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Giovanni Cominelli ha scritto: > La sanità (ma anche i telefoni e le autostrade) sono beni pubblici, nel > senso che devono rispettare standards definiti in sede pubblica. > L'offerta-gestione di tali beni non deve essere necessariamente statale. > Può essere privata, profit o non profit. Ciò che è decisivo è che la > qualità dell'offerta rispetti gli standard. Per accertare il rispetto > dei quali, occorre istituire un'autorità "terza" tra offerta pubblica > (statale e non statale) e utenti, che passi al vaglio l'offerta stessa. > E' vero che esiste un'asimmetria informativa nel rapporto > cittadini-sanità, così che la libertà di scelta appare una proclamazione > demagogica, se non si elimina quella asimmetria. Ma la sua scomparsa non > è garantita dal carattere statale dell'offerta sanitaria, bensì da > un'authority esterna al gestore, sia esso statale o no statale. Sono anch'io convinto che l'idea del controllo di qualità "terzo" sia una buona idea. Però vorrei che tu e tutti quelli che la propugnano come LA soluzione per la riforma dello stato sociale tenessero conto dei suoi rischi, molto grandi comunque. Non vorrei infatti che si dimenticassero i seguenti problemi: 1) Come si assicura la reale indipendenza della terza parte (dell'Autorità)? Se la nomina è in qualche modo politica, è evidente la natura del problema (lottizzazione); Se la nomina è diretta/popolare/democratica - idem; Se è di tipo tecnocratico (stile BCE), è evidente che si abdica a gran parte dell'idea stessa di democrazia, per affidare le funzioni principali di regolazione del sistema a gruppi di tecnici che non rispondono di fatto a nessuno, con tutto ciò che ne consegue. 2) Come si assicura un effettivo controllo di qualità? Le esperienze del controllo di qualità sui processi in certi settori complessi (ad es. l'informatica) hanno dato a mio giudizio pessimi risultati: moltissime aziende riescono a certificarsi ISO 9000 pur non avendo affatto processi di qualità, ma solo formalismi adeguati; gli stessi consulenti che portano alla certificazione divengono "parte in causa", nel senso che ottenere la certificazione è un affare, e quindi diventa un mestiere "oliare le ruote" degli Enti certificatori (ossia delle terze parti) > Il cortocircuito ideologico che la sinistra statalista fa è quello tra > qualità dell'offerta e suo carattere statale, proprio mentre milioni di > utenti fanno spesso l'esperienza opposta e scoprono che, almeno qualche > volta, il privato convenzionato è meglio dello statale. > Quando capiremo che statale non è uguale, di per sè, a qualità, avremo > fatto un bel passo verso la comune esperienza di milioni di persone (che > votano!)... > Come è difficile capirsi! Sono convinto da tanto tempo anch'io che statale non è uguale a qualità, anzi.. (accidenti, me la ricordo l'auera mediocritas dell'Uniione Sovietica!). E quindi sono d'accordo all'uso misto e regolato di pubblico/privato e non profit. Però sono altrettanto convinto che neanche privato è uguale a qualità (forse proprio perchè lavoro in un'azienda privatissima:-)), visto che il mercato è un meccanismo altamente inefficiente da punto di vista della qualità, anche se efficiente dal punto di vista della massimizzazione della produzione e dei profitti. (E' inefficente per qualità perchè le asimmetrie informative esistono anche nei beni privati e non solo in quelli pubblici tipo sanità, perchè le situazioni di concorrenza pura o quasi pura esistono solo sui libri di economia neoclassica, ecc..) > - l'autonomia scolastica è del tutto incompleta: manca quella > finanziaria, manca quella di reclutamento, rimane il Ministero con forti > connotazioni dirigistiche. Di fatto, è poco più che un timido > decentramento. E, soprattutto, manca un Sistema nazionale di valutazione > e controllo (tipo inglese o francese), che potrebbe consentire > un'autonomia radicale delle scuole. > Veramente che io sappia anche il Sistema nazionale di valutazione è in corso d'opera.... Comunque, il punto non è questo. Il punto di fondo è quast'altro: Si possono fare riforme radicali (ammesso che si sappia davvero in che direzione andare) sapendo che si perde consenso dalla propria parte, o che le cose comunque vanno mediate con la reale maggioranza disponibile? E, sapendo che occorre mediare (ossia cercare consenso), è meglio a quel punto non fare affatto riforme a metà e lasciare tutto come sta? Se Berlinguer avessa lasciato la scuola com'era, sarebbe stato meglio di adesso? Scusa, ma a me sembra giusto criticare per tentare di spostare un po' più in la il risultato riformatore, però è anche necessario valorizzare e far fruttare le riforme parziali fatte. Corrado Truffi ![]() |