Un contributo al dibattito
e al programma per l'economia del Mezzogiorno è pervenuto
da un gruppo di docenti dell'Università di Napoli: Alfredo
Del Monte, Domenicantonio Fausto, Adriano Giannola, Bruno Jossa,
Alfonso Barbarisi. Ecco il loro documento:
- Premessa
- Incentivi in conto capitale
- Tutela della concorrenza
- La creazione di consorzi fidi
- Regionalismo e federalismo fiscale cooperativo.
La deriva dell'economia meridionale continua ininterrotta dall'inizio
degli anni `90. La congiuntura negativa si è assommata
ad un approfondirsi delle difficoltà strutturali che tendono
ad acuirsi e a delineare una prospettiva di preoccupante declino
alla quale non sembrano in grado di opporsi con efficacia le residue
forze vitali dell'impresa e del lavoro del Sud. La disoccupazione
di massa è il fenomeno più appariscente dell'emergenza
sociale nel Mezzogiorno, ma altrettanto drammatici sono i segnali
che provengono dalle strutture produttive.
In termini di prospettive di sviluppo industriale, il Mezzogiorno
si trova oggi in una situazione più difficile di quella
esistente alla fine degli anni `50, tale da richiedere un intervento
pubblico volto a favorire il miglior funzionamento del mercato.
Sono pertanto auspicabili interventi che promuovano la concorrenza
dove necessario, come nel caso del sistema finanziario meridionale
ed in alcune attività di servizi; favoriscano la diffusione
di informazioni; ristabiliscano l'equilibrio fra prezzi e costi,
per quelle attività direttamente gestite dal settore
pubblico e che non possono essere privatizzate; perseguono un'efficace
politica di incentivi che non crei occasione di rendita per
le imprese; facilitino la crescita del capitale umano e ripristinino
un'effettiva convenienza a localizzare nuovi insediamenti nel
Mezzogiorno.
Elemento di grande preoccupazione riguarda le difficoltà
delle aziende di credito del Mezzogiorno. La vera responsabilità
di tali aziende è di essersi imbarcate senza riserve
nel sostegno di quella forma di economia alimentata dalla politica
e non dal mercato che ha caratterizzato nei decenni passati
l'economia meridionale (i fasti del blocco edile del post-terremoto
napoletano sono solo un esempio). Del tutto carente è
stata di conseguenza una strategia di sostegno alla crescita
e di articolazione di un apparato produttivo locale rivolto
al mercato. L'esile strato di imprese dinamiche e potenzialmente
di successo è stato di fatto discriminato e razionato
sul mercato del credito, subendo lo spiazzamento che, dal lato
degli impieghi bancari, ha comportato il finanziamento di attività
di fatto legate (secondo una lunga tradizione) alla speculazione
edilizia.
In secondo luogo, proprio la scarsa attenzione ad allevare
una classe imprenditoriale moderna, ha reso sistematicamente
gli impieghi nei settori produttivi ancora più rischiosi
di quanto non possano legittimare gli svantaggi ambientali in
cui operano le imprese del Mezzogiorno. Infine, a ciò
si aggiunga la spallata all'equilibrio economico-finanziario
di tante imprese meridionali derivanti dai ritardi nelle erogazioni
prima e dall'improvviso cessare poi del sistema di incentivi
finanziari, che ha invalidato anche i più prudenti e
razionali calcoli di convenienza degli imprenditori.
Dopo aver perso le grandi imprese, con il declino delle grandi
banche, il Mezzogiorno rischia di perdere un altro strumento
essenziale di sviluppo.
Appare necessaria una ripresa ed una espansione delle attività
industriali manifatturiere viste come elemento essenziale per
ottenere un aumento dell'occupazione stabile ed arrestare la disgregazione
sociale, di cui lo strapotere della criminalità organizzata
e gli elevati livelli di corruzione sono segni evidenti.
