Il Movimento per L'Ulivo: LA SCUOLA QUADRI
Un nuovo referendum elettorale per consolidare il bipolarismo
di Augusto Barbera

 

Il fallimento della "Bicamerale" non è dovuto soltanto alla debolezza dei progetti di riforma da essa elaborati ma trae origine dal tentativo di una parte del ceto politico, di cui Berlusconi si è fatto interprete, di mettere in crisi il bipolarismo fin qui realizzato. Si tenta così di ridare spazio a pratiche trasformistiche e di tornare a forme più o meno mascherate di "proporzionalismo".

Eppure le iniziative referendarie volute dai cittadini hanno consentito di raggiungere risultati importanti in questa prima fase della lunga "transizione politica".

Provo a indicarne alcuni:

  1. la bipolarizzazione del sistema politico, per quanto imperfetta, finalmente consente agli italiani di dividersi, secondo schemi europei, in schieramenti alternativi collocati sull'asse destra-sinistra. Sia il Polo che l'Ulivo hanno fin qui consentito, sia pure in modo non sempre lineare, di superare le vecchie fratture fra laici e cattolici, fra comunisti e anticomunisti, fra nostalgici del fascismo e paladini dell'antifascismo;
  2. il sistema parzialmente maggioritario ha prodotto per due volte consecutive (nel 1994 e nel 1996) schieramenti alternativi di governo che hanno travolto un centro immobile attorno a cui fare ruotare le alleanze;
  3. lo stesso sistema ha favorito processi di deradicalizzazione per cui da una parte l'MSI è stato costretto a cercare a Fiuggi una nuova identità trasformandosi in Alleanza nazionale e concorrendo per il governo del paese; dall'altra Rifondazione, nata dopo la svolta della Bolognina per "scrutare gli orizzonti del comunismo", è stata costretta, sia pure con le note contraddizioni, a misurarsi con l'Europa di Maastricht;
  4. gli italiani hanno potuto eleggere, di fatto, il candidato alla Presidenza del Consiglio, scegliendo fra Berlusconi e Prodi;
  5. grazie alla iniziativa referendaria le città italiane hanno ritrovato fiducia e mani salde eleggendo direttamente i Sindaci;

Se l'Italia fa il suo ingresso in Europa ciò è dovuto principalmente alla stabilità italiana assicurata dal maggioritario. Assai difficilmente i tradizionali governi di coalizione, frutto del sistema proporzionale, avrebbero potuto reggere all'impatto politico delle scelte che si sono dovute operare.

Gli stessi effetti positivi indotti dall'azione di giudici di "mani pulite" sono stati favoriti dalla forte domanda di "riforma della politica" espressa dagli italiani che il 9 giugno del 1991 invece di "andare al mare" si recarono massicciamente a votare per la preferenza unica.

Non sono tuttavia mancati problemi: il voto del 1994 ha espresso una alleanza fragile che è stata "ribaltata", dopo appena pochi mesi, dal voto della Lega. In questa legislatura Rifondazione comunista, rifiuta la piena assunzione di una logica maggioritaria e ha più volte messo in pericolo la stabilità del Governo Prodi. L'opposizione, dal canto suo, non riesce a costruire un coerente forza alternativa ed è tentata dal ritorno a pratiche consociative. A ciò si aggiunga che una pessima legge sul finanziamento pubblico dei partiti, improntata a principi proporzionalisti, ha disconosciuto le coalizioni e ha ulteriormente favorito la moltiplicazione artificiosa del numero dei partiti.

Perché l'Italia non si fermi è necessario che, ancora una volta, i cittadini si mobilitino per fare fronte a una duplice necessità:

  1. difendere le scelte referendarie dai tentativi di ritorno all'indietro - manifestatisi con il "patto di casa Letta", le leggi elettorali regionali e la citata impostazione proporzionalista della legge sul finanziamento pubblico dei partiti -;
  2. completare e perfezionare il sistema maggioritario eliminando la distribuzione della quota aggiuntiva di seggi del 25%, vale a dire il voto a liste di partito da distribuire secondo criteri proporzionali.
  3. Dobbiamo, in poche parole, difendere quanto abbiamo conquistato. Ma questo non basta; bisogna andare oltre. L'Italia non deve essere ferma e noi non ci fermiamo ai risultati raggiunti.

