[RIFORMANDO:447] Re: Federalismo (macro e micro!)
Francesco Paolo Forti  Martedi`, 25 Aprile 2000

At 13,19 24.04.00 , Salvatore CAMAIONI wrote:

> Ho letto con curiosita il messaggio di Francesco P. Forti ("Astensione. Una
>strategia di uscita"), nel quale pero mi sembra che la conclusione tradisca
>il titolo, nel senso che l'obbiettivo perseguito non e tanto
>l'individuazione di di un possibile rimedio all'astensionismo elettorale ma
>piuttosto una indiretta legittimazione economica dell'idea micro-federale.
>Se e cosi non era necessario scomodare il premio nobel Buchanan, giacché il
>trasferimento da un posto all'altro per necessita o convenienze economiche
>avviene da tempo e quando cio avviene il cittadino non esprime affatto il
>suo "disappunto" verso una "giurisdizione" ma soltanto la preferenza di
>migliori occasioni economiche.

Le cose sono equivalenti. Se il cittadino puo' comparare la sua situazione 
con quelle vicine, solo allora puo' arrivare al disappunto per la realta' in cui 
vive e, se non riesce a modifcarla puo' in seguito decidere di preferire la
situazione vicina, adottando una strategia di uscita (che diventa per
il vicino una strategia di entrata). Quel "migliori occasioni economiche" 
infatti sottende una analisi comparata. Non e' solo una analisi economica
ma anche sulla qualita' della vita in genere. Di solito pero', data la sostanziale
resistenza al cambiamento, se un cittadino (od un gruppo) decide di cambiare
territorio, lo fa solo dopo che esaurito ogni alternativa. Infatti il costo del 
cambiamento e' elevato (in proporzione solitamente alla distanza).
Se le giurisdizioni sono piccole allora la mobilita' diventa reale e cio' spinge
il governo locale a massimizzare il rapporto costi/benefici. Questa, oltre
ad essere una risultanza di un modello di studio e' anche riscontrabile
nei fatti in quei paesi federali basato su piccoli territori o su quelli grandi
che abbiano al loro interno una ulteriore suddivisione del potere connessa
ad una reale autonomia fiscale.

>L'economia, come la politica, risponde ad esigenze proprie, che nulla hanno
>a che vedere con l'etica, e quando si parla di moralizzazione della vita
>pubblica o di moralita politica si vuole soltanto esprimere l'esigenza
>pratica del rispetto, da parte dei protagonisti, delle regole scritte e non
>scritte della societa come comunita politica e non come aggregato etico.

Non mi pare esatto affermare che l'economia e la politica rispondono 
ad esigenze che nulla hanno a che vedere con l'etica. Anche se fosse
vero, noi valutiamo sia il mercato che la politica anche tramite l'etica. Ogni 
scambio viene valutato in base a criteri multidimensionali, tra cui quello morale. 
Come "criterio etico" ovviamente non intendo nulla di fisso, immutabile
ed universale. Prendiamo, per puro esempio, il rapporto tra economia
ed etica protestante. Per non parlare di quella ebraica. In base a certe
impostazioni etiche certe cose non sono accettate (ma si accetta
che chi ha un'etica diversa lo possa fare......) per cui si vengono a
determinare rapporti economici diversi a seconda del bagaglio etico,
il quale a sua volta si adatta col tempo inglobando oggi valori che 
ieri non erano accettabili. 

>    L'esempio addotto a sostegno della validita della c.d. strategia di
>uscita, e cioe quello del macellaio disonesto a 10 Km o a cento metri, mi
>pare, con tutto il rispetto per Buchanan, la scoperta dell'acqua calda e non
>dell'immanenza di un preteso principio etico di regolazione del mercato: che

>il sistema concorrenziale sia piu vantaggioso, per l'utenza, di quello
>oligopolistico o monopolistico e una scoperta ormai secolare e non ci trovo
>nulla di particolarmente eccitante.

Indubitabile che le mele cadono per terra, .... ma quando Newton ha 
formulato la sua teoria, non e' stato uno "scoprire l'acqua calda". 
Il problema non e' la scoperta in se' ma la metodologia usata per arrivare
a comprendere il meccanismo ed il tentativo (meglio; la proposta)
di estendere quel metodo (la teoria dei giochi) anche all'ambito politico. 

Mi pare che a partire dagli anni 50 e 60 ci sia stata nel mondo una notevole 
rivoluzione sia in politica economica sia nella concezione istituzionale
ma che poiche' da noi la situazione era bloccata non ce ne siamo 
accorti (salvo i pochi specialisti). Oggi stiamo qui a chiederci perche'
la gente non vota (o vota Polo), quando ci sono fior di metodologie 
che aspettano solo di essere applicate per vederne i risultati. A meno
che non si preferisca il parlare vago alla metodologia piu' severa, le
cui risultanze potrebbero anche non piacere. 

Saluti a tutti,
Francesco F.







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