La discussione sulle "gabbie salariali" appare, a nostro avviso,
un falso problema anche se condividiamo la necessità
che sia nel settore pubblico che in quello privato siano individuati
strumenti che favoriscano una maggiore flessibilità del
lavoro e l'adeguamento dei livelli retributivi alle caratteristiche
delle diverse aree del Paese. I livelli di disoccupazione raggiunti
nel Mezzogiorno hanno allargato le aree ove è flessibile
il mercato del lavoro. Le aree ad elevata rigidità del
lavoro sono quelle dove domina il settore pubblico (per il quale,
tuttavia, il problema delle "gabbie salariale" non viene posto)
e, anche se in misura minore che in passato, le aree delle partecipazioni
statali, dei servizi di pubblica utilità e dei settori
protetti. E' indubbio che l'introduzione della contrattazione
territoriale (come livello sostitutivo di quella nazionale)
e di quella aziendale potrebbero essere utili in molti settori,
non tanto per ridurre il costo del lavoro effettivo quanto per
far coincidere le condizioni del lavoro di fatto con quelle
contrattuali, riportando quindi molte imprese nella legalità.
Gli incentivi in conto capitale sono, a nostro avviso, un
elemento essenziale per favorire gli investimenti nel Mezzogiorno.
E' necessario, però, che il contributo in conto capitale
sia concesso in maniera automatica una volta che, sulla base
di semplici e chiari criteri selettivi noti ex ante, il progetto
di investimento abbia superato il giudizio di merito di un qualsiasi
istituto bancario che provveda al finanziamento del progetto
a tasso ordinario per la parte non coperta da fondi propri dell'impresa
e dall'agevolazione.
L'auspicabile accentuazione dei tratti automatici del sistema
di incentivi potrebbe accrescere un fenomeno (per altro già
esistente con il vecchio sistema) di formazione di rendite a
favore delle imprese relativamente più efficienti e/o
di quelle che comunque avrebbero realizzato il progetto di investimento
nel Mezzogiorno. Giacché le imprese non sono tutte egualmente
efficienti, un incentivo in proporzione fissa, che permettesse
all'impresa marginale di realizzare il progetto consentirebbe
alle imprese potenzialmente più efficienti di godere
di rendite e ridurre l'impegno ad una migliore utilizzazione
delle risorse.
Per mitigare tali problemi, occorrerebbe offrire alle imprese
non una sola forma di incentivo ma un pacchetto di forme
di incentivazione fiscali e finanziarie fra le quali le
imprese possano scegliere. Dovrebbe inoltre essere data la possibilità
di compensare i debiti verso le autorità fiscali e l'INPS
in contro contributi da concedere. Questo permetterebbe fra
l'altro di conciliare le esigenze di rapidità e di certezza
delle piccole e medie imprese locali e non locali che potrebbero
preferire una procedura più automatica, con la possibilità
di concedere contributi in conto capitale in misura più
elevata a imprese nazionali e multinazionali che propongono
progetti particolarmente significativi per lo sviluppo del Mezzogiorno.
Questo altro tipo di contributo dovrebbe essere concesso dopo
un'attenta valutazione del progetto da parte del Ministero dell'Industria
o di organismi ad esso collegati. E' presumibile che i vantaggi
in termini di rapidità di questo tipo di procedura permetterebbe
una riduzione del valore delle aliquote medie di contributo
concesso, con un notevole vantaggio per la finanza pubblica.
In realtà, questa possibilità di scegliere fra
pacchetti alternativi di incentivi non è contemplata
dalla nuova legislazione che, come si è detto, si limita
alla possibilità di scelta fra un incentivo fiscale automatico
ed un contributo in conto capitale soggetto ad attività
discrezionale.
