La vastità del tema affidatomi, come
si può leggere nel programma, non mi consente di svilupparlo
con la dovuta vastità in ogni suo aspetto e mi induce,
nella parte storica, più che a ripercorrere le tappe
del nostro percorso, ad offrire delle chiavi interpretative
degli eventi vissuti, tuttora utili nella individuazione delle
prospettive future.
Intendo partire da una constatazione: la prima
fase dei comitati, dalla primavera del '95 fino a quella del
'96, vide una crescita spontanea e tumultuosa, determinata anzitutto
dalla grande novità prodotta dalla caduta degli steccati
tra culture e formazioni politiche da sempre in conflitto, dalla
comune angoscia nei confronti di una destra che aveva inaspettatamente
vinto le elezioni del '94 e dalla apertura dei partiti verso
quest'esperienza nuova che riusciva ad entusiasmare e motivare
tanta parte della società italiana anche fuori dall'alveo
dei tradizionali canali di consenso. Tutto questo faceva dell'Ulivo
una grande iniziativa popolare, dentro la quale rimanevano comunque
saldamente presenti le forze politiche, con la loro identità,
ma in una totale disponibilità a collaborare e interagire.
Il passaggio elettorale del '96 segnò
un primo irrigidimento e qualche lacerazione dovuta alla questione
delle candidature, spesso piovute dall'alto, e alla mancata
costituzione del gruppo unico dell'Ulivo nei due rami del Parlamento,
anche se queste ferite venivano in qualche modo lenite dall'entusiasmo
per la vittoria elettorale e per la repentina costituzione di
una compagine di governo di altissimo profilo. L'Ulivo ormai
viveva nelle istituzioni ed alcuni, paghi di questo, dimenticarono
ben presto che occorreva farlo vivere anche tra la gente, in
ossequio a quanto ci si era prefissi di fare sin dalla prima
ora: cambiare non solo il paese, ma anche la politica del paese,
nella consapevolezza, tuttora valida, che i due propositi non
potessero essere disgiunti in un progetto teso a consolidare
ed allargare la democrazia partecipata.
Fu ancora una volta l'iniziativa di Romano
Prodi a smuovere le acque, con l'insediamento di un gruppo di
lavoro chiamato a ripensare l'organizzazione dei comitati: sia
per non disperdere importanti risorse umane ed ideali, sia per
continuare ad offrire a tanti uno strumento di impegno politico,
nuovo per metodi ed obiettivi.
Oggi si può a buona ragione affermare
che le intuizioni fondamentali emerse in quel consesso, successivamente
incarnate nella "Carta organizzativa" ed in quella dei "principi",
sono risultate una guida efficace per il movimento, tanto da
facilitarne il progressivo radicamento in tutto il territorio
nazionale.
La prima di quelle intuizioni portò
a ritenere che il nuovo soggetto dovesse avere una finalità
specifica ed idealmente a termine che risultasse nel suo stesso
nome e che riuscisse a mettere insieme tutti coloro che intendessero
spendersi per realizzare un bipolarismo compiuto mediante la
costruzione di un Ulivo che non si riducesse a semplice alleanza
elettorale. Era necessario dunque pensare a uno strumento fondato
non tanto sui contenuti, quanto sui metodi e sui principi della
politica: campo questo di grande attrazione per tanta parte
della società civile in un tempo post-ideologico.
La seconda idea fu quella secondo la quale
il movimento, rigettando la vecchia impalcatura piramidale delle
formazioni politiche, dovesse organizzarsi con una struttura
a rete, tendente, più che a omologare, a raccordare le
mille diverse esperienze territoriali, sottraendole ad un esclusivo
localismo, talvolta asfissiante, e facendole convergere verso
grandi obiettivi di politica nazionale.
