La storia de L'Ulivo: UN ANNO DOPO

Incontro a Napoli: L'idea di governo che andiamo maturando per condurre il Paese nel Nuovo Millennio
Napoli, 17 giugno 1995

3. L'idea di governo che andiamo maturando per condurre il Paese nel Nuovo Millennio

Noi abbiamo il compito di proporre un programma del governo che porterà il Paese nel Nuovo Millennio.

Non è la sede e non è il momento per fare questo programma. Esso è opera collettiva.

Qui mi limito ad alcune riflessioni che derivano dal viaggio.

Riportare l'Italia in Europa

La prima colonna portante di questo programma è riportare l'Italia, a pieno titolo, in Europa.

Siamo stati fra i Paesi fondatori e non possiamo stare fuori da questa sfida. L'Europa è nata da tre grandi sognatori - De Gasperi, Adenauer e Schuman - che rappresentavano le tre grandi culture ed i tre grandi Paesi dell'Europa continentale: la Francia, la Germania e l'Italia.

L'Europa da oggi rischia di andare avanti senza di noi e questo è per noi inammissibile.

Vi sono alcune cose essenziali che dobbiamo fare subito per tornare a essere partecipi della sfida europea.

La prima è il risanamento del debito pubblico. Esso si fa con una politica rigorosa. Ma non con le politiche che possono uccidere la nostra economia. Dobbiamo risanare le nostre finanze non solo perché ce lo chiede l'Europa, ma perché lo chiede l'equità fra le generazioni.

Ed è in questo quadro che si pone la necessità di una rapida approvazione della legge sulle pensioni. Senza quest'approvazione l'estate della nostra economia sarà terribile.

La seconda è l'attuazione di una politica della concorrenza vera. In Europa, tutti i monopoli si stanno rompendo. La tecnologia fa miracoli e le nuove regole assecondano i miracoli della tecnologia. Tutti parlano in Italia di liberaldemocrazia, ma troppi dimenticano che essa implica non la legge del più forte ma una gara leale fra tanti.

In Europa non si può però entrare con il nostro Stato.

In Italia siamo oppressi dallo Stato.

Per entrare in Europa dobbiamo raggiungere il grande obiettivo di ridurre di due-terzi le nostre leggi in cinque anni. Lo possiamo fare. Le imprese e i cittadini non possono continuare a vivere e lavorare sotto l'insostenibile pesantezza di 150 mila leggi.

Noi vogliamo che tanti giuristi insieme a tanti funzionari dello Stato lavorino giorno e notte per cinque anni a rendere le nostre leggi comprensibili dai cittadini della Repubblica.

Con queste leggi infatti non si protegge nemmeno la proprietà privata.

Con queste leggi assistiamo a continui, incessanti attentati contro la proprietà, contro il mercato e contro la concorrenza.

Lo Stato che noi vogliamo è uno stato "leggero". Anzitutto, é uno Stato "arbitro", che detta le regole del gioco e le fa rispettare e che non opprime la vita quotidiana dei suoi cittadini.

E' uno Stato, inoltre, che deve privatizzare le sue aziende manifatturiere, le sue banche, le sue compagnie di assicurazione e così via. Tutte quelle attività economiche, insomma, che sono esposte alla concorrenza.

Esso tuttavia é uno Stato che in alcuni fondamentali ambiti della nostra vita associata interviene anche in prima persona. Il mio pensiero va alle situazioni di bisogno delle persone, alla sanità, all'istruzione.

Tutti i cittadini hanno diritto di fare la corsa: lo stato sociale che vogliamo

Siamo così arrivati ad un'altra colonna portante della nostra idea di governo: lo Stato sociale che vogliamo e la politica fiscale necessaria a finanziarlo.

V'è un principio ispiratore da tenere bene in mente: in una società democratica tutti hanno diritto di partecipare alla gara. Nessuno deve essere escluso. E nelle democrazie lo stato sociale e la scuola sono i due strumenti per dare opportunità a tutti i cittadini, per dare speranza al "terzo" degli italiani che non ce la fa da solo.

