Il Movimento per L'Ulivo: LA SCUOLA QUADRI

Considerazioni sul programma politico
di Iginio Ariemma
13-14 giugno 1998

1. Definizione

Il programma politico è l'esposizione - sintetica, semplice e chiara - di ciò che si vuole fare.

Il programma è tanto più valido ed efficace se corrisponde a ciò che si deve fa cioè ad una esigenza storicamente necessaria in quel determinato momento.

Il programma come formazione ed organizzazione di una volontà collettiva (Gramsci).

2. Tipologia

I criteri di distinzione di un programma sono molteplici.

I più rilevanti riguardano i fini, il tempo, lo spazio, le persone e le categorie a cui si rivolge.

I fini:

- Il programma fondamentale, che illustra i fondamenti, cioè i valori di fondo di una organizzazione o di un movimento politico. Es. Il programma fondamentale dell'lnternazionale socialista approvato a Stoccolma nel 1991.

- Il programma massimo o minimo che differenzia i fini ultimi dalle politiche immediate, a breve. Es. Il manifesto comunista di Marx ed Engels.

- Il programma di governo, cioè le "cose" che si impegna a fare in caso di vittoria elettorale e quella successiva. Oppure il programma di metà o di fine legislatura.

- Il programma di legislatura, intendendo il periodo tra una tornata elettorale e quella successiva. Si parla anche di programma di metà o di fine legislatura.

Il tempo:

Il programma a breve termine, a medio termine o a lungo termine.

Per esempio il medio termine fu molto importante per il PCI, che riusci in questo modo a superare una spinosa diatriba interna tra rivoluzione e riforme, tra democrazia e socialismo, sulla base di una concezione che può essere definita di riformismo forte (almeno in politica interna). Gli obiettivi intermedi arrivarono fino alla proposta, con Enrico Berlinguer, degli elementi di socialismo, cioè di elementi di ampia partecipazione democratica e di socializzazione, che "tiravano" la democrazia fino ad anticipare il socialismo.

Lo spazio:

Il programma europeo, nazionale, regionale, comunale ecc.

La dimensione europea acquista un rilievo sempre maggiore, sul piano programmatico e su quello organizzativo, come dimostrano le vicende attuali del P.P.E. e del P.S.E..

La prossima campagna elettorale, del 1999, sarà la prima veramente europea.

Anche il programma regionale, se viene avviato il federalismo avrà una dimensione del tutto nuova (anche di revisione degli statuti regionali).

A chi si rivolge:

A dire il vero è difficile trovare programmi che si rivolgono esclusivamente ad una sola categoria sociale. Anche i partiti che si definiscono con una sola ragione soci'ale (per es. partito dei pensionati o partiti ambientalisti ecc.) pur dedicando nel programma maggiore spazio o addirittura spazio prevalente al tema o istanza (issu) di cui intendono essere portatori cercano di allargare il consenso anche ad altri settori e ad altre materie. In questo caso il programma funziona se tutto viene ricondotto al perno principale.

La tendenza principale oggi è quella di comporre programmi che si rivolgono a tutti (così come i partiti pigliatutto), sebbene si parta da ottiche diverse e all'interno del tutto ci si rivolga in modo particolare ad alcuni strati sociali, scelti per la collocazione produttiva o per la situazione di reddito.

3. L 'anima del programma

Il programma per essere efficace deve avere un'anima, cioè una ispirazione di fondo, che non è solamente politica, ma soprattutto culturale.

L'organizzazione (o movimento) che esprime il programma può contenere (e certamente contiene) varie tendenze culturali al proprio interno. In singoli punti programmatici, anche significativi, il programma può scegliere di lasciare libertà di coscienza o esporre soluzioni alternative, al fine di rispettare le diverse tendenze o sensibilità o opinioni.

Il programma tuttavia deve avere un'anima culturale comune.