La terza fondamentale convinzione fu quella
che indusse a dotare il movimento della massima capacità
di penetrazione e compatibilità con partiti e movimenti
della coalizione, al fine di creare una virtuosa circolarità
di posizioni, di idee e di impegni, capace di annullare gradualmente
gli steccati - si badi bene non le identità! - ancora
esistenti all'interno dell'Ulivo.
Queste intuizioni dunque si sono rivelate feconde
e determinanti per la crescita del movimento e ne costituiscono
ancora il codice genetico, ma nessuna incidenza esse avrebbero
avuto se non vi fosse stata la tenace e generosa opera di chi
- e qui cito per tutti Marina Magistrelli - ha saputo tenere
accesa la fiaccola della speranza anche nei momenti bui e difficili.
A Marina, fuori di ogni retorica di circostanza,
va riconosciuto, fra gli altri, il merito di aver strappato
il movimento dalla malinconica e talvolta fatalistica rassegnazione
alla sua eutanasia e a una qualche più o meno sperata
confluenza, e di avergli ridato entusiasmo, fiducia e prospettive.
E se riandiamo con la memoria alle condizioni
in cui si versava un anno fa, viene spontaneo affermare, senza
trionfalismo alcuno, ma con contenuto orgoglio, che oggi il
movimento per l'Ulivo è una realtà!
Magari non è ancora quello che tutti
noi vorremmo che fosse, ma non c'è dubbio che esso stia
lentamente ma progressivamente entrando nella coscienza politica
del Paese.
Nel 1997 con grande tenacia e superando non
poche difficoltà, si è riusciti a radicare il
movimento in tutto il territorio nazionale, con l'elezione democratica
dei responsabili provinciali e regionali, dopo aver sviluppato
una campagna adesioni che, pur senza alcuno sforzo pubblicitario,
ha dimostrato la validità della nostra idea e la sua
capacità di rispondere alle attese di tanta parte della
società italiana.
A partire dalla fine del'97 ha ripreso a manifestarsi
il fenomeno della costituzione spontanea di comitati, mentre
in alcuni comuni intere liste e movimenti cittadini, pur conservando
la loro identità locale, sono entrati a far parte del
movimento.
La crescita del movimento e dei suoi comitati
non è dunque un fiume in piena come nella lunga stagione
preelettorale, ma è certamente meno spontaneista, più
consapevole, più costante, più matura, fondata
su una più diffusa presa di coscienza del progetto politico
che sta diventando patrimonio e ragione di impegno in ogni aderente.
Ciò che conforta è inoltre la
constatazione che il movimento si diffonde nonostante la sua
difficile ed originale peculiarità di essere contemporaneamente
soggetto politico e strumento di coesione della coalizione,
di essere espressione di una parte dell'Ulivo, e nello stesso
tempo di riconoscersi e tendere al tutto dell'Ulivo.
Va, spero definitivamente, chiarito che questa
ambivalente peculiarità del movimento è dovuta
alla particolarità del tempo politico che attraversiamo,
che, piaccia o no, sta conducendo gradualmente il Paese verso
nuovi orizzonti, per assecondare i quali occorre servirsi di
strumenti che necessariamente contengano in sé sia elementi
atti ad affrontare la contingenza, sia elementi che già
prefigurino la meta prefissa.
La necessaria ambivalenza del movimento per
l'Ulivo non è dunque una scelta di comodo, bensì
l'unica strada percorribile per costruire l'Ulivo che vogliamo
non solo dall'alto di pur utili accordi di vertice - significherebbe
dargli fondamenta poco solide! - ma con il concorso operativo
dei cittadini che nutrono tale aspirazione, cercando di realizzarla
in tutti i contesti territoriali del Paese.
Da questa inevitabile impostazione deriva quindi
il duplice compito del movimento che da un lato è elemento
di coesione della coalizione, dall'altro vi partecipa anche
come soggetto fra gli altri, anche in considerazione del fatto
che esso ha il dovere di dare adeguata rappresentanza anche
a quei cittadini, il cui numero cresce costantemente, che si
riconoscono direttamente nell'Ulivo e nel suo programma, senza
avvertire la necessità di ulteriori opzioni di parte.
