[RIFORMANDO:383] Sanita'
Francesco Paolo Forti  Sabato, 11 Marzo 2000

Trovo sui NNGG (IT.SCIENZA) ed inoltro. Saluti, Francesco Forti
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L'autore di "Camici e pigiami" torna all'attacco. Con un nuovo libro. E
processa la riforma del ministro. Che dà troppo potere ai politici «Il nuovo
sistema ci fa rischiare più di prima. Stabilisce il primato della politica
sulla scienza. E i più bravi stanno andando via»
colloquio con Paolo Cornaglia-Ferraris . di Daniela Minerva
La sanità italiana? Tutta da rifare. La riforma del ministro Rosy Bindi?
Piena di buone intenzioni, ma del tutto inapplicabile. I malati?
Maltrattati. E i medici? Un branco di pecore timorose dominate da lupi, i
primari, famelici e corrotti, perlopiù incapaci. Parola di Paolo
Cornaglia-Ferraris, 48 anni, pediatra ematologo all'ospedale Gaslini di
Genova. Autore del best seller "Camici e pigiami" (Editore Laterza) che in
meno di un anno ha venduto circa 70 mila copie. Cornaglia-Ferraris torna
oggi in libreria con "Pigiami e camici", un'analisi spietata dei
comportamenti dei medici e dei dirigenti nella nuova sanità italiana,
riformata dalla legge Bindi. In cui, per dirla con le sue parole, «i medici
non ci fanno una gran bella figura».



Dottore, perché ce l'ha tanto coi medici?

«Non ce l'ho coi medici. Sono un medico e penso che siano loro la vera
risorsa del sistema sanitario. Ce l'ho con chi, tra loro, ha scelto di
adottare comportamenti discutibili e truffaldini, con chi ha abbandonato il
camice preferendo il danaro o il potere o la carriera. Sono una minoranza
che però conta molto in quanto comanda, deforma le carriere, abusa dei
pazienti».

Ma nella sanità riformata dalla Bindi hanno molto meno potere...

«La riforma parte dal presupposto che l'interesse dei cittadini corrisponda
agli interessi di chi li rappresenta, i politici. Pertanto, se l'assessore
alla Sanità Tal dei Tali rappresenta gli interessi dei cittadini, quando
sceglierà un direttore generale, il quale a sua volta sceglierà i primari,
lo farà per tutelare il bene pubblico. Ne dubito».

Allora, cosa sta accadendo?

«La riforma dà troppo spazio alle scelte soggettive dei politici e dei
gruppi di potere locali che scelgono chi comanda in ospedale. Quindi io
posso trovarmi, come cardiopatico, a essere affidato a un reparto di
cardiologia gestito da un ottimo politico che non sa leggere neanche un
elettrocardiogramma. I medici si arrabbiano perché dicono: insomma ci devono
proprio dirigere degli asini? E su questo hanno ragione».

Nello scegliere un dirigente, un primario, la ragion scientifica non
dovrebbe prevalere su altre ragioni?

«Sì, proprio così. Ma la nomina dei primari da parte del direttore generale
è spesso, invece, basata soprattutto sulla convenienza, sulla pressione
sindacale o partitica. Sono molto potenti massoneria, Opus Dei, Comunione e
Liberazione. Così noi abbiamo l'ardire di far diventare direttore di
dipartimento un ex assessore comunale che non sa neanche da che parte sta il
fegato quando visita un paziente!».

Chi sarebbe questo signore?

«Se lo dico quello mi querela».

Allora ci faccia un altro esempio concreto.

«Guardiamo a ciò che è successo per esempio nell'ospedale Gaslini di Genova
dove lavoro. Così mi licenziano e non ci pensiamo più! Era uno dei più
efficienti ed efficaci istituti scientifici di pediatria in Italia, ed è un
esempio chiaro di come una gestione, quella del direttore generale, che ha
premiato le appartenenze sindacali o di altra natura, ha fatto naufragare un
bene pubblico di quella valenza. Questa è purtroppo la triste verità. Invece
di premiare il merito il nostro direttore generale ha dato spazio a Tizio
che appartiene alla ex Dc, a Caio che appartiene al sindacato, a Sempronio
che è il nipote della presidente della Croce Rossa e così via. Il risultato
qual è? Che la gente brava si è disamorata e disimpegnata perché ha visto
passare davanti persone incompetenti e a quel punto la risorsa principale,
il cervello e l'impegno di questi professionisti, è andata buttata».

