Intervista di D'Alema su la Repubblica del 6 novembre 1999

D'Alema: nuovo Ulivo
per battere la destra

"Referendum, è giusto ammetterlo"
Parla il presidente del Consiglio: "Vado avanti ma non per galleggiare.Rifondiamo l'alleanza"
"Se valutassi che un mio passo indietro, un mio farmi da parte, è conveniente per rilanciare l'Ulivo, lo farei"


ROMA - "Mi vede, no? Sono sereno, perché ho deciso...". Alla fine di una delle settimane più difficili per il governo che presiede e al termine di un primo giro di incontri con i leader della maggioranza, Massimo D'Alema fa il punto di questa "crisi virtuale" e indica il percorso per il rilancio del centrosinistra dopo la Finanziaria: "Questo esecutivo andrà avanti, e intanto c'è un ampio consenso a portare avanti il progetto del Nuovo Ulivo, per poi dar vita a un governo rinnovato". Anche con Cossiga, l'obiettivo è "arrivare alle elezioni con liste unitarie". "Da gennaio - annuncia - presenterò le basi programmatiche per la nuova alleanza": comprenderanno la nuova legge elettorale e il rafforzamento dei poteri del premier. Intanto, il presidente del Consiglio vede rosa sull'economia, attacca Berlusconi, bacchetta Di Pietro e conferma: "Ho deciso: non intendo galleggiare. Se mi accorgerò che la permanenza a Palazzo Chigi è un ostacolo per la nascita del Nuovo Ulivo, non esiterò ad andarmene...".
Presidente, lei vedrà pure rosa, ma intanto la Bce rialza i tassi.
"Non credo che questo rialzo frenerà lo sviluppo. Un tasso di riferimento al 3% può avere persino un effetto calmieratore sui tassi a medio e a lungo termine. Né vedo rischi per l'Italia: l' anno prossimo la crescita sarà del 2,3/2,4%. La ripresa c'è e si consoliderà, in un quadro di aggiustamento economico che non ha precedenti. Per questo, oggi, mi irritano ancora di più le nostre divisioni politiche".
Dipendono solo da voi. E allora perché si irrita?
"Perché vorrei che nel centrosinistra ci fosse finalmente un po' di sano orgoglio per le cose che abbiamo fatto in questi anni. Noi abbiamo cambiato la fisionomia di questo Paese. Col Patto di Natale abbiamo spostato il terreno della sfida sulla competitività, la formazione, le tecnologie, la ricerca, dove avevamo un ritardo enorme. Con la riforma tributaria stiamo sconfiggendo l'evasione e secondo l' Ocse tra '97 e '98 la pressione fiscale è già diminuita di un punto di Pil. Proseguiremo su questa strada. Anche per questo io tengo molto alla Finanziaria: contiene importanti elementi di rimodulazione del Welfare a vantaggio dei più deboli, delle fasce più basse di reddito e delle famiglie. Un capofamiglia con un reddito medio, una casa di proprietà e due figli a carico risparmierà 682 mila lire. Se i figli sono piccoli, il risparmio crescerà a 1 milione 162 mila lire. Con l'aumento della detrazione sugli immobili saranno esentati dalla relativa Irpef oltre 13 milioni di contribuenti. A me, da uomo di sinistra, interessa questo: con i 7 mila miliardi di Irpef restituiti da quest'anno vogliamo dare una chiara impronta al riequilibrio sociale, in una logica inclusiva che comprende i giovani, le donne, gli anziani".
Berlusconi sogna l'Italia come "paradiso fiscale". Perché lo ha attaccato?
"Berlusconi ci accusa di essere "comunisti" e di essere "alla frutta". Ma è lui, il 14 ottobre a Radio anch'io, rispondendo a una domanda in cui si richiamava il paradiso fiscale, ad aver risposto testualmente: "Magari, arriverebbero tutti da tutto il mondo, porterebbero finalmente i loro capitali in Italia, sarebbe una mossa stra-or-di-na-ria!". Io confermo che nessuno statista europeo si sognerebbe mai di dire una cosa del genere. L'onorevole Berlusconi dovrebbe sapere che in Europa, al contrario, si discute di come combattere la concorrenza fiscale sleale...".
Il Cavaliere ha negato di aver detto quella frase.