Coloro che, dentro e fuori il movimento, continuano
a giudicare questa ambivalenza come ambiguità - lo dico
senza alcun velo di polemica! - dimostrano di non essersi ancora
definitivamente affrancati dalla pur comprensibile tendenza
a pensare la politica con gli schemi propri del sistema proporzionale.
E sorprende non poco constatare come invece ruolo e natura del
movimento siano talvolta più facilmente compresi da quei
cittadini che, pur nella loro semplicità, scorgono in
esso uno strumento per realizzare pienamente il tanto sospirato
bipolarismo che, non dimentichiamolo, rimane un'aspirazione
largamente maggioritaria nel popolo italiano, anche se sentita
soprattutto come semplificazione del quadro politico.
Un'altra questione nodale su cui dare un contributo
di chiarezza può sintetizzarsi nella domanda: "quale
Ulivo intende costruire il Movimento?".
Non poche idee confuse infatti circolano a
riguardo, con l'inevitabile conseguenza di accendere dibattiti
inutili e provocare dannose quanto pretestuose polemiche.
La ricchezza e la varietà delle culture
politiche che vivono nell'Ulivo non permettono a nessuno, che
non voglia fantasticare, di sperare o ragionevolmente prefigurare
nei prossimi anni scenari che vedano l'Ulivo organizzato in
partito unico.
Questa particolare condizione, ancorché
avvertita come limite o impedimento ad un progetto, magari sotterraneamente
nutrito, va ritenuta un'allettante quanto preziosa opportunità
e una risorsa per poter dar vita gradualmente ad un soggetto
politico ampio che non solo non distrugga le identità,
ma sia capace su di esse e con esse di elaborare un'articolata
e completa piattaforma progettuale in grado di affrontare con
lungimiranza la necessaria modernizzazione non solo della società,
ma della politica stessa, chiamata, alle soglie del nuovo millennio,
a raccogliere sfide che possono essere sostenute soltanto mediante
categorie interpretative e progettuali completamente diverse
da quelle del passato, anche di quello recente.
A pensarci bene del resto, se l'epilogo di
tutto questo fermento fosse semplicemente la costituzione in
tempi brevi del partito unico dell'Ulivo, non avremmo fatto
altro che sostituire più partiti con uno solo, certamente
con un nome diverso, più grande, ma con le stesse caratteristiche.
Non è a questo che dobbiamo puntare:
significherebbe ridurre le nostre speranze alla costruzione
di un involucro nuovo che lascerebbe poi, cambiata la pelle,
e magari nomi e volti, gran parte delle cose come sono, senza
sciogliere quei punti nodali che rimangono la sostanza delle
nostre aspirazioni e della nostra azione e che ci richiamano
alla necessità di un grande strumento politico articolato,
capace di promuovere una nuova cittadinanza democratica e un
nuovo sano protagonismo della società, idoneo a riaccendere
i circuiti della partecipazione e ad affrontare virtuosamente
la questione della democrazia non solo sul piano del funzionamento
delle istituzioni, ma anche su quello più sostanziale
del ruolo dei cittadini nei processi politici, del libero ed
autentico formarsi del consenso ad ogni livello, della difesa
della persona e della sua unicità dalla omologazione
dei media e dalla globalizzazione dei linguaggi e dei modelli.
Occorre allora puntare - e questa è
la nostra visione strategica - alla costituzione di un grande
soggetto politico, una sorta di casa comune, dentro la quale
partiti, movimenti, associazioni, insieme ai singoli cittadini
possano interagire con uno statuto e con regole chiare che prevedano
organi comuni preposti alla definizione delle posizioni e delle
decisioni della coalizione o federazione che sia.
