Care Amiche e cari Amici,
cara Presidente, caro Segretario,
1. Su di noi grava il compito di ricostruire il Paese. Di
dare all'Italia un governo che duri per cinque anni.
Per questo motivo ho speso tutti questi mesi a parlare con
la gente, a capire l'Italia.
Non mi sono mai posto il problema della leadership, mi sono
sempre il problema di formare una grande coalizione, quella
grande coalizione di cui il Paese sentiva profondamente bisogno.
Non ho quindi nessuna necessità di ulteriori riconoscimenti,
non ho bisogno di essere unto da qualcuno, tanto meno da chi
ha della democrazia un concetto che prescinde dal ruolo e dalla
presenza dei cittadini.
Di chi crede che la leadership sia qualcosa che viene dall'alto.
Per questo mi sono sottoposto al giudizio e alla critica dei
cittadini.
Per questo ho tanto viaggiato e ho parlato con tanta gente.
Perché è solo dai cittadini che viene la leadership.
Sono comunque grato al Cavalier Berlusconi di avermi ben due
volte chiamato "Onorevole", precedendo in questo caso il giudizio
degli elettori, ma dimostrando una concezione virtuale della
democrazia e scarsa frequentazione delle aule Parlamentari.
2. L'Italia non ha però bisogno di piccoli giochi di furbizia.
L'Italia ha bisogno di un governo che la guidi fuori dalle
secche e la riporti in Europa.
Siamo infatti fuori dallo SME, siamo fuori dai parametri di
Maastricht.
Stiamo rischiando di non fare nemmeno parte dell'Europa politica
che è stata ed è la nostra anima.
C'è il rischio che l'Europa vada avanti senza di noi e questo
per noi è inammissibile.
3. Occorre quindi un governo serio e rigoroso che nello spazio
della prossima legislatura porti il nostro deficit, la nostra
inflazione, i nostri tassi di interesse ai livelli della Francia
e della Germania.
4. In Europa vogliamo tornare con la libertà.
Noi non abbiamo nessuna paura della concorrenza perché non
abbiamo monopoli da difendere, non abbiamo interessi personali
da garantire.
Siamo profondamente radicati nella grande tradizione occidentale
in cui la concorrenza, la lotta contro i monopoli, l'antitrust
facevano parte essenziale di ogni coalizione riformatrice.
Questo compito ci è stato certo facilitato dalla dottrina
economica del polo delle libertà che ha abbracciato un liberismo
verbale, ma che ha preferito e preferisce non muovere nulla
perché paralizzato dai divergenti interessi rappresentati da
Forza Italia e da Alleanza Nazionale.
Interessi che non sono stati mai mediati da quello che è il
compito fondamentale di ogni coalizione di governo, che è quello
di fare un programma in comune.
Per questo motivo Alleanza Nazionale continua a praticare
una politica economica costruita su una profonda commistione
tra potere politico ed economia pubblica e Forza Italia continua
a predicare un Iiberismo verbale che non è stato capace di tradursi
in un solo atto di privatizzazione e in un solo momento di liberalizzazione
vera della concorrenza.
Nell'anno dell'ultima mia presidenza dell'IRI ho realizzato
o impostato quasi tutte le privatizzazioni che sono state fatte
in Italia.
Dopo di allora non ne abbiamo avuta nessuna e niente è stato
fatto per regolare i monopoli e la concorrenza, con buona pace
del liberalismo.
Per questo godiamo dell'indubbio privilegio di vedere che
i mercati finanziari internazionali innalzano i titoli italiani
quando la destra perde (come alle elezioni amministrative) e
precipitano in una cupa depressione quando la destra vince (come
nei recenti referendum).
I mercati finanziari che fino a qualche mese fa temevano soprattutto
i pericolosi comunisti sono ora letteralmente terrorizzati dalla
possibile vittoria di questo incompetente liberista.
L'Europa crede in noi: l'Europa dei finanzieri, come l'Europa
dei lavoratori.
Per questo motivo tutto e solo è nostro il compito di riportare
l'Italia in Europa.