Elemento essenziale dello sviluppo economico del Sud è
la riduzione del differenziale dei tassi d'interesse. A nostro
avviso, le inefficienze del mercato del credito nel Sud derivano
prevalentemente dalla presenza di mercati imperfetti. Questi ultimi
riducono la competitività fra le banche, per cui una parte
del differenziale Nord-Sud nei tassi di interesse è dovuto
a potere monopolistico delle banche.
Sarebbe anzitutto necessario rafforzare un'attività
di tutela della concorrenza per verificare se gli istituti bancari
che operano nel Mezzogiorno attuino discriminazioni dei prezzi,
cioè pratichino differenze di tasso ingiustificata fra
imprese appartenenti alle stesse classi di rischio, localizzate
in aree del Paese territorialmente differenti. A questo proposito
sarebbe estremamente importante un controllo della struttura
dei costi delle banche meridionali. Molto spesso nel Mezzogiorno
il potere monopolistico delle banche si evidenzia non nei profitti
ma nelle strutture di costo eccessivamente onerose rispetto
ad analoghe banche nel Centro-Nord.
L'obiettivo di venire incontro ai problemi di liquidità
delle piccole e medie imprese a ha spinto il Governo a prendere
una serie di provvedimenti quali le disposizioni sul consolidamento
agevolato dell'esposizione debitoria a breve e la costituzione
di un Fondo di Garanzia sui crediti bancari alle imprese delle
aree depresse. Vi è, a nostro avviso, il rischio che
l'operazione si traduca in un vantaggio per le banche e le imprese
finanziariamente più forti, ma non necessariamente più
efficienti. Inoltre, l'obiettiva discrezione nell'individuazione
delle esposizioni "non sofferenti" presta il fianco a operazioni
non trasparenti simili a quelle che in passato hanno caratterizzato
il sistema finanziario meridionale. Il Fondo, quindi, non rafforzerebbe
la concorrenza tra le banche, non influirebbe sui meccanismi
che determinano l'asimmetria informativa, ne stimolerebbe le
banche a valutare meglio la capacità di reddito delle
imprese rispetto alle sue capacità patrimoniali.
Piuttosto che un unico fondo previsto dal Governo, gestito centralmente,
sarebbe opportuno favorire e rafforzare le iniziative delle imprese
per la costruzione di Consorzi Fidi. Questi Consorzi potrebbero
beneficiare di sostanziali apporti dalla Stato, anche se bisognerebbe
prevedere quote di contribuzione differenziata al fondo consortile
da parte delle imprese in base alle classi di rischio cui appartengono.
Si potrebbe pensare al disegno di meccanismi per cui le imprese
nello scegliere la forma di contribuzione al fondo "rivelano"
il proprio "tipo", cioè la classe di rischio a cui appartengono.
Le imprese a più alto rischio sceglieranno un grado di
copertura maggiore, che può essere anche totale, e pagheranno
una quota di contribuzione più elevata. Le imprese a più
basso rischio preferiranno una contribuzione più bassa
con un grado di copertura minore. Il Consorzio avrebbe, in tal
modo, un'elevata forza contrattuale sia perché dotato di
un robusto Fondo di garanzia, sia perché in possesso di
informazioni sulla classe di rischio dei suoi appartenenti che
la banca potrebbe sfruttare. Il contributo dello Stato dovrebbe
servire ad abbassare la quota di partecipazione al Consorzio delle
imprese appartenenti alle varie classi di rischio.
E' chiaro che il problema degli incentivi rappresenta solo
un aspetto del più generale problema delle caratteristiche
che l'intervento pubblico deve assumere nel Mezzogiorno per
favorirne lo sviluppo. Il limitato successo della politica di
industrializzazione nel Mezzogiorno è infatti da imputarsi
più che alla forme che tale politica ha assunto, ai meccanismi
distorsivi indotti dall'operare della spesa pubblica sia nel
Mezzogiorno che nel resto del paese.
E' proprio dove la pubblica amministrazione è più
inefficiente e corrotta che complesse regolamentazioni diventano
un ostacolo all'attività economica e fonte di corruzione.