"In primo luogo ha smentito, e in secondo luogo mi ha insultato chiamando in causa cose che, in questa vicenda, non c'entrano nulla: né il comunismo né la frutta. I veri liberali siamo noi, altro che storie! Abbiamo privatizzato come nessuno aveva mai fatto in 30 anni: quest'anno l'obiettivo era un incasso di 18 mila miliardi. Ne abbiamo fatti 40 mila. In qualunque altro Paese sarebbe considerato un successo clamoroso, qui invece diranno che continuo a dare i numeri. Abbiamo aperto alla concorrenza le tlc, l'energia, presto il gas e le municipalizzate. Ma chiedo: dov'era la sedicente destra liberaldemocratica, in questi anni? Faceva campagne populiste e stataliste. Faceva i referendum contro la privatizzazione della Centrale del latte a Roma, o scendeva in piazza a difendere i proprietari delle case abusive".
Ora avete la grana dei benzinai. Farete retromarcia?
"Siamo pronti a dialogare ma non a subire. I diktat sono inaccettabili. Dobbiamo liberalizzare anche il settore dei carburanti, nell'interesse dei cittadini che devono avere servizi migliori a prezzi più concorrenziali. E intendiamo farlo anche a costo di ledere qualche interesse costituito".
Non mi dica che è soddisfatto anche di come va l'occupazione.
"L'altro giorno ho letto grandi titoli sui giornali: "Italia maglia nera sull'occupazione". Era uno studio dell'Fmi sul 1980/1997, presentato come se fosse di oggi, e come se la colpa di quei 700 mila posti bruciati fosse del governo attuale e non di quei personaggi degli anni '80 che in quello stesso giorno erano oggetto di stravaganti rivalutazioni politiche".
Allude alle sentenze su Andreotti e ai malanni di Craxi. Ma è stato proprio lei a parlarne, dopo un incontro con Boselli...
"Io non sono un forcaiolo, e sono sempre contento quando un imputato viene assolto. Ma mi sembra eccessivo che da qui si arrivi a rivalutare una stagione politica che ci ha lasciato in eredità lo sfacelo economico".
Non ha l'impressione che nel Paese si respiri giusto un po' di voglia di restaurazione?
"I sondaggi seri dicono il contrario. Questo l'ha capito anche Berlusconi, che non a caso dopo i primi entusiasmi dei Pomicino e i Baget Bozzo che lo incitavano a rimettere insieme i cocci della Prima Repubblica ha fatto una silenziosa retromarcia".
L'occupazione era un cardine del suo governo, ma i risultati stentano, non può negarlo.
"E invece lo nego. Dal giorno della vittoria dell'Ulivo ad oggi, abbiamo creato 600 mila nuovi posti di lavoro, e non solo a part time o a tempo determinato, anche se certo la flessibilità ha aiutato. Ma anche qui accade una cosa bizzarra. Vorrei chiedere ai liberisti nostrani perché, se lo adotta l'America, il lavoro flessibile è la forza del miracolo yankee, che altrimenti avrebbe la disoccupazione di Reggio Calabria. Se lo adotta l'Italia, il lavoro flessibile è solo "precariato". La realtà è che anche qui le vere riforme le ha fatte la sinistra. E la stessa cosa vale per la scuola...".
Secondo lei sulla scuola l'esecutivo è a rischio?
"La nostra riforma è la più grande mai fatta in 50 anni. Per la prima volta spostiamo risorse sul sistema scolastico, valorizziamo gli insegnanti, riformiamo i cicli e l'università, realizziamo l'autonomia scolastica. Riconosciamo il principio della parità scolastica e del diritto allo studio, e che anche la scuola privata senza fini di lucro risponde ad un'importante funzione sociale. Nemmeno i governi della Dc avevano fatto scelte tanto coraggiose".
Ci voleva poco per fare meglio di quei governi, no?
"Forse. Ma intanto sento ribattere che bisognerebbe dare un "bonus" alle famiglie e lasciarle libere di decidere in quale sistema scolastico investirlo. E come cittadino italiano mi preoccupo. Intanto un "bonus" ragionevole deve valere almeno 3/4 milioni l'anno. Con circa 7 milioni 700 mila studenti, il costo sarebbe di 25 mila miliardi. Come lo copriamo? Definanziando la scuola pubblica, lasciando che diventi un optional e immaginando un sistema scolastico a piè di lista? È questo il disegno della destra? Ci rendiamo conto di cosa significa?".
