3.
L'idea di governo che andiamo maturando per condurre il Paese
nel Nuovo Millennio
Noi abbiamo il compito di proporre un programma del governo
che porterà il Paese nel Nuovo Millennio.
Non è la sede e non è il momento per fare questo programma.
Esso è opera collettiva.
Qui mi limito ad alcune riflessioni che derivano dal viaggio.
Riportare l'Italia in Europa
La prima colonna portante di questo programma è riportare l'Italia,
a pieno titolo, in Europa.
Siamo stati fra i Paesi fondatori e non possiamo stare fuori
da questa sfida. L'Europa è nata da tre grandi sognatori - De
Gasperi, Adenauer e Schuman - che rappresentavano le tre grandi
culture ed i tre grandi Paesi dell'Europa continentale: la Francia,
la Germania e l'Italia.
L'Europa da oggi rischia di andare avanti senza di noi e questo
è per noi inammissibile.
Vi sono alcune cose essenziali che dobbiamo fare subito per
tornare a essere partecipi della sfida europea.
La prima è il risanamento del debito pubblico. Esso si fa
con una politica rigorosa. Ma non con le politiche che possono
uccidere la nostra economia. Dobbiamo risanare le nostre finanze
non solo perché ce lo chiede l'Europa, ma perché lo chiede l'equità
fra le generazioni.
Ed è in questo quadro che si pone la necessità di una rapida
approvazione della legge sulle pensioni. Senza quest'approvazione
l'estate della nostra economia sarà terribile.
La seconda è l'attuazione di una politica della concorrenza
vera. In Europa, tutti i monopoli si stanno rompendo. La tecnologia
fa miracoli e le nuove regole assecondano i miracoli della tecnologia.
Tutti parlano in Italia di liberaldemocrazia, ma troppi dimenticano
che essa implica non la legge del più forte ma una gara leale
fra tanti.
In Europa non si può però entrare con il nostro Stato.
In Italia siamo oppressi dallo Stato.
Per entrare in Europa dobbiamo raggiungere il grande obiettivo
di ridurre di due-terzi le nostre leggi in cinque anni. Lo possiamo
fare. Le imprese e i cittadini non possono continuare a vivere
e lavorare sotto l'insostenibile pesantezza di 150 mila leggi.
Noi vogliamo che tanti giuristi insieme a tanti funzionari
dello Stato lavorino giorno e notte per cinque anni a rendere
le nostre leggi comprensibili dai cittadini della Repubblica.
Con queste leggi infatti non si protegge nemmeno la proprietà
privata.
Con queste leggi assistiamo a continui, incessanti attentati
contro la proprietà, contro il mercato e contro la concorrenza.
Lo Stato che noi vogliamo è uno stato "leggero". Anzitutto,
é uno Stato "arbitro", che detta le regole del gioco e le fa
rispettare e che non opprime la vita quotidiana dei suoi cittadini.
E' uno Stato, inoltre, che deve privatizzare le sue aziende
manifatturiere, le sue banche, le sue compagnie di assicurazione
e così via. Tutte quelle attività economiche, insomma, che sono
esposte alla concorrenza.
Esso tuttavia é uno Stato che in alcuni fondamentali ambiti
della nostra vita associata interviene anche in prima persona.
Il mio pensiero va alle situazioni di bisogno delle persone,
alla sanità, all'istruzione.
Tutti i cittadini hanno diritto di
fare la corsa: lo stato sociale che vogliamo
Siamo così arrivati ad un'altra colonna portante della nostra
idea di governo: lo Stato sociale che vogliamo e la politica
fiscale necessaria a finanziarlo.
V'è un principio ispiratore da tenere bene in mente: in una
società democratica tutti hanno diritto di partecipare alla
gara. Nessuno deve essere escluso. E nelle democrazie lo stato
sociale e la scuola sono i due strumenti per dare opportunità
a tutti i cittadini, per dare speranza al "terzo" degli italiani
che non ce la fa da solo.