Il meccanismo di composizione di tali organi
dovrà tutelare da un lato le diverse identità,
ma dall'altro anche la volontà di tutti i singoli aderenti,
iscritti o meno ai partiti della coalizione. Si tratta in sostanza
di disciplinare, con norme unanimemente condivise, i processi
decisionali dell'Ulivo.
Tutto questo è ben diverso da una semplice
alleanza di più soggetti costituiti, nella quale si entra
e si esce a seconda delle convenienze e del gradimento delle
scelte assunte, come purtroppo avviene nelle realtà locali.
Far parte dell'Ulivo per le formazioni che
liberamente vi aderiscono, dovrà invece significare entrare
a far parte di un soggetto politico con fondamenti ideali comuni
e con delle regole da rispettare comunque, anche quando dovessero
emergere decisioni particolari poco condivise.
L'immagine simbolo dell'Ulivo che vogliamo
è dunque quella dell'arcipelago, nel quale il mare non
sia visto come vuoto o elemento di separazione, bensì
come parte stessa dell'arcipelago, come strumento di coesione,
come rete di raccordo, come tessuto unificante di tantissime
soggettività diverse, piccole e grandi, che continuano
a vivere nella loro specifica singolarità, pur incastonate
in una grande tela comune.
Nella nostra azione dunque occorre ispirarsi
a questo nuovo modello, non solo perché sembra oggi l'unico
realizzabile per l'Ulivo, ma molto più perché
appare il più idoneo a garantire la dimensione umana
della politica, consentendo anche alle mille realtà locali,
pur rimanendo se stesse, con il loro territorio e la loro storia,
di entrare nei processi globali, organizzate accanto alle formazioni
nazionali che, va sottolineato, sono anch'esse composte di tante
realtà territoriali. Personalmente credo che una politica
così organizzata sarebbe anche il miglior antidoto contro
le tentazioni secessioniste che attraversano parte consistente
del paese.
Del resto non dimentichiamo che Romano Prodi
ha iniziato l'avventura dell'Ulivo con lo slogan delle cento
città, anche perché la democrazia italiana è
nata nei comuni e ancora oggi è proprio in essi che si
verificano gli episodi più significativi di coinvolgimento
popolare.
Questa dunque è la meta ultima che il
movimento si prefigge e per la quale sviluppa la sua azione,
pur nella consapevolezza che solo gradualmente vi si potrà
giungere, senza forzare i tempi oltre misura e soprattutto senza
intraprendere pericolose scorciatoie che potrebbero risultare
controproducenti.
Naturalmente il nostro percorso è fatto
anche di obiettivi intermedi e la proposta che attualmente il
movimento rivolge ai partiti della coalizione è quella
di una prima strutturazione della stessa, anche nei livelli
territoriali, secondo una Carta organizzativa che Marina Magistrelli
ha già presentato al Comitato di Nazionale di Coalizione.
Questa importante tappa del resto è
il frutto di un lungo lavoro, talvolta ingrato e oscuro, che
il movimento ha svolto in questi due anni, senza il quale l'Ulivo
sarebbe stato soltanto il nome del governo e non una realtà
politica presente nel Paese.
Non poche sono state infatti nei partiti le
spinte tendenti a sminuire la valenza politica della coalizione,
nell'intento di ridurla ad una mera alleanza elettorale, sostenuta
da occasionali e reciproche opportunità e assolutamente
ininfluente sui processi di cambiamento in atto: uno stratagemma
dunque per aggirare le nuove leggi elettorali maggioritarie
e poi essere nelle istituzioni con modalità e metodi
perfettamente simili a quelli del sistema proporzionale.
Noi non crediamo che i partiti debbano rinunciare
alla propria identità, chiediamo soltanto ad essi di
non assolutizzarla e di viverla come una delle radici di un
albero comune, con tutte le conseguenze che questo comporta.
Non si può pensare del resto che i partiti
in un sistema bipolare possano essere pensati e organizzati
allo stesso modo nel quale vivevano nel sistema proporzionale:
questo è il vero nodo che spesso provoca difficoltà
nei rapporti fra partiti e movimento!