Nonostante questo, Berlusconi ama agitare lo spettro del comunismo:
e fa bene perché questa è la sua assicurazione sulla vita. E'
l'unico modo per cui può avere un futuro politico.
Con la vostra convergenza verso il centro gli state rovinando
la vecchiaia.
5. In Europa dobbiamo tornare con l'intelligenza.
Per questo motivo abbiamo messo al centro del nostro programma
la scuola.
Per questo vi abbiamo messo le risorse umane, per questo vi
abbiamo messo la ricerca.
Nella concorrenza mondiale in cui siamo tutti immersi possiamo
conservare e migliorare il nostro livello di benessere solo
con una preparazione delle risorse umane superiore a quella
degli altri Paesi.
Abbiamo bisogno di più scuola e abbiamo bisogno di una nuova
scuola.
6. Dobbiamo ritornare in Europa con la solidarietà.
Gira per l'Italia una falsa leggenda. Essa suona così.
Per raggiungere una maggiore efficienza un sistema economico
deve pagare il prezzo di una crescente disuguaglianza.
Con forza voglio dirvi che è vero il contrario: in una società
democratica l'equità è una condizione anche per l'efficienza
economica.
L'ineguaglianza è dannosa per la crescita. Essa conduce a
politiche economiche non appropriate.
Il problema dell'ineguaglianza in Italia si chiama soprattutto
Mezzogiorno.
Quando ho cominciato il mio viaggio parlavo genericamente
di disoccupazione. Ora parlo soprattutto di disoccupazione del
Mezzogiorno.
In queste regioni dobbiamo concentrare i nostri sforzi, in
queste regioni dobbiamo puntare ad una maggiore spinta di innovazione
e di cambiamento.
Il nostro esempio è la Germani Orientale.
Il Mezzogiorno dovrà avere le infrastrutture più moderne.
Nel Mezzogiorno dovrà esserci il più grande sforzo di solidarietà
del Paese.
Noi crediamo quindi nel mercato, ma crediamo che quando sono
in gioco la promozione delle risorse umane (come la scuola)
o solo la salvaguardia dell'uomo nel momento della debolezza
(come la sanità) lo Stato abbia l'assoluto dovere di intervenire.
Questo per la salvaguardia del singolo e dell'intera collettività.
Alcuni a questo proposito ci accusano di avere un'anima tenera.
Forse hanno ragione perché noi rivendichiamo con forza il
diritto e il dovere di avere un'anima tenera, perché un'anima
tenera non significa un'anima debole, ma una seria capacità
di risposta alle ingiustizie sociali.
Quello che non debbono temere da noi è che ci possiamo piegare
di fronte alle domande dei privilegiati.
Che possiamo usare il sostegno del settore pubblico - che
va usato con estrema parsimonia - per difendere posizioni di
rendita.
E sappiate che, quando saremo al governo, non accetteremo
mai di impegnarci in una trattativa concessoria, come quella
che è oggi in corso, tra Alitalia e il sindacato dei piloti.
In un caso di questo tipo (che non riguarda certo solo il trasporto
aereo) anteporremo la liberazione del mercato facendo partecipare
anche altri vettori alle rotte nazionali e soprattutto, intervenendo
con tutti i mezzi a disposizione per garantire la continuità
e l'affidabilità del servizio.
Questo è lo spirito del centro sinistra liberale.
7. Noi dobbiamo entrare in Europa con una nuova qualità della
vita.
La nostra occupazione va soprattutto ricercata nello sviluppo
dei beni immateriali.
La nuova qualità della vita significa rifare la periferia
delle nostre città.
8. In Europa noi dobbiamo entrare con un nuovo Stato: a) meno
leggi b) lotta all'evasione fiscale c) stato leggero significa:
decentramento nuovo federalismo nuova classe dirigente.
Riforma dello Stato significa innanzitutto riforma della giustizia.
Lo Stato liberale nasce nel rispetto dell'autonomia e della
responsabilità dei singoli poteri.