Spesso si sente dire che i programmi politici sono tutti uguali. Succede questo quando l'anima del programma non è sufficientemente "marcata", netta.Ovviamente ci può essere anche un vantaggio nel non sottolineare l'ispirazione fondamentale (per es. nei partiti pigliatutto), ma non nelle situazioni di crisi e di transizione da una fase politica all'altra.

Non è facile dire che cos'é l'anima di un programma.

Un tempo era più facile perché c'era l'ideologia che determinava l'appartenenza ad una organizzazione o ad un movimento, la quale va al di là dei programmi. I programmi erano l'attuazione delle ideologie.

Con la crisi delle ideologie oggi l'appartenenza si è ridotta di molto.

Nè è sufficiente per darsi un'anima sostenere alcuni valori di fondo invece che altri.

Norberto Bobbio, in un saggio diventato giustamente famoso, sostiene che la sinistra (o meglio l'uomo di sinistra) mette di più l'accento sul valore dell'eguaglianza rispetto a quello della libertà. Altri (anche lo stesso Bobbio) aggiungono che storicamente, da Rousseau in poi, la sinistra si sia distinta dal liberalismo per avere affermato con maggiore coerenza e fermezza i diritti democratici, da quelli politici a quelli civili e sociali.

Ma come ognuno può comprendere si parla di accenti, di sottolineature; non si può dire in modo assoluto che la sinistra è per l'uguaglianza versus libertà, o per la democrazia versus libertà. E viceversa per un uomo di destra. A meno che si tratti di estremismi.

Il problema è il mix, cioè la combinazione (o conciliazione) tra libertà, eguaglianza, democrazia, solidarietà (o fraternità se si vuole usare il termine della rivoluzione francese), combinazione, che è sempre concreta, storicamente determinata e quindi non è data una volta per tutte.

Per capire che cosa intendo dire basta confrontare il programma del 1996 di "Forza Italia" e quello dell'Uiivo: da una parte il bastone è piegato quasi completamente dalla parte del liberismo (senza troppa indulgenza nei confronti degli effetti sociali e umani), da parte dell'Ulivo invece si cerca di trovare un nuovo compromesso sociale e istituzionale in grado di favorire la libertà di ognuno e insieme la solidarietà e una maggiore eguaglianza attraverso una più equa distribuzione del reddito e del potere.

Nelle precedenti elezioni politiche, quella del 1994, questa operazione non riuscì allo schieramento progressista: la sinistra e il centro - il Partito Popolare - si presentarono divisi.

I "Progressisti" inoltre si presentarono alle elezioni senza un programma comune, ma soltanto con alcuni elementi programmatici, tra l'altro generici e contraddittori e con una immagine di schieramento di sinistra, non di centro sinistra o di sinistra centro che invece caratterizzò l'Ulivo nel 1996, portandolo alla vittoria.

In altre parole l'anima del programma dei "Progressisti" o era insufficiente, o creava timore e non dava sufficienti garanzie.

L'anima del programma può diventare un simbolo, cioè la proposta politica si trasforma in una forma di mitopoiesi a livello di massa per gli aderenti all'organizzazione, in cui è prevalente il fattore emotivo e passionale.

Ciò è accaduto non soltanto nel passato. (La civiltà del lavoro, la classe operaia).

Il partito azienda di Berlusconi, laederistico e plebiscitario, per certi versi è di questo tipo. Infatti ha saputo raccogliere la spinta di quella imprenditoria di massa o di popolo, moltiplicatasi nell'ultimo decennio, soprattutto al Nord e nel Centro, che, al di là dell'individualismo molto accentuato, sta cercando una rappresentanza politica. L'azienda e il far da sè sono il simbolo.

Ma ancora di più lo è la Lega Nord di Umberto Bossi, che fa del territorio e dell'etnia un simbolo, la bandiera della indipendenza e della battaglia rivendicativa, fino a sostenere la secessione.

4. La procedura

Il modo con cui il programma viene composto e approvato, cioè la procedura, è assai importante. Infatti dalla procedura dipende innanzitutto la democraticità del programma. La partecipazione democratica ad esso è garanzia di consenso di massa ed anche della sua attuazione.