Secondo lei il nuovo sistema ci metterà al riparo da situazioni come queste?

«No. Anzi, ci fa rischiare ancora di più perché stabilisce il primato della

politica sulla scienza. E questo è il rischio più grande. Perché
continueranno ad essere premiati gli amici e gli elettori, i sindacalisti, i
massoni, gli Opus Dei: e i medici proseguiranno a pensare più alle amicizie
o alle alleanze che ai malati. La riforma con cui il ministro ha inteso
raddrizzare il sistema mi sembra, negli intenti, una discreta riforma. Ma la
sua applicazione sta andando in una direzione sbagliata perché le leve del
potere sono ancora in mano alle persone sbagliate. Naturalmente ci sono
direttori generali illuminati che faranno bene, e di fatto alcune parti
dell'Italia funzioneranno bene, altre invece malissimo, soprattutto al
centro-sud. Dove la sanità privata continuerà a farla da padrona».

Contro i medici che operano anche nel privato la Bindi è stata durissima:
tagli di stipendio e carriere stroncate.

«Oggi gli ospedalieri devono scegliere se portare la loro attività privata
dentro l'ospedale o continuare con i loro interessi nelle case di cura. Chi
sceglie di stare nel pubblico avrà a disposizione studi e letti. Questo dice
la legge, ma sono pochi gli ospedali in grado di farlo. Tutta la faccenda è
troppo macchinosa e non funzionerà».

Perché non tiene conto della realtà degli ospedali?

«La riforma ha il difetto di essere stata costruita a tavolino. Eppure,
qualcosa bisognava fare per arginare le situazioni in cui gli interessi
privati dei professori regolavano l'intero funzionamento di una divisione se
non di un ospedale. Ma io avrei fatto una scelta ancora più radicale: il
Servizio Sanitario Nazionale non assume più nessuno, siete tutti licenziati,
siete tutti dei liberi professionisti e noi paghiamo le vostre prestazioni.
Così fanno in America, no?».

Così non ha fatto la Bindi che ha creato un sistema misto.

«La scelta della Bindi è: abbiamo un esubero di medici, uno ogni 170
abitanti, quindi siamo molto forti contrattualmente. Chi ha la possibilità
di fare soldi in privato vada pure, io lo sostituisco con qualcun altro che
si accontenta di stipendi non altissimi e che lavora per me. Ma questa
soluzione fa andar via tutti i più bravi!».

Sta veramente accadendo questo?

«Ho alcuni esempi che mi mettono molto in allarme, per esempio i due giovani
oncologi più bravi che lavoravano con Luca Gianni all'Istituto dei tumori di
Milano sono andati nel privato, altri dell'Istituto dei tumori di Genova...
Insomma, a me pare che la gente in gamba non stia a perdersi nelle beghe
degli ospedali pubblici. Quelli che non sanno fare le cose rimangono ma chi
le sa fare davvero si mette sul mercato. Questa riforma, fatta da un governo
di centrosinistra, rischia di essere di destra: premia chi ha i soldi e
castiga chi non li ha».

I malati sono sempre vittime: come nel suo primo libro?

«C'è una via d'uscita, sia per i malati che per i medici che non si
arrendono. Ed è quella di costruire un asse contro i lupi. Curati e curanti
devono deporre le armi perché il fine è lo stesso: una sanità degna di un
paese civile. Per questo stiamo mettendo in piedi l'Associazione C&P (Camici
e pigiami) con sedi in tutta Italia. Se associazioni di malati, medici,
infermieri si fanno sentire, forse il collasso si può evitare».

(02.03.2000)


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