Non si deve però d'altra parte tralasciare
che non pochi esponenti di partito, insieme a tanta parte della
base, sinceramente credono nell'Ulivo. Con essi occorre sempre
più interagire per intensificare con slancio lo sviluppo
del comune progetto, anche se non sono mancate negli ultimi
tempi difficoltà prodotte da pur legittime strategie
di soggetti importanti della coalizione.
Mi riferisco evidentemente al processo costituente
dei Democratici di Sinistra su cui pure va detta una parola
chiara.
Il disegno di ricomporre in unità, sia
pur nell'ambito dell'Ulivo, diverse sigle della sinistra italiana
è sicuramente un dato positivo, se non altro perché
contribuisce a semplificare lo spettro della coalizione.
Quando però si richiama come modello
ispiratore il socialismo europeo e la sua Internazionale, si
rischia di ingenerare in molti, sia pur involontariamente, convinzioni,
attese e prospettive poco organiche all'Ulivo.
Nelle realtà territoriali infatti non
sono pochi i casi nei quali questo progetto viene vissuto, magari
non in modo alternativo all'Ulivo, ma comunque come il vero
impegno strategico dei Democratici di Sinistra, dando così
l'impressione sicuramente in molti casi sbagliata, di rimanere
nell'Ulivo solo perché la tanto sospirata autosufficienza
ancora non si intravede all'orizzonte, ma di non viverlo come
il proprio percorso e il proprio futuro.
Più una necessità insomma che
una passione!
Non a caso del resto, specularmente alla costituente
di sinistra, si è sviluppata l'iniziativa di Cossiga,
tendente alla ricomposizione di un polo di centro alternativo
alla sinistra quanto alla destra, nel quale si intende riaggregare
tutto l'elettorato di centro dal Partito Popolare a Forza Italia.
Se tutto questo andasse in porto l'Ulivo diventerebbe
soltanto il ricordo di una bella avventura di fine millennio!
Del resto l'esito dell'ultimo passaggio elettorale
non è stato molto felice proprio perché in non
pochi casi queste sirene hanno ostacolato la formazione dell'Ulivo,
tra le cui forze, da qualche tempo, si registra un forte aumento
di competitività.
E in questo quadro generale la vicenda del
Friuli dove domani si vota per il Consiglio Regionale, risulta
particolarmente emblematica.
Tutto questo porta a concludere che il vero
nodo politico da affrontare in questo momento è il modello
di bipolarismo da dare al paese. Su questa vicenda l'azione
del movimento e di tutte le forze dell'Ulivo deve svilupparsi
in modo quanto mai deciso e determinato.
Non è sufficiente infatti soltanto dichiararsi
contrari all'idea di Cossiga, ma occorre operare per scongiurare
tale iattura con tutti gli accorgimenti necessari che vanno
messi a punto nelle sedi adeguate.
Se infatti, indipendentemente dalla volontà
delle forze interessate, i flussi elettorali dovessero distribuirsi
secondo quel proposito, formazioni come il Partito Popolare
e Rinnovamento Italiano si dibatterebbero a fatica tra la sinistra
da un lato e il cosiddetto grande centro dall'altro, in cui
la peculiarità della loro identità sarebbe sicuramente
travolta.
Occorre dunque che le forze politiche della
coalizione prendano sempre più coscienza del paradosso
che sinistra e centro dell'Ulivo possono perseguire le proprie
istanze soltanto se uniti. Fuori di questa simbiosi essi vivrebbero
una sorte di esilio in una "terra" dove forzati condizionamenti
e alleanze obbligate finirebbero per spegnere le loro prerogative
più significative.
Ma ancor più l'impegno a difendere l'Ulivo
dai tentativi che attualmente lo minacciano non è dovuto
all'ostinata e quasi fanatica tutela di un simbolo e di un progetto
a cui pure siamo molto legati, ma risponde all'esigenza di costruire
nel paese un assetto politico più adeguato a interpretare
e rappresentare la complessità della società contemporanea
che non può essere letta con le categorie politiche che
hanno dominato questo secolo.