Inoltre non va trascurato il fatto che la procedura democratica contribuisce ad arricchimenti, miglioramenti e persino correzioni sia nella forma che nella sostanza.

Va quindi scartata ogni procedura verticistica, limitata a gruppi ristretti. Ci deve essere una proposta di programma elaborata dal gruppo dirigente o da una apposita commissione, ma la proposta deve essere sempre aperta al dibattito degli iscritti e meglio ancora della società.

La procedura più utile potrebbe essere la seguente: proposta della commissione di lavoro appositamente formata, che si avvale di studi preliminari, sondaggi ad hoc, ecc.; approvazione di massima della proposta da parte dell'organo dirigente; discussione nelle organizzazioni di base, aperte alla società e richiesta di contributi esterni; approvazione del programma definitivo in un congresso o in una convenzione programmatica appositamente convocata.

Questa procedura può durare anche alcuni mesi se si vogliono coinvolgere ampi settori della società e il territorio nel suo complesso.

Per es. il programma del nuovo Labour party inglese è stato elaborato in alcuni anni.

5. La forma

La forma del programma deve essere la più sintetica e breve possibile. Nello stesso tempo deve essere molto chiara, addirittura elementare sia nell'uso delle parole (no ai termini stranieri) sia nei concetti. Il messaggio deve essere capito da tutti e in modo immediato. Se dovessi usare un sostantivo per indicare la forma ottimale del programma è la leggerezza cos' come è stata descritta da Italo Calvino nelle "Lezioni americane".

Il programma inoltre deve essere concreto e realistico. Il che - è ovvio - non significa senza respiro e nemmeno senza l'afflato utopistico che spesso serve a dare più incisività e concretezza alle proposte.

Non deve essere specialmente un programma minestrone, in cui c'è dentro tutto, ma senza sapore.

La forma più consigliabile è quello di un programma in tre parti:

a. Le grandi opzioni, in cui si illustrano a grandi linee le scelte di fondo che si intendono fare (per es. Centro sinistra o centro destra; i grandi obbiettivi: Europa, Federalismo, Occupazione, Mezzogiorno e così via ecc.)

b. Le proposte che si considerano fondamentali.

c. Le schede su punti particolari che si ritengono rilevanti, anche se settoriali.

6. L'iniziativa politica

Il programma per quanto buono non è sufficiente.

Per es. il programma del PDS del 1994 fu giudicato da alcuni esperti professori di Università scelti da "Il Sole 24 Ore", il migliore della campagna elettorale, ma come è noto il PDS ebbe un esito, sebbene discreto, insoddisfacente sia come partito che come schieramento dei progressisti.

Determinante è quella che si può definire l'iniziativa politica, cioè il modo con cui si cala il programma nella realtà e nella situazione concreta.L'iniziativa politica dipende dalla leadership, dalla capacità di questa di saper cogliere l'occasione giusta, di capire i termini del confronto, di mettere in rilievo l'uno o l'altro elemento del programma.

Il programma è tanto più credibile quanto la leadership è affidabile, cioè gode di fiducia e di prestigio.

Contenuti e alleanze, qual'è il prius? Non esiste, a mio parere, una regola generale, dipende dalla situazione. Talvolta è opportuno adeguare i contenuti programmatici alla coalizione, in altri casi è preferibile rimarcare i contenuti. Tenere però conto sempre che nelle elezioni decisivo è il rapporto con il centro e che "il regime democratico presuppone l'accettazione di una ideologia moderata e al massimo riformista" (Bobbio) poiché la sua regola aurea di funzionamento è la maggioranza o meglio il principio maggioritario.

Attualmente nel centro-destra, soprattutto tramite l'iniziativa di Francesco Cossiga, è in atto un tentativo di spostare al centro la leadership, ridimensionando Fini e Alleanza Nazionale, e forse lo stesso Berlusconi. E difficile prevedere se questa manovra - che ha peraltro il sostegno di ambienti internazioali (ingresso di Forza Italia nel PPE) avrà esito positivo, ma è indubbio che crea problemi all'Ulivo.