Quando c'è confronto, anche duro, tra i poteri, non è in pericolo
la democrazia. Non c'è da scandalizzarsi se i magistrati prendono
posizione rispetto a proposte di legge. La anomalia interviene
quando viene la consapevolezza del proprio ruolo: autonomia
significa infatti responsabilità. Tanto maggiore è l'autonomia,
tanto più è la responsabilità.
E questo vale per tutti, per il potere giudiziario, ed il
potere legislativo, per il potere esecutivo.
Il pericolo per la democrazia c'è solo quando non c'è il rispetto
per l'autonomia dei diversi ruoli.
Per questo è sicuro il nostro no alla politicizzazione della
magistratura.
Ma è altrettanto forte la nostra solidarietà con i giudici
che hanno rotto un meccanismo perverso, l'intreccio disastroso
tra la politica e gli affari.
Per questo è sicuro il nostro no ad un uso di parte dei poteri
dell'esecutivo verso la magistratura.
Per questo è sicuro il nostro sì al parlamento che legifera
per tutelare i diritti inviolabili della persona.
E tra questi non mettiamo solo il fondamentale diritto alla
libertà personale, mettiamo anche il diritto ad una giustizia
efficiente e rapida.
Per questo ciò che ritengo più urgente è una profonda riforma
del sistema giudiziario che impedisca il protrarsi di situazioni
per cui una causa civile intentata oggi, magari per un controversia
pensionistica, finisca per passare in giudicato nel 2005 (o
oltre).
Se non si razionalizza il sistema giudiziario, se non gli
permettiamo di lavorare bene rimarrà una manna per i più forti
e i più furbi e una mannaia per i più deboli.
Ma questa domanda di governo ha bisogno di una risposta forte
ed adeguata.
La coalizione, che si è raccolta per dare una risposta a questa
domanda, nasce da una intuizione di fondo. Dalla necessità dell'incontro
delle forze della sinistra e del centro. A pochi mesi da quando
il disegno di questo incontro è stato per la prima volta abbozzato,
mentre ci rallegriamo per il cammino fatto, siamo ancora sorpresi
per la velocità con cui il processo di costruzione della coalizione
si è sviluppato.
Quella che a gennaio era solo un'ipotesi si presenta oggi
al Paese con una sua identità forte e riconosciuta.
L'identità che abbiamo rappresentato nell'immagine dell'Ulivo.
Forze che appena un anno fa erano divise, si riconoscono accomunate
da un progetto non provvisorio che ha già raccolto in ripetute
prove il consenso degli elettori. Esigenze e bisogni formulati
a partire da ispirazioni diverse stanno diventando un organico
programma di governo.
Certo la necessità di questo incontro è stata determinata
dalla logica del nuovo sistema elettorale e dall'urgenza di
far fronte al rischio di una grave degenerazione della democrazia.
Senza questa spinta, senza questa preoccupazione saremmo ancora
a gingillarci sulle sfumature che hanno differenziati e diviso
finora il campo democratico. Se il processo si è sviluppato
con la velocità della quale non riusciamo ancora a renderci
conto è tuttavia perché la nostra unità ha alla sua origine
una più profonde e più antiche.
Senza dimenticare nessuna delle scelte cruciali per lo sviluppo
del paese che ci hanno visti divisi, profondamente divisi, dobbiamo
anche ricordare il passato di unità che ci accomuna. So che
il fascismo è un evento lontano, che molti ritengono sia meglio
dimenticare.
Non è per cedere alla retorica e neppure per inchiodare l'avversario
ad un passato dal quale ha iniziato a prendere le distanze,
ma credo che non possiamo non ricordare come nel fronte democratico
siano accomunate solo e tutte le formazioni politiche che lottarono
contro il fascismo e assieme condivisero la stagione costituente.
Una solidarietà che ha attraversato, al di là delle divisione,
tutta la storia della repubblica, e che nei passaggi più delicati
l'ha salvata da gravi processi involutivi.
Il comune riferimento ai valori che guidarono il processo
costituente non ha impedito che tutti ci trovassimo di nuovo
uniti nel processo di riforma istituzionale che ha inaugurato
questa nuova stagione della democrazia.