Nel Mezzogiorno il problema è anzitutto quello di ridurre
il numero delle regole, eliminando tutte quelle che non sono
effettivamente necessarie e concentrandosi sul rispetto, in
ogni campo, di un numero più limitato di norme. Meccanismi
quali l'autocertificazione, controlli ex-post, possibilità
di monetizzare il mancato rispetto di alcune regole minori,
sono tutti aspetti importanti che possono contribuire a rivitalizzare
l'attività economica nel Mezzogiorno.
Per il Mezzogiorno vi è anche la necessità di una
riforma dell'ordinamento regionale che coniughi lo sviluppo delle
autonomie locali con una politica che si muova nella direzione
di una riduzione degli squilibri territoriali e rinsaldi l'unità
del paese. L'Italia sta attraversando un momento critico che richiede
anche una redifinizione del ruolo delle regioni, mediante il conferimento
di nuove competenze ed un maggior grado di autonomia finanziaria.
E' da escludere, però, che la soluzione debba portare ad
un federalismo spinto, che comporterebbe il pericolo di una divisione
del paese attraverso il "separatismo fiscale". E' questa un'arma
molto pericolosa: una società che pone condizioni di separatismo
riguardo al prelievo fiscale, mette in discussione la sua stessa
esistenza e il suo destino.
Poche ragioni ai sostenitori di un federalismo spinto porta
l'esempio tedesco, dato che i Lander non sono dei veri
e propri Stati, ma delle strutture prevalentemente amministrative
che non interferiscono con l'unità della politica economica
nazionale.
I tedeschi vivono in uno Stato unitario, con condizioni di
vita, ordinamento giuridico e sistema fiscale unitari. Il perno
finanziario del sistema è la perequazione finanziaria
tra le regioni ricche e quelle povere. La Germania è
un esempio di decentramento accentuato della spesa, ma di contenuta
autonomia tributaria: la maggior parte delle entrante dei Lander
deriva dalla compartecipazione al gettito di imposte stabilite
dal governo centrale.
L'autogoverno presuppone un grado soddisfacente di autosufficienza
finanziaria. Nel caso italiano, si potrebbero trasferire alle
regioni alcune imposte indirette sugli scambi e sui consumi:
l'imposta di registro sugli immobili, l'imposta sul consumo
dei tabacchi, i proventi del lotto, l'imposta statale di consumo
su gas ed energia elettrica, l'imposta statale sulle registrazioni
al PRA, l'imposta sulle assicurazioni . Nel 1993 il gettito
complessivo di questi tributi è stato di circa 17.000
miliardi, con forti differenze pro-capite tra le varie regioni.
Necessiterebbe, quindi, una compartecipazione al gettito dei
tributi erariali, tenendo però presente che le maggiori
imposte (IRPEF, I.V.A., imposta sugli oli minerali) sono strutturalmente
di carattere nazionale, dato che il loro gettito è acquisito
dal fisco non in funzione del luogo dove il reddito viene prodotto
o i beni e i servizi sono scambiati. Volendo far ricorso all'I.v.a.,
il criterio di ripartizione migliore appare quello seguito in
Germania, dove ai Lander viene assegnata una determinata
percentuale del gettito, ripartito secondo il numero degli abitanti,
visto come indice di consumo, e, quindi, del carico di I.V.A.
sopportato localmente.
La sola ipotesi di federalismo fiscale proponibile nel nostro
Paese sembra essere quella di un federalismo fiscale di tipo
cooperativo, che dovrebbe prevedere un forte intervento perequativo,
associato alla costituzione nel bilancio statale di un fondo
da ripartire tra le regioni. Gli interventi perequativi di sostegno
finanziario, per adattare la distribuzione delle entrate regionali
ai fabbisogni di spesa, dovrebbero però essere subordinati
a comportamenti adeguati da parte delle regioni.