7. Il programma oggi e l'Ulivo

Il programma è particolarmente importante oggi.

La crisi delle ideologie e del voto di appartenenza, come abbiamo visto, "carica" di compiti, ancora maggiori rispetto al passato, il programma: di unità e di coesione dell'organizzazione, addirittura di identità della stessa.

La fase che si sta attraversando (transizione dalla prima alla seconda Repubblica) complica ulteriormente le cose o, se si vuole, rende ancora più interessanti e corposi i programmi. Mentre per circa cinquant'anni la revisione della Costituzione è stata un tabù (si poneva la questione della sua applicazione o al massimo la modifica di punti molto specifici) oggi il tema principe è proprio questo.

Su questo tema c'é il massimo di divisione, come dimostra il fallimento della Bicamerale.

Del resto il mutamento è radicale. Si tratta di passare da un sistema rappresentativo proporzionale, ad un sistema maggioritario bipolare; da un sistema politico in cui gli elettori votavano i singoli partiti, i quali decidevano le alleanze di governo, ad una investitura diretta, da parte dei cittadini, della coalizione di governo, e quindi anche della scelta del programma che sostiene quella maggioranza, e addirittura del premier indicato a presiedere tale schieramento e a realizzare tale programma.

Si tratta inoltre di passare ad una nuova forma di Stato (il federalismo innanzitutto) e ad un nuovo equilibrio di poteri, sia di quelli centrali sia di quelli periferici.

Infine c'è l'Europa, con tutte le novità che la sua accelerazione ha comportato e comporta; e con tutti i problemi per l'ltalia: lavoro, Mezzogiorno, pubblica amministrazione ecc.

La posta in gioco programmatica è quindi molto elevata.

Il sistema bipolare pone una ulteriore questione: il rapporto tra il programma della coalizione e il programma del partito o movimento che aderisce a quella coalizione.

Finora tale problema è stato risolto pragmaticamente: considerando l'Ulivo una alleanza non soltanto elettorale, ma strategica (quindi, se ie parole hanno un senso, al di là della legislatura; rinunciando ad una parte di sovranità da parte dei partiti che ne fanno parte; dando vita a momenti e a coordinamenti unitari tra le componenti.

E' indubbio tuttavia che questa soluzione non evita i rischi di instabilità e le tentazioni al divorzio della coalizione; o di paralisi che si verifica quando le componenti tirano in direzione opposta o pensano a rafforzare solo se stesse, mettendo steccati artificiali e spesso anche artificiosi.

I recenti risultati nelle elezioni amministrative - negativi - devono essere un campanello di allarme. Programmi e candidature, nelle città e nelle province, devono essere il frutto di un lavoro di coalizione non del momento, ma di lunga lena.

A mio avviso l'Ulivo deve compiere un passo in avanti, per lo meno in quattro direzioni:

a) procedere alla verifica di metà legislatura (a medio termine direbbero negli USA) del programma realizzato dall'Ulivo attraverso una apposita Convenzione programmatica);

b) approvare la carta costituente organizzativa che preveda organismi unitari dell'Ulivo a livello di regione e nazionali (e forse anche di collegio elettorale) al fine di procedere sempre più verso una sorta di raggruppamento federato (con regole precise e un vero e proprio statuto) delle varie forze poitiche che ne fanno parte;

c) darsi alcune regole per la scelta democratica delle candidature, a partire da quelle in cui è prevista l'elezione o l'investitura diretta;

d) a livello locale, e soprattutto regionale, non essere la fotocopia dell'Ulivo nazionale, ma "territorializzarsi", avere cioè una spiccata e autonoma caratterizzazione territoriale; al fine di avere un consenso di massa e di evitare e sconfiggere le tendenze localistiche e centrifughe.


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