato federale e apprendo, con un
certo stupore,
da Francesco P. Forti, che in Francia vi sarebbe un divario tra nord e sud
analogo e crescente
come quello esistente in Italia: il mio stupore deriva dal fatto che se è
così -ma ne dubito- questa
'sofferenza' francese è stata tanto ben mimetizzata che finora non se n'è
accorto nessuno a
livello internazionale. Che poi nei paesi federali non visarebbero rilevanti
divari geo-economici
e che il federalismo costituirebbe addirittura la chiave di volta per
colmare quei divari là dove
sussistono, come in Italia, mi sembra contestabile sulla base
dell'osservazione di paesi federali
come l'ex URSS (ora CSI), in cui esiste tuttora un netto divario tra le
repubbliche del nord-ovest
europeo, federate o indipendenti, e tutte le altre (meridionali, caucasiche
e asiatiche) e financo
all'interno della stessa repubblica russa. Quanto all'idea che il
federalismo sarebbe il volano che
consentirebbe alle zone depresse di innescare un processo di avanzamento
economico, mi
permetto di suggerire a Francesco P. Forti di dare un'occhiata al Brasile ed
all'Argentina, paesi
federali.
    No, caro Francesco, non sarà certo il federalismo costituzionale a
rigenerare il meridione d'Italia,
come tu azzardi, anzi. Il federalismo in Italia, oggi, rappresenta il
tentativo delle regioni più ricche
del Paese -dove non a caso è nata l'idea federalista- di separarsi dal resto
d'Italia nella convinzione
-non so quanto fondata- che ciò possa giovare loro molto di più di un forte
decentramento normativo
(regionalizzazione) accompagnato da più decisi poteri d'impulso alle
autonomie locali (soprattutto
ai Comuni, piuttosto che alle Regioni, mentre le Province dovrebbero
semplicemente sparire) e da
un deciso svecchiamento ed alleggerimento degli apparati burocratici,
centrali e periferici, peraltro
già in atto. E siccome l'ispirazione tutt'altro che cooperativistica e
sostanzialmente separatista del
neofederalismo italiano, con forti venature antimeridionali, ha sin
dall'inizio caratterizzato la predicazione
di Bossi, vorrei sapere quali sono le sostanziali differenze tra il bieco e
stravagante federalismo al
pistacchio dei leghisti e quello, più serio ed educato, di Francesco P.
Forti.
    Contrariamente a quanto sostiene la tesi 44 sul Mezzogiorno, il
meridione d'Italia ha oggi bisogno
non di abbandoni federalistici ma della concreta solidarietà
non-assistenziale del resto del Paese.
Ciò è comprovato dal fatto che una regione a statuto speciale come la
Sicilia, in cui fortissime autonomie
statutarie (tra cui quella fiscale tanto agognata dai federalisti del nord)
ne fanno quasi uno 'stato' federato
all'Italia, si trova nelle condizioni di sottosviluppo che tutti conoscono e
con un crescente divario rispetto
al resto del Paese: il che dimostra che una forte autonomia, di per sé sola,
non arreca benefici economici,
se non si rimuovono le cause del sottosviluppo. Il meridione d'Italia ha
bisogno innanzitutto di infrastrutture
-senza le quali è vano parlare di sviluppo e di impresa- di oculati e non
furbeschi investimenti, di legalità
(finché intere regioni come Sicilia, Calabria, Campania e Puglia rimarranno
sotto il pieno controllo delle
varie mafie, non sarà possibile neanche cominciare a parlare di sviluppo
economico).
    L'epoca dell'assistenzialismo (che ha gratificato anche ed in maggior
misura le regioni settentrionali)
è per fortuna tramontata; ma mentre nelle regioni settentrionali il
preesistente tessuto industriale (agevolato
dallo stato unitario e finanziato anche con i tributi imposti dalla
monarchia sabauda agli agricoltori del
meridione ex-borbonico, verso cui però non c'è stata la stessa 'attenzione'
destinata all'industria padana)
poteva proseguire sulle sue solide gambe, il meridione d'Italia, allo
spirare della lunga stagione assistenziale,
si è ritrovato in braghe di tela. Di federalismo si potrà forse riparlarne
quando il sud italiano sarà posto
in condizione di procedere autonomamente con le sue proprie risorse,
convenientemente utilizzate
(penso soprattutto al turismo, ma non solo); e ciò potrà avvenire non già
con egoistiche separazioni
ma con il generoso sostegno di tutto il Paese, che dovrebbe finalmente
guardare a questa disgraziata
parte d'Italia con un'ottica diversa da quella avuta sinora e con un po' di
riconoscenza per il rilevante
contributo dato non soltanto all'unificazione politica che ha reso l'Italia
più grande, più forte e più
ricca (ma solo al nord), ma anche allo sviluppo industriale delle regioni
settentrionali con la propria
manodopera. Ma quando ciò sarà stato realizzato le ricche regioni della val
padana forse non
parleranno più di federalismo...
    Per finire -e mi scuso per la lunghezza dell'intervento- vorrei
sottolineare che l'istanza federalista
non appartiene alla tradizione ideale dei partiti progressisti; in Italia,
in particolare, l'idea federalista
è stata lanciata dal partito di Bossi, che non a caso è di destra, e le
altre forze politiche, di centro e
di sinistra, l'hanno brandita non già per intima convinzione ma per
strappare dalle mani dei leghisti
un'arma ideale che aveva già fatto, trasversalmente, molti proseliti e così
neutralizzarla.
Questo modo di intendere e fare politica, impadronendosi degli slogan
avversari e realizzando le
altrui aspirazioni nell'illusione di 'rubare' fette d'elettorato, è
deleterio, come si è visto anche alle recenti
elezioni regionali, e mentre non fa guadagnare neppure un voto da destra ne
fa perdere a palate a
sinistra. Ogni forza politica deve presentarsi lealmente con il suo vero ed
autentico volto, senza
furbizie e camaleontiche riconversioni. Il federalismo italiano attuale è
un'istanza legittima, ma di
destra, e le forze politiche che si richiamano ai valori del liberalismo e
del riformismo solidale
dovrebbero uscire dall'equivoco, lasciando alle destre di battersi per il
federalismo costituzionale
ed accelerando per proprio conto la regionalizzazione del Paese,  Alla
prossima,
    Cordialità
Salvatore Camaioni




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