A differenza del campo a noi avverso la nostra coalizione
unisce infatti quasi nella totalità le forze che hanno promosso
il movimento referendario per le riforme istituzionali.
Così come la stagione costituente ci vide uniti nella costruzione
delle istituzioni, la stagione delle riforme ci ha visto e ci
vede uniti nella preoccupazione per il governo del Paese.
Ieri Berlusconi, in ben due occasioni, - alla convenzione
per la riforma liberale ed in questa stessa assemblea - ha dichiarato
con l'enfasi che caratterizza il suo stile oratorio, la sua
preoccupazione per la governabilità del Paese. Ed ha avanzato
la proposta di soluzioni istituzionali finalizzate a dare stabilità
all'azione di governo. Al di là dei tempi e dei modi dei quali
abbiamo già iniziato a discutere non possiamo non rallegrarci
dell'acquisizione di questa consapevolezza.
Sarebbe stato certo meglio per tutti se di questo si fosse
ricordato l'anno scorso nella formazione delle due alleanze
elettorali che ha preteso e ancora pretende di far passare per
una coalizione di governo. Mentre sono state solo un blocco
di potere.
Se la consapevolezza della necessità dell'incontro tra il
centro e la sinistra è diffusa e radicata, non sempre identica
è la definizione del suo significato e del suo sviluppo.
Da qualche parte si è in particolare cercato di ridimensionare
il significato di questo incontro.
Vale la pena di spendere qualche parola su questo problema.
Ci sono amici che hanno voluto ricordarci come l'esperienza
di governi di coalizione sia nel nostro Paese un'esperienza
non certo nuova. Nulla di più esatto. Anche nei momenti nei
quali sarebbe stato possibile forzare i limiti della aritmetica
parlamentare, la ricerca di accordi per coinvolgere nel governo
del Paese partiti e forze di diversa ispirazione ed orientamento
politico è stata da noi una costante. Muovendo da una definizione
di coalizione forzata sulla distinta identità dei contraenti,
sulla libertà di entrate e di uscite dalla coalizione stessa.
Noi sappiamo però che il nostro Paese ha anche conquistato,
tra le democrazie parlamentari, un record di instabilità di
governo non invidiato da nessuno.
Non è perciò questo il tipo di coalizione del quale l'Italia
ha oggi bisogno.
Altri amici ci ricordano invece che non solo nel nostro passato,
ma anche in altri Paesi d'Europa esistono oggi coalizioni fondate
sull'incontro tra il centro e la sinistra (l'Austria, il Belgio,
il Lussemburgo). Di fronte ad emergenze storiche particolari,
partiti che pur provengono da un passato di distensione e senza
precludersi un futuro di divisione accettano di collaborare.
Solo al fine di superare emergenze istituzionali e sociali.
Neppure questa è la strada. La coalizioni imposte dal maggioritario
non possono essere confuse con le coalizioni del proporzionale.
La nostra coalizione è un patto stipulato di fronte all'elettorato
che deve valere per tutta la legislatura, una legislatura che
dura il tempo di una legislatura.
Le coalizioni del maggioritario, le coalizioni delle quali
il nostro Paese ha bisogno non sono patti rescindibili a breve.
Non sono aggregazioni che nascono sotto il segno dell'eccezionalità.
In tutti i congressi delle diverse forze della coalizione
ai quali ho partecipato in questi giorni, ho ribadito che l'Ulivo
è una pianta con molte radici. Tutte e ognuna preziose per far
crescere la pianta rigogliosa e capace di resistere alla tempesta.
Lo voglio ripetere con solennità anche qui, nell'assise della
forza con il maggior seguito elettorale. Guai se l'Ulivo diventasse
una pianta con una sola radice, anche se forte, anche se profonda.
Una delle differenze più importanti tra un albero e un palo
è proprio l'articolazione delle sue radici.
Guai se l'Ulivo non si proponesse all'elettorato nella sua
unità. Ed è alla costruzione di questa unità che dobbiamo applicarci
con determinazione. Alla definizione della sua organizzazione
interna, all'elaborazione di una identità capace di rappresentarla.
