1.2 
                Comporre le ragioni delle libertà economiche con quelle della 
                solidarietà è -come accennavo- la seconda colonna portante 
                della nostra idea di governo.
                 Perché serve questa riconciliazione? Ma perché in una società 
                  democratica tutti i cittadini hanno il diritto di fare la corsa.
                
 Ciò, si badi bene, non vuole affatto dire che tutti debbano 
                  arrivare allo stesso momento, alla pari. Vuole piuttosto significare 
                  che tutti abbiano la possibilità di partire dallo stesso punto. 
                  Ancora: vuole piuttosto significare che anche il "terzo" che 
                  da solo non ce la fa possa, invece, essere alla partenza della 
                  corsa. Troppi oggi perdono la gara prima di partire.
                
 Per dare concretezza a questi principi di fondo una democrazia 
                  ha a disposizione tre strumenti privilegiati:
                
 la scuola
                
 lo stato sociale
                
 il fisco.
                
 In questa sede più che entrare nei dettagli, pare a me opportuno 
                  soffermarmi sull'ispirazione di fondo.
                
 Lungo molti decenni e attraverso molti paesi dell'Europa occidentale 
                  avevamo, semplificando molto, un quadro di questo tipo: i governi 
                  di destra (centro destra) erano portatori di un programma di 
                  governo di impostazione liberista, mentre erano quelli di centro 
                  sinistra e social democratici a farsi paladini dell'intervento 
                  pubblico nell'economia.
                
 Ci sono state, naturalmente, molti eccezioni a questo quadro.
                
 A ogni buon conto, prendiamolo pure come approssimazione del 
                  tempo che fu.
                
 Oggi non è più così. E certamente non è così in Italia.
                
 Entrambi gli schieramenti che si fronteggiano per il governo 
                  del paese partono - almeno a parole- dalle libertà economiche.
                
 Dico "almeno a parole" perché se guardiamo un po' più da vicino 
                  alla cultura della destra italiana ci accorgiamo quanto i nostri 
                  "neo liberisti" siano lontani dall'essere autentici. Per non 
                  parlare poi delle contraddizioni interne al Polo tra Forza Italia 
                  (liberista nelle parole) e Alleanza Nazionale e CCD (statalisti).
                
 Noi, per quanto ci riguarda, partiamo dal mercato.
                
 Consideriamo il mercato per quello che è, per quello che storia 
                  della civiltà occidentale ci ha insegnato: l'istituzione economica 
                  meno imperfetta al fine di coordinare le attività dei numerosi 
                  membri di una società.
                
 Se vogliamo, l'istituzione che meglio di altre valorizza le 
                  dotazioni e le specializzazioni (i talenti) dei partecipanti 
                  al processo economico.
                
 Il mercato è, appunto, un'istituzione e non già un meccanismo 
                  del tutto artificiale fuori dal tempo e dallo spazio.
                
 Esso anzitutto va regolato: va regolata la competizione 
                  fra più attori che in esso si svolge.
                
 Le virtù della concorrenza -che sono molte- maturano quando 
                  siamo in presenza di una gara fra più protagonisti, e non già 
                  quando siamo in presenza di un unico "grande fratello".
                
 La legge a tutela della concorrenza non è una pericolosa invenzione 
                  di estremisti bolscevichi: essa è nata negli Stati Uniti, il 
                  più grande capitalismo del mondo, più di un secolo fa.
                
 La sentenza con la quale, sempre negli USA, il giudice Green 
                  ha "spaccato" in sette diverse imprese la società monopolista 
                  dei servizi telefonici, non è stata un "esproprio proletario". 
                  E' stato un passaggio fondamentale per la tutela dei consumatori 
                  americani e per le sorti del progresso tecnologico. Oggi, dopo 
                  più di dieci anni da quella sentenza, ne sono usciti tutti più 
                  ricchi.
                
 Abbiamo così visto il ruolo "regolatore" che lo Stato 
                  ha nei confronti del mercato.
                
 E quando parlo di "stato leggero" esso è, anzitutto, uno stato 
                  "arbitro": colui che detta le regole del gioco, uguali per tutti, 
                  e le fa rispettare.
                
 In verità c'è un secondo ruolo che lo Stato- uno stato democratico- 
                  ha nei confronti del mercato: un ruolo "integratore".
                
 Il mercato da solo non può fare tutto. Ve lo dice chi in questo 
                  paese le privatizzazioni (nel settore manifatturiero, come in 
                  quello dei servizi commerciabili) le ha fatte davvero...
                
 Ci sono dei bisogni dell'uomo il cui soddisfacimento non passa, 
                  non può passare, attraverso il mercato. Penso all'istruzione, 
                  alla protezione nel momento del bisogno: la malattia, la vecchiaia...
                
 Lo stato sociale che tutti i paesi democratici hanno edificato 
                  è nato proprio per dare risposta a questa situazioni di bisogno.
                
 Oggi lo stato sociale va razionalizzato, cosa che non equivale 
                  affatto a buttarlo via. Nel razionalizzarlo un grande spazio 
                  si apre alla collaborazione pubblico-privato, al ruolo del volontariato 
                  e del "terzo settore"
                
 C'è, c'è stata, in giro per l'Italia, per l'Europa, una leggenda 
                  -che vi anticipo subito è una falsa leggenda.
                
 Essa suona così: per raggiungere una sempre maggiore efficienza, 
                  un sistema economico deve pagare il prezzo di una crescente 
                  diseguaglianza.
                
 Con forza vorrei dire che è vero il contrario: in una società 
                  democratica l'equità è una condizione anche per l'efficienza 
                  economica.
                
 L'ineguaglianza è dannosa per la crescita. Essa guida a politiche 
                  economiche non appropriate.
                
 Con questa idea di governo in testa ci siamo messi in cammino.