    Il voto proporzionale, infatti, tende a inquinare i risultati positivi determinati dal 75% di quota maggioritaria.

    Ciò riguarda Camera e Senato ma è più evidente nel sistema elettorale della Camera dei Deputati. Come è noto, quando il cittadino si reca a votare riceve due schede; una di colore rosa, per l'elezione dei candidati del collegio uninominale, l'altra, di colore grigio per scegliere tra le liste di partito cui vengono assegnati in modo proporzionale il 25% dei seggi.

    Ne deriva che mentre i partiti sono incentivati ad allearsi per sostenere il medesimo candidato nel collegio uninominale - e sono quindi incentivati a presentare lo stesso programma e financo lo stesso candidato alla Presidenza del Consiglio - sono invece concorrenti nella quota proporzionale. Come si sa la concorrenza è tanto più aspra quanto più tende a coincidere il bacino elettorale da cui si attinge il voto.

    Tale conflittualità non si manifesta solo al momento del voto ma si trascina per un'intera legislatura spingendo i partiti alleati a ricercare "visibilità", vale a dire a alimentare, talvolta artificiosamente, motivi di divisione.

    Poiché i risultati bipolarizzanti indotti dal collegio uninominale sono, in breve, inquinati dal voto proporzionale alle liste di partito il quesito referendario proposto abroga il voto per la lista di partito lasciando solo il voto per il candidato nel collegio uninominale.

    Con il quesito referendario si mettono così in risalto le coalizioni e si pone fine alla dissociazione per cui i partiti, alleati nei collegi uninominali, sono in conflitto nella conquista del secondo voto proporzionale. Superando la quota proporzionale le coalizioni possono diventare più salde e omogenee e meno soggetto alla permanente conflittualità interna. Insomma partiti che vogliono governare insieme sono indotti così a presentarsi con un solo volto agli elettori.

    Poiché la (discutibile) giurisprudenza della Corte Costituzionale richiede che l'approvazione del quesito referendario mantenga "autoapplicativa" la legge sottoposta al taglio abrogativo, il quesito proposto ai cittadini non elimina la quota aggiuntiva di seggi del 25% (lo potrà fare il legislatore se vorrà) ma abroga la distribuzione proporzionale della stessa tra liste di partito e distribuisce detta quota secondo criteri maggioritari alle più forti coalizioni meglio perdenti nei collegi della medesima circoscrizione (ulteriormente incentivando i partiti a coalizzarsi).

    La assegnazione della quota aggiuntiva del 25% viene quindi distribuita non fra le liste di partito ma fra i candidati "meglio perdenti". Viene cioè distribuita fra i candidati che hanno ottenuto le migliori cifre individuali dopo gli eletti (la cifra individuale si calcola, per la Camera dei Deputati, sulla base del rapporto fra voti validi ottenuti e totale dei votanti di ciascun collegio della circoscrizione).

    In questo modo si ottiene un ancora più deciso effetto bipolarizzante in quanto solo le coalizioni sono, per lo più, in grado di conquistare il primo o di piazzarsi tra i meglio perdenti: sulla base di proiezioni riferite al 1996 l'Ulivo avrebbe avuto 19 seggi in più e 13 seggi in più il Polo delle libertà.

    Il sistema che verrebbe fuori dal quesito presenta alcune analogie con il sistema oggi previsto per il Senato, che è un sistema migliore di quello previsto per la Camera dei Deputati. La legge per il Senato, però, prevede la distribuzione proporzionale del 25% conservando le liste di partito sotto forma di "raggruppamento di candidati collegati". Al Senato i seggi aggiuntivi prima vengono ripartiti proporzionalmente fra i diversi gruppi politici e poi assegnati ai candidati meglio piazzati di ciascun gruppo politico (in un collegio senatoriale quindi si possono avere non solo più di un eletto ma gli altri eletti possono essere piazzati anche agli ultimi posti della graduatoria di collegio. Con il quesito referendario invece i seggi aggiuntivi per la elezione della Camera dei Deputati vengono assegnati al secondo meglio piazzato senza riferimento a collegamenti con liste di partito.