Un'ultima osservazione a proposito del tavolo delle regole.
Non vi è dubbio che la proposta di definire compiutamente
la forma di stato prima di rivedere il sistema elettorale sia,
sul piano del metodo, corretta.
Così come il tema del presidenzialismo sia un argomento decisivo
per la stabilità del governo.
Ma la questione oggi aperta è un'altra: vuole questo Parlamento
affrontare il tema della riforma della Costituzione? Esiste
cioè un grado di maturazione e di convincimento sui problemi
di revisione costituzionale tra le forze politiche rappresentate
alla Camera e al Senato tale da consentirci di ottenere risultati
concreti? Se la risposta è invece no, resta comunque un grande
problema aperto per il Paese, e cioè quello di dare legittimità
all'esito della consultazione elettorale, e stabilità al prossimo
Governo e Parlamento. Solo così potranno mettere mano alla riforma
costituzionale.
Per questo è nata la nostra proposta del "tavolo delle regole".
Il "rilancio" al quale abbiamo assistito da parte del Polo
delle libertà del tema di una riforma in senso presidenzialista,
non è, come si vorrebbe far passare, il vero salto di qualità,
la vera proposta innovativa. Esso è piuttosto il macigno che
può impedire il raggiungimento di un accordo vero e realistico
sulle cose che possono essere fatte per consentirci di andare
correttamente alle elezioni.
Nel recente passato abbiamo già assistito altri rilanci in
grande stile, alle vaste visioni riformatrici di Bettino Craxi,
che in nome della grande riforma sempre declamata e mai realizzata
ha tenuto in scacco per anni la democrazia in Italia.
Non vorrei che ci avviassimo a rivivere quella stagione fatta
di grandi dichiarazioni di principio che nascondono piccoli
compromessi di potere.
Molti segnali mi fanno temere che questo rischio possa riaffacciarsi
concretamente.
Per esempio, in tema di par condicio.
A proposito, mi devo scusare con voi se non posso garantirvi
pari condizioni di trattamento, rispetto a quanto fatto ieri
da Berlusconi: non ho una rete televisiva in grado di mandare
in onda ininterrottamente il mio intervento e cinque minuti
di quello di D'Alema, come ha invece fatto Rete 4.
Perché, vedete, anche da queste piccole cose si può capire
il grado di rispetto delle regole.
Quelli che erano qui in sala e non hanno potuto apprezzare
il lavoro di Emilio Fede, che ha garantito la diretta integrale
(30 minuti) del discorso di Berlusconi, e poi, per ragioni di
pari opportunità ha consentito la ripresa di ben 5 minuti dell'intervento
di Walter Veltroni.
Per la verità, forse per rispetto della volontà popolare sul
referendum, ha però garantito una interruzione pubblicitaria
a testa.
Ed era il giorno del dialogo! Figuriamoci cosa ci potrà riservare
la prossima campagna elettorale, se il Parlamento non regolerà
la questione della par condicio.
Dai discorsi di questi giorni si deduce che oggi siamo tutti
liberali.
Ma in questo sabba estivo di liberalismo bisogna avere la
capacità di capire e di distinguere.
Nelle democrazie liberali le regole, sono regole di libertà,
sono la misura che il proprio diritto individuale esiste in
quanto è capace di riconoscere e tutelare un eguale diritto
agli altri.
Nel liberalismo di questa nostra destra italiana, la regola
sembra essere la capacità di misura di un potere, e tanto più
è forte il potere, tanto più debole deve essere la regola.
Per noi invece le regole sono sacre e soprattutto sacro è
il dovere della serietà.
Niente slogan, niente sogni irrealizzabili.
Un lavoro serio, impegnativo, dai risultati duraturi per costruire
un Paese da lasciare in eredità ai nostri.
Questo deve essere ed è il nostro sogno.
Non lo vendiamo.
Lo vogliamo condividere.
Non lo spacciamo per un'effimera e apparente felicità.
Perché a noi si chiede di avere un progetto e noi abbiamo
un progetto.
Il nostro desiderio, il nostro sogno, la nostra volontà è
di realizzarlo.