Cosa significa?
"L'educazione delle nuove generazioni non è un bene che possa essere fornito dal mercato. Il rischio è che il "bonus" provochi una proliferazione di scuole ideologiche e particolaristiche: scuole cattoliche, musulmane, ebraiche, democristiane, fasciste, comuniste e anche padane. Rischieremmo di distruggere una grande istituzione: la scuola italiana, che è una delle poche che concorrono a creare un'identità culturale nazionale. Che disegno-Paese c'è, dietro una proposta del genere? De Gasperi o Moro avrebbero mai concepito un progetto così aberrante? Vorrei che gli insegnanti, le famiglie, gli studenti ne capissero la gravità culturale. E a noi tocca combattere queste derive demagogiche e semplicistiche. Ci sono questioni sulle quali le differenze tra sinistra e destra devono essere profonde, marcare un'identità politica forte. Questo deve fare il centrosinistra, per farsi capire dalla sua gente. Altrimenti tutto diventa politicismo e scontro su formule o "trattini"".
Ma le diatribe sui trattini dipendono solo da voi.
"E' vero...".
E allora? Qual è il messaggio che lancia alla maggioranza?
"L'invito che rivolgo è questo: avviamo una riflessione, ma partiamo dalle tante e ottime cose che abbiamo fatto finora. Rinnoviamo il progetto politico per il quale abbiamo lavorato in questi anni. Le sfide che abbiamo di fronte sono ancora tante. Io stesso avevo annunciato che dopo la Finanziaria avremmo avviato un confronto sul Welfare e sulla previdenza: non ho rinunciato a quell'idea, ma non mi nascondo le asperità, e so benissimo che senza la forza di un progetto-Paese di lungo periodo non andiamo lontano. Il galleggiamento a breve non mi interessa. Mi interessa che il centrosinistra ritrovi la sua identità e la sua progettualità. Poi chi sarà il primo o il secondo ministro diventerà un aspetto irrilevante".
Per questo ha sposato la causa del Nuovo Ulivo. Cos'è stata la sua, una conversione?
"Niente affatto. La formula del "Nuovo Ulivo" è efficace, perché dal '96 esercita un forte richiamo sulla società italiana. Certo, oggi quella formula originaria va ampliata. Il partito unico non è realistico, ma lo è il progetto di uno schieramento politico più coeso e più stabile, che abbia le sue forme di coordinamento e si apra spazi nuovi anche nella società civile. Quando mi insediai lo dissi in modo chiaro: nel mio governo c'è l'Ulivo da una parte, e dall'altra c'è Cossiga che prevede una collaborazione oggi, in vista di una separazione domani. Deciderà il tempo, e chi ha più filo da tessere, tesserà. Ebbene, oggi il tempo ha sciolto questo nodo: il progetto di un centro alternativo alla sinistra non ha ragione di essere. L'unica alternativa alla sinistra è il Polo. Ma il centrosinistra non può competere col Polo se non si dà una struttura politica più solida".
Il primo giro di incontri coi leader della maggioranza è finito. Che bilancio ne ha tratto?
"Io non obbligo nessuno. Non voglio un Nuovo Ulivo egemonizzato dalla sinistra, al contrario è importante che le forze del centro abbiano una forte visibilità e un ruolo fondamentale nella conquista dell'elettorato di frontiera. Premesso questo, ho verificato che esiste nella maggioranza un'ampia disponibilità a dar vita a un governo rinnovato, anche se non tutti condividono il progetto del Nuovo Ulivo".
Si dice che l'incontro con Cossiga sia andato maluccio.
"Ho fiducia nella intelligenza politica del presidente Cossiga. È impensabile che domani io possa trovarmi nel mio collegio un candidato competitore del Trifoglio, dopo che abbiamo governato insieme. È illogico in un sistema maggioritario: quando c'era la proporzionale i partiti anche della stessa coalizione si presentavano divisi alle elezioni. Ma quell'Italia non c'è più".
E questo ai leader del nascente Trifoglio l'ha spiegato?