E qui sta il primo grande equivoco che Forza Italia, e tutta
la destra italiana, hanno portato avanti in questi mesi. Quando
la destra confronta il peso del nostro sistema con quello americano,
si dimentica proprio che il livello di protezione assicurato
dallo Stato Sociale di stampo europeo é ben altro rispetto a
quello americano.
Ecco quindi che il confronto appropriato é quello tra Italia
- Francia - Germania, e non già fra Italia e USA!
Anche per quanto riguarda lo stato sociale il nostro punto
di riferimento è quindi la grande tradizione europea.
La destra italiana, è ancora ferma alla "parodia del thatcherismo".
I tagli ai programmi dello Stato sociale, ai programmi di
protezione per i più deboli, quando vanno al di là di certi
livelli spaccano completamente una società.
Certo, ci sarebbe, in teoria, anche un'altra strada per affrontare
il debito pubblico: far correre l'inflazione. Ma in questo modo
diventeremo più poveri.
Quando parliamo dello stato sociale che vogliamo emerge immediatamente
il ruolo del volontariato.
Pubblico e privato possono e debbono collaborare per il bene
della società.
In ogni regione che ho visitato ho visto alcuni grandi e nobili
esempi di espressione di autentica solidarietà. Girando per
l'Italia ho incontrato centinaia, migliaia di protagonisti del
volontariato. Essi aiutano a cucire dove gli altri rompono.
Da questo ci viene un'importante lezione. Razionalizzare lo
Stato sociale non è buttarlo via. Se facciamo ciò vuole dire
che un terzo dei cittadini ha perso la corsa prima di partire,
ha perso ogni opportunità di giocare il proprio ruolo nella
società.
Ho espressamente parlato di "razionalizzare" lo Stato sociale
perché non si può rispondere con la retorica di chi non fa i
conti. Ma d'altro canto, il mercato non può fare tutto, anche
se avessimo tutte le risorse di questo mondo.
Più della metà delle privatizzazioni di questo Paese le ho
fatte io e non me ne sono certo pentito: eppure vi dico che,
molte volte, sono in gioco problemi più grandi del mercato,
che il mercato, da solo, non è in grado di risolvere.
La nuova Europa e il ruolo delle regioni
Volgere nuovamente lo sguardo verso l'Europa, ricostruire lo
Stato e la pubblica amministrazione ci porta immediatamente
a parlare delle Regioni.
Il nuovo Stato, la nuova Europa sono costruiti sulle regioni.
Esse sono "vicine" ai cittadini ed é questo il rafforzamento
che vuole l'Unione Europea. La linea d'azione - come ho ripetuto
lungo tutto il mio viaggio -va da Bruxelles a Napoli o da Bruxelles
a Palermo (senza passare da Roma). Per un sempre crescente numero
di competenze. In passato erano solo l'agricoltura e la sanità;
adesso si sono aggiunte l'industria, la formazione professionale,
e l'assetto del territorio. Nel futuro prossimo si aggiungerà
tutta la politica industriale e, io penso, la politica scolastica.
Tutte competenze cruciali nel determinare la nuova forza competitiva
delle Nazioni.
Gli strumenti per il progresso dell'economia sono ormai molto
semplici. Una politica per le risorse umane, una politica per
l'ambiente, una politica per le infrastrutture.
Ebbene, queste sono proprio le politiche che fanno capo alle
Regioni. Rafforzare le nostre comunità regionali é quindi la
via obbligata per entrare nella nuova Europa. E ciò vale -lo
ripeto- in modo particolare per le regioni del Sud. Dopo gli
anni, i decenni, dell'intervento straordinario svolto dal centro,
da Roma, é giunto il tempo, per il nostro Mezzogiorno, di riprendersi
in mano il proprio destino, di fare appello a quella che possiamo
chiamare la risorsa dell'orgoglio. L'intervento su base regionale
dovrà avvenire nel quadro di un nuovo regionalismo in cui l'ampio
autogoverno di ogni Comunità regionale sarà equilibrato dalla
solidarietà fra le aree ricche e quelle più svantaggiate del
Paese.
Come ho avuto modo di dire fin dal mio viaggio in Puglia,
il sud deve fare da sè, ma non da solo.