L'Olivo e' forte, resistente,
ben radicato nella sua terra. E` l'albero di un'Europa mediterranea,
che conosce il mare e la montagna, la pianura, i laghi e le colline.
Ama il sole e resiste all'inverno. Abbiamo scelto questo simbolo
perche` finora l'unico albero della politica italiana era la Quercia,
e occorreva un'altra pianta politica che le si affiancasse, per
mostrare che la varieta', cioe' una differenza compatibile, e'
una ricchezza da condividere. Gli alberi, come gli uomini, possono
convivere, se trovano un terreno comune. Ma sia chiaro che non
serve a molto concentrarsi solo sui simboli. Forse nessuno ricorda
piu' che lo scudo crociato democristiano fu mutuato dagli emblemi
innalzati nella battaglia di Legnano, nel 1176, dalle forze della
Lega lombarda contro l'imperatore Federico Barbarossa. Fra il
Carroccio di Umberto Bossi e il simbolo della Dc non c'era insomma
molta distanza. Come si vede, in filigrana, nella storia, si possono
leggere molte Ironie. E i simboli valgono qualcosa solo in quanto
sintetizzano una proposta.
Le ragioni e i tratti fondamentali della mia proposta si possono
leggere nelle pagine che seguono. Cio' che invece vorrei rendere
esplicito in questa introduzione e' il clima in cui l'Olivo
e' nato. E' stato subito un clima ad un tempo di sollievo e
di entusiasmo; di sollievo perche` finiva la politica a senso
unico; e di un entusiasmo grande, generalizzato, diffuso a tutte
le regioni italiane. Al punto che ho pensato che non poteva
essere semplicemente la mia candidatura o la mia figura pubblica
a provocare quell'atmosfera di improvvisa festa politica. Era,
adesso me lo spiego cosi', la sensazione che attraverso il mio
impegno si cominciava a riempire un vuoto.
Un vuoto al centro dello schieramento politico, in primo luogo,
un centro ancora frastornato dalla sconfitta di Segni e Martinazzoli
il 27-28 marzo 1994, allorche` sei milioni di voti centristi
erano stati sacrificati alla ferrea legge del sistema maggioritario.
E un vuoto a sinistra: non occorrono molte analisi per sottolineare
che una delle ragioni principali della sconfitta elettorale
dei progressisti e' dipesa dall'incapacita' di individuare e
proporre un leader come credibile candidato alla gestione del
paese
Dal giorno di quella sconfitta, dal 27 marzo in poi, sono
accadute molte cose. Il governo Berlusconi ha drammaticamente
fallito il suo compito, perdendosi in una vana contesa con la
Lega e imputando il proprio fallimento politico al cosiddettotradimento
di Bossi. A destra, si sono manifestati con grande evidenza
orientamenti politici tali da generare profonda inquietudine,
malgrado la rapidissima metamorfosi liberale di Alleanza
Nazionale realizzata con il congresso di Fiuggi: il Polo ha
rivelato in modo via via piu' esplicito la propria natura politica
intrisa di radicalismo. Non era una destra europea, liberale,
magari neoconservatrice o thatcheriana, no, appariva sempre
piu' come una forza politica interessata piu' che altro al mantenimento
del potere. Sul piano dei contenuti di governo, la gerarchia
di priorita' scelta dal governo Berlusconi era stata - e' il
meno che si possa dire - una dimostrazione di bizzarria, con
il decreto Biondi e l'occupazione manu militari della Rai scelti
come prova di forza, anziche` puntare sull'intervento di stabilizzazione
dell'economia. Le riforme annunciate, dal fisco alla scuola,
sono rimaste a uno stadio molto preliminare (come nel caso del
Libro Bianco di Giulio Tremonti) e hanno trovato espressione
soltanto nelle numerosissime e vacue dichiarazioni dei ministri
(come nel caso di Francesco D'Onofrio). Quelle perseguite operativamente,
come per cio` che ha riguardato il sistema pensionistico, sono
state pensate senza il contrappeso di misure equitative, e quindi
hanno dato il via a un conflitto sociale assai aspro.