"Eccome. Credo ci sia la consapevolezza comune che questa è la giusta direzione di marcia. Ma ci vuole pazienza...".
Cossiga aggiunge: se D'Alema ce la fa bene, se no tocca ad Amato. Non è rassicurante, le pare?
"Senta, il destino del governo non dipende solo da Cossiga o dal Trifoglio. Sul progetto del Nuovo Ulivo c'è un larghissimo consenso, sul governo rinnovato c'è un accordo unanime. A luglio Cossiga disse una cosa importante: maggioranza politica e maggioranza di governo devono coincidere. È un principio giustissimo, che per me resta valido. Ci credo".
In compenso avete spuntato la disponibilità dei democratici.
"Io mi sono speso e mi spendo, per questo. Giovedì sarò sotto braccio a Parisi, a sostenere la sua candidatura a Bologna. Ai democratici va garantita una presenza significativa nel governo rinnovato. D'altra parte l' apertura iniziale su questa svolta politica è venuta proprio da loro".
Ma nell'Asinello c'è Di Pietro, che non perde occasione per bastonarvi. L'ultima bordata è sulla nomina di un inquisito al Consorzio dell'Adda.
"Le nostre nomine sono sotto gli occhi di tutti: l'Enel, l'Eni, l' Iri. Dite voi se ci abbiamo messo tangentisti e portaborse oppure manager di qualità. Di Pietro, invece di fare scandalismo sui giornali, avrebbe potuto chiamare Micheli, che è stato sottosegretario nel governo in cui lui era ministro, e avvisarlo del problema. Oppure, se proprio non voleva usare tanta cortesia, avrebbe dovuto svolgere il suo compito istituzionale di segnalare il caso in Parlamento. È un suo diritto, ma anche un suo dovere, è stato eletto per questo. Ma anche qui è il modo di procedere che preoccupa: prevale la polemica, anziché lo spirito di collaborazione".
L'ex Pm dice che non lo considerate abbastanza.
"Di Pietro fa parte del centrosinistra. Dovrebbe ricordare che io andai nel suo collegio ad aiutarlo nella campagna elettorale, e che ho sempre avuto per lui solidarietà nei momenti difficili. Non sono mai stato ricambiato, ma non me ne lamento. Comunque, se proprio non vuol dare una mano, almeno non dica che questo governo vuole proteggere i tangentisti. Mi pare troppo, francamente".
Cosa ci dobbiamo aspettare dalla verifica di gennaio? I soliti riti dell'Ancien Regime?
"L'esatto contrario, semmai. Immagino la verifica incardinata nel rilancio di un disegno riformista e di modernizzazione del Paese. Dopo la Finanziaria riunirò la maggioranza, illustrerò quali devono essere le basi programmatiche per andare avanti, e su queste basi chiederò ai partner di dar vita a un governo rinnovato, cioè più rappresentativo e inclusivo di tutta la coalizione".
Quali saranno queste basi programmatiche?
"Sono, in gran parte, lo sviluppo dei temi di cui abbiamo parlato finora. In più, le riforme costituzionali e del sistema politico. In un Paese che cambia così profondamente, è proprio il sistema politico che è rimasto più indietro. Siamo fermi a metà del guado, tra il maggioritario e il proporzionale. Il centrosinistra ne risente di più, perché nel nostro campo si avvertono in modo più profondo le antiche radici. Corriamo il rischio che si apra una crisi drammatica tra un sistema politico ingessato e un Paese che evolve e che ha bisogno di una politica più semplice e più moderna. Il pericolo è che in questa frattura si apra un varco per una destra priva di cultura di governo".
Sta dicendo che rilancerà l'esigenza della nuova legge elettorale?
"Il sistema attuale è ambiguo, e induce comportamenti schizofrenici. Non voglio interferire nelle delicate valutazioni giuridiche che la Corte costituzionale dovrà fare, ma mi permetto di dire che per il Paese sarebbe un gran bene se il referendum fosse ammesso. Ne deriverebbe un forte stimolo ad affrontare finalmente la questione della legge elettorale. Il governo la sua proposta l'ha presentata. Ma è ora di rilanciare. Come è ora di riproporre il tema del rafforzamento dei poteri del premier. Siamo l'unico Paese in cui se un presidente del Consiglio vuole rinnovare il suo governo deve dimettersi. Il surreale dibattito di questi giorni sulla "crisi-non crisi" è nato proprio da questo impaccio costituzionale, funzionale alle logiche della vecchia partitocrazia ma ormai senza analogie con le altre nazioni. Blair ha rinnovato il suo governo, ma non ha certo avuto bisogno di dimettersi. Io non posso farlo: non posso "dimissionare" neanche un ministro".
