![]()  | 
        
 
 
   
      
      
 Incontro a Napoli: Il Nostro modello di regionalismo Napoli, 17 giugno 1995  
                 Il 
                Nostro modello di regionalismo 
                 Sul terreno più propriamente istituzionale, il "regionalismo 
                  che vogliamo" lo possiamo così articolare: 
                  a) vogliamo, anzitutto, un Paese unito: è questo ciò che chiede 
                  la nostra gente al nord come al sud;
                  b) vogliamo il progressivo spostamento di gettito fiscale 
                  alle regioni (50-60% delle imposte);
                  c) da questo nasce però l'esigenza di istituire un "fondo 
                  di solidarietà", che è ovunque una caratteristica essenziale 
                  del regionalismo e del federalismo. Esso, infatti, il reddito 
                  delle Regioni italiane profondamente diseguale, nasce un problema 
                  di giustizia, di equità. Il "fondo", che va assolutamente creato 
                  per aiutare le Regioni più svantaggiate, dovrà essere, così 
                  come è nel modello tedesco, prefissato su base pluriennale al 
                  fine di evitare i rimborsi a piè di lista;
                  d) vogliamo un reale spostamento di competenze fra il centro 
                  e la periferia, con l'allargamento delle autonomie locali; deve 
                  altresì finire quello che, da parte delle autorità centrali, 
                  è stata una continua sovrapposizione delle competenze attribuite 
                  alle Regioni (burocrazia parallela).
                  e) vogliamo la Camera delle Regioni, come naturale coronamento 
                  di questo disegno;
                  f) vogliamo, infine, che ogni regione istituisca una task-force 
                  per dialogare con Bruxelles composta da persone competenti: 
                  tanti, troppi, fondi comunitari rimangono inutilizzati perché 
                  le nostre regioni non presentano i progetti.
                  Vorrei fare un'ultima annotazione sul regionalismo: abbiamo 
                  troppo trascurato il ruolo e la formazione della classe dirigente 
                  regionale. Nella nuova Europa, sempre più la nostra classe dirigente 
                  dovrà fare allenamento e dovrà essere messa alla prova nel governo 
                  delle città e delle regioni. La sciagura del regionalismo così 
                  come noi, in Italia, l'abbiamo conosciuto è stata l'irresponsabilità 
                  fiscale, la non responsabilità nell'imporre le tasse alle proprie 
                  comunità. Ma una classe dirigente cresce soltanto se deve riconciliare 
                  i mezzi e i fini, se deve commisurare i servizi prestati alle 
                  risorse disponibili. Ecco perché la progressiva autonomia impositiva 
                  degli enti locali e delle regioni, di cui più sopra si è parlato, 
                  riveste anche un fortissimo significato etico.
                  Il riscatto possibile del Mezzogiorno 
                 La riflessione sul regionalismo mi porta a dedicare un approfondimento 
                  particolare al Mezzogiorno, al suo possibile riscatto.
                  L'intreccio fra la disoccupazione e la criminalità organizzata 
                  é la cosa più preoccupante delle regioni meridionali: 
                  Il tasso di disoccupazione nel Centro Nord é dell'8 per cento, 
                  mentre ha raggiunto il 21% nel Mezzogiorno. Nel Mezzogiorno 
                  il numero attuale degli occupati é largamente inferiore a quello 
                  dell'inizio degli anni '80. Per la prima volta, negli ultimi 
                  due anni, cominciano a calare anche i consumi.
                  Si è sempre detto che la mafia e la criminalità organizzata, 
                  sono figli del sottosviluppo economico.
                  Quello che é accaduto in questi decenni nelle regioni del 
                  "triangolo criminale" ci dice, in verità, un'altra cosa: la 
                  mafia non è la figlia ma la madre del sottosviluppo.
                  La criminalità organizzata non mette in moto risorse produttive 
                  prima inutilizzate. Essa, si sostituisce agli imprenditori preesistenti. 
                  Vi sono imprenditori eliminati dalla competizione tramite attentati, 
                  estorsioni, omicidi, esclusioni dai mercati di vendita e dagli 
                  appalti.
                  Le grandi imprese estere annullano i loro progetti di investimento 
                  nel Mezzogiorno e li dirottano verso altri Paesi del Mediterraneo, 
                  proprio a causa dei fenomeni di criminalità organizzata (oltrechè 
                  di una Pubblica Amministrazione incapace di offrire un unico 
                  interlocutore agli imprenditori stranieri).
                  L'ultimo grande investimento estero nel Mezzogiorno risale 
                  a sette anni fa: è un prezzo troppo alto che noi paghiamo alla 
                  criminalità ed alla disorganizzazione dello Stato.
                  E questo mentre gli altri "mezzogiorni d'Europa" (come Spagna, 
                  Grecia, Portogallo e Turchia) riducono la distanza dalle regioni 
                  più avanzate.
                  Questa è la tragedia del Sud.
                  Non è il caso di coltivare l'illusione che vi si possano , 
                  d'un tratto, localizzare tante nuove grandi iniziative produttive.
                  Bisogna però dare un segno che qualcosa si sta muovendo. Bisogna, 
