2. Il 
                governo ha bisogno della coalizione.
                 Come debba essere questa coalizione - il suo programma, la 
                  sua struttura interna, i suoi organi decisionali - lo decideremo 
                  assieme e già abbiamo iniziato a lavorare attorno a questo progetto 
                  con tutte le forze che finora vi hanno aderito.
                
 Sappiamo però che essa deve essere sufficientemente estesa 
                  da poter conseguire la vittoria, e sufficientemente unita da 
                  poter assicurare al Paese la guida stabile e coerente i cui 
                  ha bisogno.
                
 Noi sappiamo che il bipolarismo verso il quale ci spinge il 
                  maggioritario non equivale in alcun modo al bipartitismo. All'interno 
                  di ognuno dei due poli che competono per il Governo convivono 
                  infatti forze, partiti e tradizioni diverse. Non è questo certo 
                  una novità. Tutta la storia della democrazia repubblicana è 
                  infatti segnata dalla presenza di governi sostenuti da maggioranze 
                  formate da tanti partiti.
                
 La coalizione di cui il governo del Paese ha oggi bisogno 
                  deve essere tuttavia qualitativamente diversa dalle esperienze 
                  passate. Diversa per la stabilità, per la coerenza interna, 
                  per l'unità di linea politica. E' questa un'esigenza imposta 
                  dalla dimensione dei problemi che sono a noi di fronte, che 
                  non consentono di perpetuare quella tradizione di instabilità 
                  che ci ha allontanato dall'Europa. 
                
 La necessità di assicurare al governo stabilità, coerenza 
                  ed unità è d'altra parte allo stesso tempo causa ed effetto 
                  della democrazia maggioritaria.
                
 Solo se riusciremo a costruire questa unità e a comunicarla 
                  all'elettorato potremo vincere. Solo se riusciremo a renderla 
                  stabile potremo governare.
                
 So che l'urgenza di questa unità ha suggerito a qualcuno l'esigenza 
                  di dar vita ad una sola formazione partitica che organizzasse 
                  tutto il campo democratico. Anche se ritengo che non si debba 
                  escludere sul tempo lungo questa prospettiva, credo che non 
                  sia questo il suo momento. Ho infatti piena consapevolezza che 
                  i partiti non nascono da decisioni a tavolino, ne sono il risultato 
                  di norme legislative, ma sono invece il frutto di processi storici 
                  lunghi e complessi.
                
 D'altra parte sappiamo anche che l'unità del soggetto che 
                  promuove e sostiene l'azione di governo, non è affidata né alle 
                  formule organizzative, né alle etichette.
                
 Abbiamo infatti conosciuto - anche nel nostro Paese - partiti 
                  dilaniati da risse interne e coalizioni accomunate da un profondo 
                  spirito di cooperazione.
                
 Nel porre mano alla costruzione di una coalizione credo che 
                  convenga per il momento accontentarsi di concordare su che cosa 
                  la coalizione non debba essere.
                
 La coalizione non è un tram sul quale si sale per superare 
                  la prova delle elezioni per poi scendere una volta arrivati 
                  in Parlamento. Anche se Berlusconi continua a vagheggiare di 
                  una presunta maggioranza del 27 marzo immaginando che la semplice 
                  ripetizione delle menzogne le trasformi in verità, gli italiani 
                  hanno capito la lezione. O, almeno, l'abbiamo capita noi. E' 
                  un errore che il Paese non si può permettere ancora una volta.
                
 La coalizione non è neppure una società per azioni nella quale 
                  sia possibile distinguere amministratori delegati, azionisti 
                  di riferimento e minoranze. Al di là delle loro storie personali 
                  i candidati della coalizione - quelli per intenderci, eletti 
                  in rappresentanza di tutti nel maggioritario - non cesseranno, 
                  una volta eletti, di essere rappresentanti della coalizione. 
                  Senza questo corollario, il maggioritario merita giustamente 
                  la qualifica di truffa perché sacrifica l'istanza della rappresentanza 
                  propria del proporzionale, con la scusa della governabilità 
                  e poi si rifiuta di onorare gli impegni.
                
 La coalizione non è neppure un "fronte contro" qualcuno, un 
                  nuovo comitato di liberazione nazionale, un patto eccezionale 
                  contro il despota di turno.
                
 Non voglio in alcun modo sottovalutare i tratti antidemocratici 
                  presenti nel campo a noi avverso, il suo carattere regressivo, 
                  il rischio plebiscitario iscritto nella concezione della democrazia 
                  che lo ispira. E tuttavia non ci è possibile non riconoscere 
                  nell'avversario riferimenti, preoccupazioni, e valori comuni. 
                  Su questo riconoscimento abbiamo peraltro fondato la speranza 
                  di un confronto che punti ad un accordo su un quadro di regole 
                  che consenta prima una competizione corretta, e poi un governo 
                  della cosa pubblica fondato sul riconoscimento dei diritti delle 
                  minoranze e sul rispetto delle istituzioni. Su questo riconoscimento 
                  abbiamo aperto alla controparte un credito che intendiamo mantenere 
                  aperto senza raccogliere alcuna provocazione.
                
 La ricostruzione di un clima sereno, l'elaborazione di un 
                  sistema di regole che recuperi lo strappo del 27 marzo sono 
                  obiettivi prioritari che dobbiamo perseguire al servizio della 
                  nostra democrazia, indipendentemente dalla vittoria della nostra 
                  parte. Lo dichiarai quando intrapresi questa avventura, l'ho 
                  ripetuto con solennità anche nel momento nel quale il ritiro 
                  della cooperazione degli avversari sembrava metterlo in discussione.
                
 Fortunatamente è poi prevalsa la saggezza.
                
 Questa coalizione, questo progetto di unità è stato già compreso 
                  e premiato dagli elettori. In tutte le prove elettorali essa 
                  è riuscita vincente.
                
 Per rappresentare questo desiderio di unità abbiamo voluto 
                  piantare un ulivo. Non è un simbolo che abbiamo dedotto da estratte 
                  elucubrazioni intellettuali, e neppure elaborato attraverso 
                  esercitazioni di marketing. Ispirandoci alla migliore storia 
                  del cattolicesimo democratico, quella alla quale appartengo, 
                  abbiamo tratto questo segno dal patrimonio della nostra tradizione 
                  popolare, per rappresentare non la nostra diversità, ma le virtù 
                  che sentiamo accomunarci a tutto il popolo italiano: la mitezza, 
                  la tenacia e la capacità di rapportarci con il mondo che ci 
                  circonda.
                
 Attorno a questo simbolo è comprensibile che si siano riconosciute 
                  anzitutto le componenti che sentono maggiormente come propri 
                  i valori in esso rappresentati. La sua carica evocativa ha tuttavia 
                  attratto ogni giorno di più tutte le forze del campo democratico 
                  che hanno voluto condividere con noi questo riferimento simbolico 
                  a prova della ritrovata unità. Quello che più conta è però che 
                  attorno alla nostra coalizione vanno raccogliendosi cittadini 
                  che fanno fatica a riconoscersi nelle distinte componenti. Quello 
                  che ieri Badaloni ha ricordato essere successo nel Lazio - i 
                  duecentomila voti indirizzati alla coalizione in quanto tale 
                  - è successo e va succedendo in tutto il Paese. Credo che sia 
                  un segno sul quale dobbiamo ancora riflettere: il segno dell'entrata 
                  in una nuova stagione, dal quale dobbiamo imparare a leggere 
                  insieme i segni.