Il Movimento per L'Ulivo: LA SCUOLA QUADRI

Il momento politico: perché siamo qui
Intervento del prof. Nicola Rossi


Nell'attuale situazione difendere lo Stato sociale ("la piu' grande conquista del ventesimo secolo", Romano Prodi 1996) significa cambiarlo profondamente dall'interno, per evitarne il crollo, dovuto alle mutate condizioni dell'ambiente circostante.

Storicamente, il sistema di protezione sociale ha risposto alle istanze di tutela dei lavoratori che hanno vissuto la fase di industrializzazione delle citta', e nell'ultimo dopoguerra ha posto le premesse affinche' la ricostruzione avvenisse in condizioni di tranquillita' delle relazioni sindacali, grazie alla mediazione dello Stato che si e' reso garante del sistema di trasferimento delle risorse fra le classi sociali e soprattutto fra le generazioni.

Oggi le condizioni sono in parte mutate in quanto:

1. il mercato del lavoro sta cambiando per effetto dello shock tecnologico della rivoluzione informatica, del post-fordismo, del decentramento delle produzioni e della mobilita' dei lavori

2. la globalizzazione dei mercati favorisce le economie in via di sviluppo dove il livello di protezione sociale e' piu' basso e conseguentemente il costo del lavoro e' inferiore; questa ragione e' peraltro debole in quanto non ha senso che le economie avanzate competano sulla base del costo del lavoro ma devono specializzarsi in produzioni a piu' alto valore aggiunto, inoltre vi sono segnali che anche in economie meno sviluppate cominciano a istituirsi delle prime forme di welfare state (Singapore)

3. nei paesi avanzati le tendenze demografiche stanno portando il rapporto fra anziani e attivi verso 1:1 in luogo di 1:2 / 1:3 come appena pochi decenni fa, ponendo seri problemi di sostenibilita' finanziaria dei sistemi previdenziali a ripartizione

4. in Italia le tendenze della spesa sociale sono fuori controllo, come la Commissione Onofri ha chiarito, non perche' si spenda piu' degli altri Paesi ma perche' non si riescono a coprire i nuovi rischi e le nuove emergenze che la nostra epoca sta proponendo

La Commissione Onofri ha evidenziato che l'assistenza e' il vero buco nero del nostro Stato sociale. Nel 1997 abbiamo speso circa 90.000 miliardi in assistenza sociale, eppure le famiglie povere erano in numero superiore alla media europea. Questo si deve al fatto che storicamente il problema dello stato di bisogno dei nostri concittadini non è stato mai posto come una carenza di diritti che la comunita' assume l'obbligo di alleviare, ma e' sempre stato associato ad altre circostanze soggettive (perdita del lavoro, invalidita', numero elevato di componenti del nucleo familiare) alle quali si cercava di dare risposta in termini di assistenza, attraverso strumenti come il sussidio di disoccupazione, la cassa integrazione, la pensione di invalidita', gli assegni familiari.

Questa scelta ha provocato esiti impropri, come dimostra il fatto che le pensioni di invalidita' sono oggi un potente mezzo di redistribuzione del reddito alle classi meno abbienti, nonostante sia falsa la circostanza che gli invalidi siano piu' concentrati fra le classi povere.

Alcuni giorni fa, approvando la sperimentazione di un "reddito minimo di inserimento", che integra il reddito personale a 500.000 lire mensili, indipendentemente dallo stato soggettivo del percipiente, il Governo ha dato il primo segnale di volersi adeguare a una prassi gia' adottata da tutti gli altri Paesi europei, quella di creare istituti di assistenza in linea di principio universalistici e che non si condizionano ad alcun comportamento soggettivo da parte della persona beneficiata. Ovviamente, per evitare abusi, il redditometro era un provvedimento che doveva essere approvato prima di questa misura, come e' stato fatto, ed e' opportuno che per ora le cose vengano mantenute a livello di test.

Anche in tema di previdenza il Governo Prodi ha ben lavorato. Gia' la riforma Dini del 1995 aveva fatto progressi sui temi della sostenibilita' finanziaria e dell'equita' fra le categorie sociali del nostro sistema previdenziale (l'errore di Berlusconi era stato quello di ignorare la forte sperequazione fra sistemi pensionistici di categorie diverse, prima fra tutte i dipendenti pubblici e privati). Il passaggio compiuto nel '97 ha completato questo processo di omogeneizzazione delle regole di calcolo pensionistico su tutto l'arco della vita lavorativa, talche' per i prossimi cinque anni le cose dovrebbero rimanere sotto controllo, sempre che l'Italia confermi i segnali di crescita sostenuta del PIL e dell'occupazione che stiamo rilevando in questi mesi.

Su molti altri temi sollevati dalla Commissione Onofri siamo invece in forte ritardo ed anche in una certa difficolta'.

Le politiche per la famiglia. In tutto il mondo queste politiche si fanno con asili nido, orari di lavoro e tempi di vita flessibili, interventi di tutela dei diritti delle donne lavoratrici. Qui da noi non si riesce a uscire dalla logica del trasferimento di risorse, peraltro insufficienti, con lo strumento degli assegni familiari, che ricordiamo appartengono ad un'epoca storica (il 1936) dove aveva senso limitare la partecipazione femminile alla vita lavorativa per distribuire meglio i pochi posti di lavoro esistenti.

Le politiche per il lavoro. In tema di politiche "attive" (per creare lavoro) abbiamo finalmente riformato il collocamento, che dava risposte solo al 3% dei lavoratori iscritti. Vedremo gli effetti della privatizzazione di questi istituti.

Ma vi e' il problema che anche in Italia cominciano a comparire molti nuovi lavori non solo precari, ma a bassa remunerazione. Tutto bene se si tratta di esperienze temporanee di pre-ambientamento al lavoro, molto male se come sembra si tratta in parte di situazioni definitive, che rischiano di scavare un fossato fra i cittadini, non solo rispetto ai redditi ma anche ai livelli di protezione previdenziale.

In tema di politiche "passive" siamo in grave difficolta', perche' non si riesce ad uscire dalla logica dei molteplici strumenti di trasferimento delle risorse (cassa integrazione, indennita' di mobilita') che rischiano di tutelare molto di piu' chi e' disoccupato avendo perso il lavoro anziche' i giovani e le donne che restano fuori dal mercato fino a tarda eta'.


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