                  cioè, che le Organizzazioni degli imprenditori (a cominciare 
                  da Confindustria) e sindacati si mettano immediatamente al lavoro 
                  per trasferire al Sud attività produttive che, soprattutto al 
                  Nord Est, non hanno alcuna possibilità di essere realizzate 
                  per mancanza di mano d'opera.
                  Bisogna poi riprendere gli investimenti pubblici già iniziati 
                  e sospesi ormai da anni. Bisogna creare nel Sud le nuove autostrade 
                  elettroniche che lo legano indissolubilmente all'Europa che 
                  corre. 
                  E bisogna pensare a un turismo moderno, a un'agricoltura moderna.
                  Un fatto è certo: non possiamo continuare con un Paese così 
                  diviso, con la piena occupazione al Nord e con oltre il 20% 
                  di disoccupazione al Sud, e con le attività più direttamente 
                  produttive che vanno restringendosi sempre più.
                  Se il trasferimento di produzione dal Nord al Sud è una prima 
                  risposta ai problemi delle regioni meridionali, soltanto la 
                  nascita di una diffusa imprenditoria locale può consentirne 
                  un vero decollo.
                  Qui siamo nell'ambito di analisi che vanno ben oltre l'economia.
                  Una diffusa imprenditoria locale, o detto in altri termini, 
                  un modello di industrializzazione fondato su tanti protagonisti, 
                  è stata la principale ragione del successo di tutte le regioni 
                  del Nord-est italiano.
                  Vengo da una regione -l'Emilia-Romagna- portata a modello 
                  di questo sentiero di sviluppo; ma lo stesso lo possiamo ripetere 
                  per il Triveneto, la Toscana, le Marche. Anche il Piemonte e 
                  la Lombardia, pur con la presenza delle uniche grandi imprese 
                  italiane, sono economie regionali piene di "distretti industriali", 
                  ovvero di insiemi di piccole imprese fra loro collegate.
                  L'aspetto positivo di questo tipo di sviluppo è nel rapporto 
                  tra una società civile ricca e un sistema produttivo 
                  ricco. E' un circolo virtuoso quello che si è creato fra 
                  questi due ambiti. Un circolo che vede continuamente la nascita 
                  dalla società civile di nuovi imprenditori che, a loro volta, 
                  fanno più ricca la società civile.
                  Al Sud questo circolo virtuoso, oggi non c'è; quello che c'è 
                  è invece una nuova leva di Sindaci ed amministratori capaci 
                  ed onesti, quelli risultati vincitori alle elezioni amministrative 
                  di questi ultimi tempi. Non è poco per sperare.
                  La scuola base di ogni ricchezza 
                 Da dove ricominciare allora per ricostruire una società civile?
                  Dalla scuola; non ho dubbi su questo.
                  In una società democratica è dalla scuola che, insieme alla 
                  Famiglia, passa la formazione dei giovani; è dalla scuola che 
                  deve passare la selezione della classe dirigente.
                  Quando questa selezione avviene al di fuori di essa c'è qualcosa, 
                  che non va. Vuol dire che la selezione è fatta dalle "consorterie" 
                  del potere, o da qualcosa di peggio.
                  Noi vogliamo una scuola che sia davvero la base di ogni ricchezza, 
                  l'elemento cardine dello sviluppo sociale ed economico del Paese.
                  "Il futuro si gioca in classe" -ho avuto modo di dire 
                  più volte. Ecco perché dobbiamo rifare la scuola.
                  E' vero: gli effetti di un buon sistema scolastico si fanno 
                  immediatamente sentire sul ritmo di crescita economica di un 
                  Paese (e basta pensare all'esperienza di questo secondo dopoguerra 
                  di Germania e Giappone).
                  Tuttavia, è in gioco qualcosa di più grande: il compito dell'educazione 
                  non consiste soltanto nel preparare operatori capaci.
                  Non è in gioco, in altri termini, soltanto l'efficienza di 
                  un sistema, bensì anche la sua equità.
                  Nelle nostre moderne democrazie è la scuola che deve difendere 
                  e promuovere i diritti d'accesso di tutti alla società civile.
                  Tutti i cittadini , non mi stancherò mai di ripeterlo, hanno 
                  diritto di fare la loro corsa per affermarsi proprio come cittadini.
                  La scuola così come è oggi in Italia non va. Si sta troppo 
                  poco in classe (8 anni nella scuola d'obbligo) e troppi non 
                  ci stanno affatto (la dispersione scolastica, in Italia, è altissima); 
                  il risultato è un enorme spreco di energie giovanili.
                  Fra le riforme da farsi con urgenza, ne voglio segnalare due: 
                  l'innalzamento dell'età dell'obbligo (da subito, almeno dieci 
                  anni di scuola) e l'istituzione - su base regionale - di una 
                  rete di scuole tecniche superiori, legate alla vocazione produttiva 
                  del territorio in cui sorgono.
                  A questo punto dobbiamo guardare più da vicino al rapporto 
                  fra formazione ed occupazione. 
                 
 
  | 
     
       | 
      | 
  ||||