Cio' nonostante, malgrado i numerosi errori, le Caporetto,
gli arretramenti rovinosi del governo di destra, sembrava impossibile
potersi misurare contro la forza schiacciante del Polo, dotato
di un arsenale televisivo impressionante e, a quanto si capiva
dai sondaggi, di una maggioranza nell'opinione pubblica che
nulla sembrava in grado di scalfire, forse nemmeno le improvvide
e impopolari campagne contro i magistrati di Mani Pulite.
Invece, quando e' nata la mia candidatura, le cose hanno cominciato
a cambiare, qualche assetto a scomporsi, qualche preferenza
a cambiare segno. Credo che si possa ragionevolmente pensare,
infatti, che esista un ampio elettorato moderato che ha trovato
una collocazione nel Polo soltanto perche` non si sentiva rassicurato
dai progressisti, o perche` riteneva inutile un voto al centro
nell'ambito di un sistema elettorale maggioritario. L'Olivo
vuole offrire i suoi rami e i suoi frutti anche a questa parte
della societa' italiana. Che oggi probabilmente e' delusa, e
che rischia di farsi incantare dalla musica di sirene politiche
ancora piu' a destra di Berlusconi, alla ricerca di un principio
di sicurezza. Noi ci rivolgiamo a questo elettorato moderato,
di cui conosciamo le paure e le attese, per dire che se il destino
italiano non risiede in una parodia del neoliberalismo anglosassone,
non risiede nemmeno in una destra post-clientelare, caratterizzata
da rancori anti-europei, intrinsecamente portata alla chiusura
verso i mercati e ad atteggiamenti protezionistici.
Il futuro italiano, in questo momento, puo' trovare una prospettiva
razionale solo se alcune forze politiche, e contemporaneamente
alcune componenti sociali, trovano l'intelligenza per incontrarsi
e per accordarsi su un'ipotesi politica, un orizzonte civile
di confronto, un equilibrato programma di sviluppo.
Il fatto e' che finora il sistema politico e' rimasto zoppo.
La destra si e' compattata: c'e' il Polo, con tutte le sue sfumature
politiche, ma caratterizzato soprattutto dalla sua leadership,
e quindi portato a sommare elementi contraddittori e a risolverli
con decisionismi che possono rivelarsi virtualmente rovinosi.
Il proclamato liberalismo del Polo ha partorito il decreto "salvaladri",
la propensione al comando piu' che al governo ha prodotto l'occupazione
della Rai, gli attacchi alla Banca d'Italia e alla Magistratura
hanno sortito un conflitto mai visto con la piu' alta istituzione
dello Stato. Il carattere provincialmente thatcheriano del governo
Berlusconi ha condotto allo scontro con i sindacati sulla riforma
del sistema previdenziale, e i residui cromosomi democristiani
hanno portato all'abbandono della riforma stessa.
Infine, si e' assistito alla distruttiva operazione contro
il governo Dini, che ha travolto la nostra moneta.
Eppure, fuori dal Polo c'erano solo partiti che sembravano
condannati a perdere. E` al centro e a sinistra, dunque, che
occorre guardare per trovare un'occasione e uno strumento per
ridare una speranza all'Italia. Deve nascere un accordo e bisogna
costruire un programma da proporre a tutti gli italiani, in
modo che la sensibilita' sociale di una sinistra autenticamente
moderna possa incontrarsi con il liberalismo di un centro capace
di interpretare con efficacia il bisogno di modernita' del nostro
paese.
Cio' che puo' davvero risultare vincente e' mettere insieme
mercato e solidarieta', liberta' e attenzione ai soggetti deboli
della societa', efficienza e preoccupazione per chi e' svantaggiato.
E` stato detto che incrociare solidarieta' ed efficienza e'
il minimo che si possa fare, dal momento che occorre erogare
la stessa quantita' di servizi in una fase di calo delle risorse
disponibili: come dire, e' poco piu' che un obbligo, non e'
ancora un'offerta politica.
