[RIFORMANDO:360] R: Ancora sul federalismo
Piero DM  Sabato, 12 Febbraio 2000


----- Original Message -----
From: Francesco Paolo Forti <francesco.forti@easyclub.ch>
>...Invece noi dovremmo dare
> ancora piu' peso ai rapporti tra cittadini e Comuni, tra Comuni e
distretti o
> Provincie, tra Provincie e Regioni. Ciò che rende forte e stabile una
nazione
> e' la stabilità dei suoi componenti, senza la quale e' difficile legare
assieme
> il tutto. Il vero federalismo quindi è quello che sapremo costruire dentro
la
> Lombardia, che magari sarà diverso da cio' che farà il Veneto o la
Sicilia.
>
> Qui si potrebbe entrare nel vivo del dibattito tra federalismo dei piccoli
> territori e dei grandi territori. Vero che la Germania ha grandi Länder ma
> da qui non osserviamo la microstruttura, fatta di forti poteri comunali e
> distrettuali. Lo stesso dicasi per gli Stati Uniti, di cui osserviamo i 50
Stati
> (43 dei quali sono meno popolosi della Lombardia) ma di cui troppo ...

Questa impostazione mi sembra veramente interessante: non è la prima volta
che ne parliamo, ma è importante discuterne con questo livello di chiarezza
e determinazione.

Io, personalmente, non sono sufficientemente addentro alle questioni e alle
analisi comparate dei vari federalismi attuati nei vari stati, e dunque mi
limito a porre qualche problema, in sintonia con quanto dice Francesco. O
meglio, qualche domanda, qualche riflessione, che non ha da parte mia una
risposta univoca o predeterminata, e non intende sostenere nessuna speciale
tesi.

Per esempio, il localismo americano, opportunamente sopra ricordato.
Da un lato, questo tipo di localismo assicura certamente un collegamento
diretto tra amministarti e amministratori. Tutta l'articolazione della
politica americana, in definitiva, tende ad essere improntata al modello
della democrazia diretta, compresa ad esempio l'elettività di giudici e
sceriffi e altre figure pubbliche. A questa impostazione corrisponde il
background storico e civile della Common Law, la quale anch'essa si fonda
sostanzialmente sulla sovranità ultima del concetto di autonomia locale -
per certi versi perfino "tribale", visto che la sua genesi viene
tradizionalmente fatta risalire al diritto "individualistico" germanico,
contrapposto a quello "statalistico" romano. Una contrapposizione che si
conferma anche nella imostazione etica di questa cultura civile e giuridica,
la quale ha per lungo tempo avuto le stimmate dell'etica protestante e
calvinista, specialmente per quanto riguarda il concetto di responsabilità
individuale.
C'è insomma una base culturale e storica che sostiene quest'articolazione,
la quale non è dunque una semplice scelta accademica o efficientistica o
politologica.
E' in effetti difficile contestare che queste forme di democrazia diretta
siano, almeno in teoria, le più adeguate a rappresentare la volontà e il
giudizio dei cittadini, secondo le regole dei meccanismi maggioritari in
senso lato - e il fatto che la democrazia consiste in questa imposizione di
volontà è un vero e proprio dogma della cultura civile americana e
anglosassone.
Con questo dogma hanno sempre avuto a che fare coloro che, nella società
americana, si sono trovati nella necessità riformare vari aspetti della
legislazione o di sostenere alcuni valori, che andavano contro una certa
visione tradizionale più o meno radicata nella popolazione: in gran parte,
insomma, questo è stato ed è ancora uno dei principali ostacoli per i
liberal americani.
In realtà, l'unico settore dove il dogma è stato infranto in modo
sostanziale riguarda la legislazione di tipo economico e commerciale, di
fronte al fatto che ad un certo punto la diversità localistica delle norme
rendeva piuttosto arduo il rispetto dei contratti e dei commerci.

Mi chiedo se noi europei - noi italiani, specialmente - saremmo disposti ad
assistere a una serie di fenomeni, che possono sembrare soltanto curiosi
quando si verificano nel Middle West, ma che potrebbero risultare
inaccettabili vissuti da vicino: la discrezionalità di sceriffi e giudici di
contea, che rappresentano quella specie di sovranità tribale così essenziale
nella democrazia americana, per esempio; o il controllo dei pubblici
ministeri da parte dell'opinione pubblica, secondo criteri che sarebbe forse
eufemistico definire giustizialisti (o innocentisti); il ribaltamento di
alcuni valori politici e civili fondamentali, a seconda delle regioni e dei
municipi in cui ci si trova.
Non che questa diversificazione deriverebbe dall'assorbimento di un
"modello" - quello americano - ma semmai deriverebbe dal meccanismo stesso
del localismo, dilatato ed esaltato dagli strumenti della democrazia
diretta: gli esempi riportati derivano certamente dall'esperienza americana,
ma l'Europa e l'Italia troverebbero sicuramente le loro evenienze
specifiche.