E qui sta il primo grande equivoco che Forza Italia, e tutta la destra italiana, hanno portato avanti in questi mesi. Quando la destra confronta il peso del nostro sistema con quello americano, si dimentica proprio che il livello di protezione assicurato dallo Stato Sociale di stampo europeo é ben altro rispetto a quello americano.

Ecco quindi che il confronto appropriato é quello tra Italia - Francia - Germania, e non già fra Italia e USA!

Anche per quanto riguarda lo stato sociale il nostro punto di riferimento è quindi la grande tradizione europea.

La destra italiana, è ancora ferma alla "parodia del thatcherismo".

I tagli ai programmi dello Stato sociale, ai programmi di protezione per i più deboli, quando vanno al di là di certi livelli spaccano completamente una società.

Certo, ci sarebbe, in teoria, anche un'altra strada per affrontare il debito pubblico: far correre l'inflazione. Ma in questo modo diventeremo più poveri.

Quando parliamo dello stato sociale che vogliamo emerge immediatamente il ruolo del volontariato.

Pubblico e privato possono e debbono collaborare per il bene della società.

In ogni regione che ho visitato ho visto alcuni grandi e nobili esempi di espressione di autentica solidarietà. Girando per l'Italia ho incontrato centinaia, migliaia di protagonisti del volontariato. Essi aiutano a cucire dove gli altri rompono.

Da questo ci viene un'importante lezione. Razionalizzare lo Stato sociale non è buttarlo via. Se facciamo ciò vuole dire che un terzo dei cittadini ha perso la corsa prima di partire, ha perso ogni opportunità di giocare il proprio ruolo nella società.

Ho espressamente parlato di "razionalizzare" lo Stato sociale perché non si può rispondere con la retorica di chi non fa i conti. Ma d'altro canto, il mercato non può fare tutto, anche se avessimo tutte le risorse di questo mondo.

Più della metà delle privatizzazioni di questo Paese le ho fatte io e non me ne sono certo pentito: eppure vi dico che, molte volte, sono in gioco problemi più grandi del mercato, che il mercato, da solo, non è in grado di risolvere.

La nuova Europa e il ruolo delle regioni

Volgere nuovamente lo sguardo verso l'Europa, ricostruire lo Stato e la pubblica amministrazione ci porta immediatamente a parlare delle Regioni.

Il nuovo Stato, la nuova Europa sono costruiti sulle regioni.

Esse sono "vicine" ai cittadini ed é questo il rafforzamento che vuole l'Unione Europea. La linea d'azione - come ho ripetuto lungo tutto il mio viaggio -va da Bruxelles a Napoli o da Bruxelles a Palermo (senza passare da Roma). Per un sempre crescente numero di competenze. In passato erano solo l'agricoltura e la sanità; adesso si sono aggiunte l'industria, la formazione professionale, e l'assetto del territorio. Nel futuro prossimo si aggiungerà tutta la politica industriale e, io penso, la politica scolastica.

Tutte competenze cruciali nel determinare la nuova forza competitiva delle Nazioni.

Gli strumenti per il progresso dell'economia sono ormai molto semplici. Una politica per le risorse umane, una politica per l'ambiente, una politica per le infrastrutture.

Ebbene, queste sono proprio le politiche che fanno capo alle Regioni. Rafforzare le nostre comunità regionali é quindi la via obbligata per entrare nella nuova Europa. E ciò vale -lo ripeto- in modo particolare per le regioni del Sud. Dopo gli anni, i decenni, dell'intervento straordinario svolto dal centro, da Roma, é giunto il tempo, per il nostro Mezzogiorno, di riprendersi in mano il proprio destino, di fare appello a quella che possiamo chiamare la risorsa dell'orgoglio. L'intervento su base regionale dovrà avvenire nel quadro di un nuovo regionalismo in cui l'ampio autogoverno di ogni Comunità regionale sarà equilibrato dalla solidarietà fra le aree ricche e quelle più svantaggiate del Paese.

Come ho avuto modo di dire fin dal mio viaggio in Puglia, il sud deve fare da sè, ma non da solo. PER TUTTO L'ULIVO

Il futuro ha radici antiche