    Il quesito referendario non si pone pregiudizialmente contro possibili soluzioni parlamentari. Il Movimento referendario, cui ci richiamiamo, ha contribuito a costruire il processo riformatore, determinando gli esiti positivi prima citati ( eppure fummo inizialmente definiti "sfascisti"!).

    Abbiamo fiducia nella democrazia rappresentativa cui non vogliamo pregiudizialmente contrapporre una vaga democrazia diretta, ma è ormai assodato che le forze politiche rappresentate in Parlamento assai difficilmente sono in grado in questa fase della vita del Paese di elaborare incisive leggi elettorali, a meno che esse non siano il frutto della pasticciata giustapposizione degli interessi di tutte le parti politiche.

    Non ci accomuna l'idea che il male da diagnosticare per le nostre istituzioni risieda nella "partitocrazia". Le degenerazioni partitocratiche sono solo uno dei sintomi della malattia, non la malattia. Il male va ricercato nella progressiva perdita di legittimazione dei partiti divenuti incapaci di esprimere emozioni, progetti e identità collettive. E tale distacco si accentua se vengono ignorate le manifestazioni di volontà dei cittadini (dai referendum elettorali a quello del finanziamento pubblico dei partiti).

    Il quesito referendario, se approvato, introdurrebbe un sistema uninominale a un turno, di tipo anglosassone, ma non sarebbe contrario al pronunciamento popolare l'introduzione di un sistema uninominale a doppio turno, di tipo francese, se accompagnato da una significativa clausola di sbarramento (in Francia è del 12,50% degli aventi diritto al voto, vale a dire circa il 18/20 dei votanti).

    Il carattere, opportunamente, trasversale dello schieramento che sostiene il referendum non consente tuttavia al Comitato promotore di assumere pregiudizialmente una posizione né a favore del turno unico, né a favore del doppio turno. Tali sistemi peraltro presentano entrambi vantaggi e svantaggi (se ne discute dal 1789!), ma hanno in comune il grande vantaggio di porsi entrambi quali sistemi uninominali e maggioritari.

    Chi è a favore del doppio turno di collegio potrà comunque sottoscrivere una proposta di legge di iniziativa popolare, sostenuta dal "Movimento dei valori", che fa capo ad Antonio Di Pietro, nonché dagli esponenti diessini del Movimento referendario, che prevede un sistema uninominale a doppio turno, alla francese, con una limitata quota proporzionale (10%) riservata - è questo l'elemento di distinzione rispetto alla vigente quota proporzionale - ai soli partiti che non si coalizzano e rifiutano il passaggio al secondo turno.

    Le prese di posizioni fin qui registrate ( per esempio un'intervista del Presidente del Senato) portano a ritenere che le forze politiche dovrebbero essere indotte a passare al doppio turo di collegio pur di evitare gli effetti incisivi del nostro quesito referendario.

    Dubbi solleva invece il referendum proposto dal Sen. Passigli per l'abolizione del c.d. scorporo. Si tratta di una proposta che, operando una marginale correzione nel calcolo dei voti, si limiterebbe ad attenuare gli effetti proporzionalisti della attuale legge elettorale; se effettuato con esito affermativo esso determinerebbe più effetti negativi insieme:

    a. rafforzerebbe detta legge (il c.d. Mattarellum), mantenendo insieme il principio del turno unico, la presenza di liste di partito e di una quota aggiuntiva di seggi da distribuire con il metodo proporzionale

  4. allontanerebbe definitivamente la possibilità di introdurre il doppio turno di collegio.

In altre parole il nostro quesito ricomprende ovviamente gli effetti del quesito Passigli ma in più consente di ottenere una più incisiva riforma elettorale che potrà essere il turno unico anglosassone, applicando il risultato eventuale del referendum, ovvero il doppio turno di tipo francese se tale risultato si vuole evitare.

Il nostro Paese si trova a metà del guado: un vecchio sistema politico non si rassegna a morire ed il nuovo si afferma con fatica. Perché il vecchio non afferri il nuovo bisogna compiere gli ulteriori passi in avanti. Non si può restare fermi.


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