È convinto davvero, quando ripete "non mi lascerò cuocere né tirerò a campare"?
"Non ho l'impressione che ci stiamo cuocendo o che stiamo tirando a campare. Mi sembra piuttosto che in questo momento proprio il governo e il premier appaiano come i punti di riferimento più solidi. Il fatto è che vorrei superare la confusione politica che c'è intorno. Ecco perché il rilancio del centrosinistra non è solo un'operazione politica. È un appello a tutti quegli italiani che hanno fiducia in un grande progetto di rinnovamento del Paese".
Sembra presupporre comunque una consapevolezza: o si fa così, o le elezioni sono già perse. È vero o no?
"No. Berlusconi enfatizza al di là del lecito le sue presunte vittorie sondaggistiche. Lui adotta una strategia alla Flaiano: dice fin da ora che ha già vinto, sperando che gli italiani si affrettino a salire sul carro del vincitore. In realtà le cose stanno diversamente. Detto questo, il nostro elettorato soffre, non capisce le continue frizioni che intervengono tra di noi. È una vera disgrazia: impedisce all'opinione pubblica di avere l'esatta percezione dei risultati che abbiamo raggiunto. Tutto finisce appannato dal pulviscolo quotidiano delle polemiche. Per questo vorrei lanciare un altro invito, questa volta agli elettori del centrosinistra: cerchino di essere più saggi delle forze politiche che li rappresentano. Il dispetto di fronte alla frammentazione è comprensibile, ma se nell'urna si dà sfogo al dispetto, il maggioritario è spietato: a riscuotere, si presenta Berlusconi".
Quanto ha pesato, nelle difficoltà di queste settimane, l'esplosione del caso Kgb? Non avete giocato troppo sulla difensiva?
"Può darsi. Ma mi creda, quell'affare non interessa proprio nessuno. Berlusconi è davvero l' unico che continua a vedere dappertutto i fantasmi del comunismo. Ma è così scopertamente comico quando prova a rievocarli per fini elettoralistici, che questo non gli porta un solo voto in più".
Anche la sortita di Veltroni sull'incompatibilità storica tra comunismo e libertà ha scosso la Quercia. Lei è d'accordo con il leader ds?
"Non c'è il minimo dubbio che nella storia il comunismo è stato incompatibile con la libertà. Questa è una verità oggettiva. Ma a fronte di questa, c'è un'altra verità altrettanto oggettiva: nel nostro Paese c'è stata tanta gente che è stata comunista proprio perché amava la libertà. Questo, se vogliamo, è il paradosso del comunismo italiano".
Ma un più rapido riconoscimento della prima verità non avrebbe permesso alla sinistra di governare molto prima?
"Sì, è vero: l'ambiguità ideologica che ha legato la nostra storia di comunisti italiani a quella del comunismo internazionale ha avuto un peso negativo per l'Italia e ha privato il nostro Paese, per troppo tempo, di una sinistra in grado di essere alternativa di governo".
All'inizio della settimana lei ha detto: o Nuovo Ulivo, o mollo il governo. E poi ha aggiunto: se devo scegliere, tra il primo e il secondo scelgo il secondo. Oggi lo conferma?
"Mollare mai. Sia chiaro: non mi sono stancato di governare né mi sento logorato. Ma avverto drammaticamente la distanza tra il cambiamento del Paese e la sclerotizzazione degli assetti politici. Se valutassi che per rilanciare l'Ulivo è più conveniente un mio passo indietro, un mio farmi da parte, non avrei dubbi: lo farei subito. Io voglio far compiere un passo in avanti, e forte, al centrosinistra. Come presidente del Consiglio, mi sento pro-tempore. Come uomo di sinistra e del Nuovo Ulivo, no".

 

Intervista di D'Alema su la Repubblica del 6 novembre 1999

 



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