Il "modello europeo", in effetti, ha dato già numerose e antiche prove di
sé, non essendo il federalismo una esclusività americana - e infatti nel
nostro dibattito si fa spesso riferimento alla Germania, alla Svizzera e ad
altri paesi.
Ma è anche vero che l'interpretazione europea della democrazia è molto meno
"localistica" di quella americana, e soprattutto non mette al centro del
sistema politico (federale o meno che sia) il dogma della "volontà popolare"
diretta e sovrana: l'idea della democrazia (e del diritto)che si attua in
Europa ha delle forti componenti "etiche", ossia il potere politico, le
istituzioni, la legge sono considerate strumenti che servono ad attuare
alcuni valori etici che prescindono da una "volontà popolare".
Anzi, è una costante di tutta la storia delle democrazie europee la
preoccupazione di sottrarre al giudizio mutevole delle maggioranze
elettorali questi "principi etici" fondamentali - che trova una
corrispondenza nel concetto di "equità" su cui non solo si fonda il diritto
romano, ma che caratterizza il nostro modo di pensare e di giudicare le
stesse vicende della vita e i rapporti sociali.
Questa impostazione europeo-continentale della democrazia mi sembra che si
stia manifestando in modo tipico nel caso Haider, per esempio, il quale
arriva a puntino per suscitare un discorso tutt'altro che contingente.
La levata di scudi contro il neo-nazista della Carinzia, infatti, trova una
sua radice proprio in questo tipo di concezione "etica" della democrazia, o
meglio della costruzione di un soggetto politico qual'è l'Europa. Il fatto
che siamo tutti d'accordo sulla nefandezza di alcuni comportamenti di Haider
e di alcune sue posizioni, ci fa considerare ovvia la levata di scudi, ma
nulla toglie al valore "centralistico" e in qualche modo "impositivo" di
questa condanna.
In un'ottica americana, io credo che sarebbe molto discutibile un simile
intervento da parte del governo federale.
Ci si potrebbe chiedere perché mai emerge insistentemente questo "modello
americano", sia pure come semplice riferimento, visto che il federalismo ha
una sua autonoma storia europea.

A me sembra che questo succede perché l'unità europea spariglia molte
situazioni consolidate (o che apparivano tali), e dunque oggettivamente
propone un tipo di problemi non più legati semplicemente al decentramento
amministrativo, ma problemi di più ampio respiro politico. In altri termini,
si riapre l'antica questione delle etnie e dei localismi, quella questione
si era in effetti faticosamente assestata con la creazione degli stati
nazionali (alle patrie) fondati sul diritto, secondo il modello
illuministico francese - stati federali o stati centralisti, a seconda dei
casi, e ognuno con una storia e una cultura civile piuttosto diversa e
complessa.
La situazione americana si presenta come un'estrema semplificazione,
rispetto alla complessità europea: proprio per questo, però, rappresenta
un'angolazione visuale in qualche modo "neutra", che fa giustizia equanime
di tutte le nostre stratificazioni e dell'intreccio delle nostre varie
identità politiche. E' una tentazione forse irresistibile.
Non è un caso che i radicali, proprio nella loro ultima versione
estremisticamente liberista, si richiamino esattamente al modello americano,
in accordo con la loro impostazione complessivamente trasversale e
parossisticamente tesa a ricreare una sorta di "verginità istituzionale" nel
nostro contesto politico.

Come Francesco dice giustamente, finché esaminiamo le cose all'ingrosso,
finiamo per parlare soltanto dei massimi sistemi o per grandi linee. Le
questioni concrete, ossia le questioni importanti, quelle nelle quali i
cittadini si troveranno una volta attuato un certo sistema o l'altro, queste
questioni non arrivano mai ad essere trattate con l'attenzione dovuta ... e
federalismo non significa soltanto decidere dove costruire le fontanelle o
come ritirare i certificati dell'anagrafe, su questo mi pare che tutti siamo
d'accordo da tempo.

= Piero DM =




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