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2000 Comitati di Base sfidano i vecchi Partiti di Romano Prodi La Stampa 18-4-1995
Caro Direttore,
dopo le prime settimane di bonaccia il vento ha cominciato
a soffiare fra gli ulivi. Era un vento atteso. Il movimento
"Per l'Italia che vogliamo" ha infatti assunto dimensioni superiori
ad ogni aspettativa, fino a vedere travolte le sue ancora fragili
strutture organizzative, preparate per un impatto molto inferiore.
Sono nati oltre duemila comitati, sparsi in modo quasi uniforme
in tutte le regioni del Paese. Alcuni hanno poche decine di
aderenti ed altri superano le molte centinaia, nonostante il
ripetuto invito a creare strutture di piccola dimensione. Sessanta
per cento di questi comitati sono composti nella quasi totalita'
da persone che mai avevano svolto attivita' politica, a cui
si aggiunge l'11 per cento di appartenenti al mondo giovanile
e della scuola e l'8 per cento di appartenenti al mondo produttivo,
cioe' professionisti, gruppi aziendali e sindacati. A poco piu'
del 20 per cento dei comitati si riesce ad attribuire un qualche
colore politico secondo le classifiche tradizionali (7 per cento
di area cattolica, 4 per cento vicini al Patto dei democratici,
2 per cento legati a liste locali e 4 per cento a movimenti
eterogenei di carattere politico-culturale). Nelle ultime settimane
il ritmo di crescita dei comitati locali si e' ulteriormente
accelerato: ci si e' mossi intorno ai 40-50 al giorno. Vi sono
quindi decine e decine di migliaia di persone che, di fronte
alla preoccupazione per la minaccia di questa destra cosi' estranea
alle nostre tradizioni e all'Europa, hanno scoperto l'impegno
attivo in politica per costruire una formazione di centro-sinistra
capace di fornire finalmente una tranquillizzante alternativa
di governo al Paese. Essi rifiutano l'eredita' dei partiti tradizionali
e cercano modelli nuovi di aggregazione con un desiderio cosi'
intenso che non puo' essere certo deluso da comportamenti di
gestione antidemocratica simili a quelli che hanno messo in
crisi le vecchie strutture portanti della democrazia italiana.
Per questo motivo e' del tutto superfluo e chiaramente pretestuoso
chiedere a donne e a uomini di questo tipo di determinare con
le elezioni primarie (o con altri sistemi atti a raggiungere
lo stesso scopo) l'elezione del loro leader. Essi non solo dovranno
essere chiamati a questo atto, ma anche alla designazione dei
candidati che dovranno rappresentare la parte miglioree della
societa' civile in tutti i collegi elettorali del Paese. Ma
quello che accade e' ancora piu' promettente, in quanto un grandissimo
numero di questi comitati sta approfondendo i temi per la preparazione
del programma che sara' elaborato in modo organico quando sara'
aperta la prossima campagna elettorale. E' un lavoro impegnativo,
ampio e profondo che parte da emozioni ed eventi non di breve
durata ma capaci di costruire finalmente qualcosa di nuovo e,
insieme, stabile e duraturo. Non sono eventi che calano dall'alto
organizzati da un ufficio studi e che si materializzano in una
valigetta di istruzioni per la campagna elettorale, ma che partono
dal basso, accumulando le esperienze e le conoscenze, ma anche
le ansie e le attese di migliaia e migliaia di persone e che
vengono discusse, composte e ricomposte in riunioni, assemblee,
convenzioni. In queste si forma la vera leadership e non nei
commenti astratti di chi giudica la politica con gli schemi
del passato. In un Paese in cui da decenni il gioco si svolge
sempre negli stessi palazzi e' ovvio che tutto questo possa
destare anche irrisione e scetticismo ed e' altrettanto ovvio
pensare che tale fenomeno possa presto affievolirsi e quindi
finire nel nulla. Nei prossimi mesi vedremo se i difficili passaggi
della formazione dei programmi e della designazione dei candidati
saranno un elemento di aggregazione e di crescita o segneranno
il momento della crisi. In ogni caso nulla di questo lavoro
andra' perduto perche' la politica ha non solo orizzonti brevi
(in questo momento particolarmente urgenti) ma anche gli orizzonti
lunghi della costruzione del nuovo. Per ora si puo' solo dire
che questa e' vera politica, in cui la poesia dell'emozione
della sfida si affianca alla prosa dei programmi, dei numeri
e delle compatibilita'. Politica in cui il potere viene solo
dopo la tensione morale e il desiderio di una costruzione comune
di un Paese migliore e piu' giusto. Se l'ulivo appare ora un
poco debole agli occhi del palazzo e' perche' cresce forse troppo
in fretta e le radici non hanno ancora avuto il tempo di scendere
a fondo nel terreno.
L'ulivo non e' tuttavia senza terra: di terra ce n'e' tanta
ed e' straordinariamente fertile. Soprattutto, sotto quest'ulivo,
non vi e' ancora traccia di terra di riporto.
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