Tuttavia se pensiamo al profilo della societa' che vogliamo,
dovremmo accorgerci che c'e' lo spazio per una proposta liberale
capace di fare coincidere alcune culture, l'umanesimo cattolico,
il riformismo laico, la cultura laburista. Ma occupare questo
spazio non e' qualcosa di automatico, non e' semplicemente la
somma algebrica di costi e benefici politici, in cui ogni parte
opera un calcolo d'interesse. Questo spazio bisogna costruirlo
e costruirlo con saggezza. Perche` e' la sola alternativa al
vuoto del berlusconismo, o alla demagogica destra "sociale e
cristiana" di Fini. E ancora: e' il solo strumento che ci offre
la possibilita' di restare aggrappati all'Europa.
Da' subito fastidio, l'Olivo. E per questo che Silvio Berlusconi
tenta di ignorarlo. Lo sminuisce. Vuole misurare la politica
solo sui rapporti di forza, come in uno scontro di eserciti
ottocenteschi. Non vuole nessuno fra il Biscione e la Quercia.
Il suo sogno probabilmente sarebbe di liquidare quanto prima
la nostra esperienza, in modo da consegnare tutto l'arco delle
forze non di destra all'etichetta anacronistica del comunismo.
E invece, lo stiamo vedendo, questa esperienza cresce e si
rafforza. Si impone come traccia di orientamento politico in
ambito cattolico a dispetto delle incertezze ufficiali del Partito
Popolare. Ho l'impressione che piaccia immediatamente ai cittadini
perche` in essa trovano un'espressione moderata del loro bisogno
di modernita'. Capiscono subito che non e' nostra intenzione
attuare esperimenti politici ed economici radicali. il protagonista
del romanzo di Koestler B. Mezzogiorno, un comunista incarcerato
e poi condannato ingiustamente a morte, riassumeva cosi' il
senso della Rivoluzione d'Ottobre e del suo fallimento: "Abbiamo
voluto fare della storia un esperimento di fisica". La storia
si ribella, quando si pretende di imbrigliarla in formule. Ma
anche i vessilliferi dell'ultraliberismo, che applicano i loro
ideologismi senza sapere che si tratta di ideologismi, e non
di verita' indiscusse, in fondo trattano la societa' come un
laboratorio di sperimentazione, in cui, come sosteneva Margaret
Thatcher, "quella cosa chiamata societa' non esiste": esistono
solo individui dominati dal calcolo.
Contro il determinismo della destra, contro le sue teorie
sociali ed economiche che giungono in ritardo di decenni, nasce
il mio viaggio. Un viaggio che spero possa dlventare il nostro
viaggio. Non ho nessuna intenzione dl formulare programmi in
astratto, di inventare formule strepitose e progetti sensazionali
senza commisurarli alle necessita', ai bisogni, alle aspettative
e alle speranze dei cittadini. La mia candidatura non e' nata
a freddo. E' una candidatura che viene dal paese.
Viaggiando, incontrando persone e associazioni, visitando
aziende, ascoltando la gente comune e discutendo con la classe
dirigente, mi e' sembrato che i tempi fossero maturi per raccogliere
una sollecitazione e lanciare una proposta. Eccola qui, questa
proposta, in parte su queste pagine e in parte nel lavoro che
stiamo facendo giorno per giorno. Nelle prossime settimane si
trattera' di dare una forma definitiva alle nostre idee e ai
suggerimenti che provengono dai comitati, dai nostri sostenitori,
da chiunque sul territorio nazionale si riconosce nelle nostre
intenzioni. Sappiamo che occorre una sintesi, perche` oggi fare
politica significa scegliere. Ma si puo' scegliere con intelligenza
o scegliere per approfondire i conflitti; si puo' decidere politicamente
che la crescita economica diventi ricchezza di qualcuno oppure
che diventi sviluppo di tutti. Messi insieme, i due alberi in
cui si ritrovano gli eredi di alcune grandi tradizioni politiche
italiane possono tenere unito e saldo un territorio che tende
a sfaldarsi, e protendere verso l'alto le loro fronde in una
immagine di speranza.