Le moderne democrazie bipolari infatti propongono
essenzialmente due schemi: uno del tipo tedesco-spagnolo, nel
quale la sinistra socialista si contrappone al centro moderato;
l'altro del tipo anglo americano nel quale si fronteggiano il
centro sinistra ed il centro destra, i democratici e i conservatori,
come è avvenuto anche in Italia nelle ultime elezioni
politiche.
Il primo modello è anche quello che
disciplina gli schieramenti nel Parlamento europeo dove i socialisti
sono alternativi ai popolari e ad altre formazioni di centro.
Il Movimento per l'Ulivo ritiene questo schema
ormai definitivamente superato non solo perché nella
società europea la cultura della sinistra democratica,
profondamente evolutasi, trova naturali convergenze con quella
del centro più illuminato e avanzato, ma soprattutto
perché la sinistra europea, dovunque ha responsabilità
di governo, si allontana sempre più, tranne forse in
parte l'eccezione francese, dal modello socialista, per attingere
anche ad altri patrimoni ideali, non ultimo quello liberale.
Come è possibile infatti ricondurre
lo "Stato leggero", le privatizzazioni, la riforma del Welfare
o la liberalizzazione del commercio nell'alveo di una visione
socialista della politica?
Del resto perché Tony Blair invoca la
costituzione di una Internazionale democratica di centro-sinistra?
Non è forse il segno inequivoco di un
giudizio di inadeguatezza nei confronti dell'Internazionale
socialista e dunque dell'assetto politico che ancora stancamente
domina in Europa, mostratosi ormai poco capace di rappresentare
gli orientamenti emergenti nella società europea contemporanea?
Voglio solo ricordare, ad onor di storia, e
pur nel rispetto delle opinioni altrui, che quella di cui parliamo
è la seconda Internazionale socialista che fu costituita
nel 1889 a cento anni dalla rivoluzione francese per celebrarne
la ricorrenza. E' una istituzione di altissimo prestigio e certamente
carica di gloria, ma è più un evento della storia
che una prospettiva per il futuro.
Il Movimento per l'Ulivo dunque si inserisce
nel solco di questo tentativo di autentica modernizzazione della
politica che va sviluppandosi a livello internazionale, come
dimostrano anche le recenti scelte della politica Giapponese,
apertamente ispirate all'Ulivo italiano.
Essere Europa significherà dunque anche
impegnarsi su questo fronte, senza subire, da provinciali, modelli
precostituiti e datati, ma cercando di costruirne altri più
rispondenti alla moderna realtà europea.
In questa ottica occorre far in modo che, con
il concorso di tutti, le prossime elezioni europee non solo
non segnino una battuta d'arresto nel percorso dell'Ulivo, bensì
inaugurino una azione comune per portare questa nostra grande
idea oltre i confini nazionali, dove ci attendono tanti uomini
e tante donne che come noi vogliono costruire non solo una realtà
economicamente forte, ma un' Europa politicamente rinnovata
che ancora una volta, su basi nuove, sia faro di un nuovo cammino
di pace e di solidarietà per tutto il pianeta.
In questi scenari dovrà svilupparsi
nei prossimi mesi l'azione del Movimento per l'Ulivo che da
un lato intensificherà l'opera di coesione e strutturazione
della coalizione e dall'altro potenzierà la sua capacità
di penetrazione nel paese, continuando, su queste importanti
coordinate nazionali ed internazionali e su un rinnovato impegno
programmatico a tessere la rete tra associazioni, liste e movimenti
locali, volontariato, parti vitali della società e singoli
cittadini, per fare dell'Ulivo, prima ancora di una struttura
organizzata una grande vicenda di popolo che pianti definitivamente
le sue radici nella storia culturale e politica della nostra
Italia.