Il programma politico è l'esposizione - sintetica, semplice
e chiara - di ciò che si vuole fare.
Il programma è tanto più valido ed efficace se
corrisponde a ciò che si deve fa cioè ad una esigenza
storicamente necessaria in quel determinato momento.
Il programma come formazione ed organizzazione
di una volontà collettiva (Gramsci).
2. Tipologia
I criteri di distinzione di un programma sono
molteplici.
I più rilevanti riguardano i fini, il
tempo, lo spazio, le persone e le categorie a cui si rivolge.
I fini:
- Il programma fondamentale, che illustra i
fondamenti, cioè i valori di fondo di una organizzazione
o di un movimento politico. Es. Il programma fondamentale dell'lnternazionale
socialista approvato a Stoccolma nel 1991.
- Il programma massimo o minimo che differenzia
i fini ultimi dalle politiche immediate, a breve. Es. Il manifesto
comunista di Marx ed Engels.
- Il programma di governo, cioè le "cose"
che si impegna a fare in caso di vittoria elettorale e quella
successiva. Oppure il programma di metà o di fine legislatura.
- Il programma di legislatura, intendendo il
periodo tra una tornata elettorale e quella successiva. Si parla
anche di programma di metà o di fine legislatura.
Il tempo:
Il programma a breve termine, a medio termine
o a lungo termine.
Per esempio il medio termine fu molto importante
per il PCI, che riusci in questo modo a superare una spinosa
diatriba interna tra rivoluzione e riforme, tra democrazia e
socialismo, sulla base di una concezione che può essere
definita di riformismo forte (almeno in politica interna). Gli
obiettivi intermedi arrivarono fino alla proposta, con Enrico
Berlinguer, degli elementi di socialismo, cioè di elementi
di ampia partecipazione democratica e di socializzazione, che
"tiravano" la democrazia fino ad anticipare il socialismo.
Lo spazio:
Il programma europeo, nazionale, regionale,
comunale ecc.
La dimensione europea acquista un rilievo sempre
maggiore, sul piano programmatico e su quello organizzativo,
come dimostrano le vicende attuali del P.P.E. e del P.S.E..
La prossima campagna elettorale, del 1999,
sarà la prima veramente europea.
Anche il programma regionale, se viene avviato
il federalismo avrà una dimensione del tutto nuova (anche
di revisione degli statuti regionali).
A chi si rivolge:
A dire il vero è difficile trovare programmi
che si rivolgono esclusivamente ad una sola categoria sociale.
Anche i partiti che si definiscono con una sola ragione soci'ale
(per es. partito dei pensionati o partiti ambientalisti ecc.)
pur dedicando nel programma maggiore spazio o addirittura spazio
prevalente al tema o istanza (issu) di cui intendono essere
portatori cercano di allargare il consenso anche ad altri settori
e ad altre materie. In questo caso il programma funziona se
tutto viene ricondotto al perno principale.
La tendenza principale oggi è quella
di comporre programmi che si rivolgono a tutti (così
come i partiti pigliatutto), sebbene si parta da ottiche diverse
e all'interno del tutto ci si rivolga in modo particolare ad
alcuni strati sociali, scelti per la collocazione produttiva
o per la situazione di reddito.
3. L 'anima del programma
Il programma per essere efficace deve avere
un'anima, cioè una ispirazione di fondo, che non è
solamente politica, ma soprattutto culturale.
L'organizzazione (o movimento) che esprime
il programma può contenere (e certamente contiene) varie
tendenze culturali al proprio interno. In singoli punti programmatici,
anche significativi, il programma può scegliere di lasciare
libertà di coscienza o esporre soluzioni alternative,
al fine di rispettare le diverse tendenze o sensibilità
o opinioni.
Il programma tuttavia deve avere un'anima culturale
comune.
Spesso si sente dire che i programmi politici
sono tutti uguali. Succede questo quando l'anima del programma
non è sufficientemente "marcata", netta.Ovviamente ci
può essere anche un vantaggio nel non sottolineare l'ispirazione
fondamentale (per es. nei partiti pigliatutto), ma non nelle
situazioni di crisi e di transizione da una fase politica all'altra.
Non è facile dire che cos'é l'anima
di un programma.
Un tempo era più facile perché
c'era l'ideologia che determinava l'appartenenza ad una organizzazione
o ad un movimento, la quale va al di là dei programmi.
I programmi erano l'attuazione delle ideologie.
Con la crisi delle ideologie oggi l'appartenenza
si è ridotta di molto.
Nè è sufficiente per darsi un'anima
sostenere alcuni valori di fondo invece che altri.
Norberto Bobbio, in un saggio diventato giustamente
famoso, sostiene che la sinistra (o meglio l'uomo di sinistra)
mette di più l'accento sul valore dell'eguaglianza rispetto
a quello della libertà. Altri (anche lo stesso Bobbio)
aggiungono che storicamente, da Rousseau in poi, la sinistra
si sia distinta dal liberalismo per avere affermato con maggiore
coerenza e fermezza i diritti democratici, da quelli politici
a quelli civili e sociali.
Ma come ognuno può comprendere si parla
di accenti, di sottolineature; non si può dire in modo
assoluto che la sinistra è per l'uguaglianza versus libertà,
o per la democrazia versus libertà. E viceversa per un
uomo di destra. A meno che si tratti di estremismi.
Il problema è il mix, cioè la
combinazione (o conciliazione) tra libertà, eguaglianza,
democrazia, solidarietà (o fraternità se si vuole
usare il termine della rivoluzione francese), combinazione,
che è sempre concreta, storicamente determinata e quindi
non è data una volta per tutte.
Per capire che cosa intendo dire basta confrontare
il programma del 1996 di "Forza Italia" e quello dell'Uiivo:
da una parte il bastone è piegato quasi completamente
dalla parte del liberismo (senza troppa indulgenza nei confronti
degli effetti sociali e umani), da parte dell'Ulivo invece si
cerca di trovare un nuovo compromesso sociale e istituzionale
in grado di favorire la libertà di ognuno e insieme la
solidarietà e una maggiore eguaglianza attraverso una
più equa distribuzione del reddito e del potere.
Nelle precedenti elezioni politiche, quella
del 1994, questa operazione non riuscì allo schieramento
progressista: la sinistra e il centro - il Partito Popolare
- si presentarono divisi.
I "Progressisti" inoltre si presentarono alle
elezioni senza un programma comune, ma soltanto con alcuni elementi
programmatici, tra l'altro generici e contraddittori e con una
immagine di schieramento di sinistra, non di centro sinistra
o di sinistra centro che invece caratterizzò l'Ulivo
nel 1996, portandolo alla vittoria.
In altre parole l'anima del programma dei "Progressisti"
o era insufficiente, o creava timore e non dava sufficienti
garanzie.
L'anima del programma può diventare
un simbolo, cioè la proposta politica si trasforma in
una forma di mitopoiesi a livello di massa per gli aderenti
all'organizzazione, in cui è prevalente il fattore emotivo
e passionale.
Ciò è accaduto non soltanto nel
passato. (La civiltà del lavoro, la classe operaia).
Il partito azienda di Berlusconi, laederistico
e plebiscitario, per certi versi è di questo tipo. Infatti
ha saputo raccogliere la spinta di quella imprenditoria di massa
o di popolo, moltiplicatasi nell'ultimo decennio, soprattutto
al Nord e nel Centro, che, al di là dell'individualismo
molto accentuato, sta cercando una rappresentanza politica.
L'azienda e il far da sè sono il simbolo.
Ma ancora di più lo è la Lega
Nord di Umberto Bossi, che fa del territorio e dell'etnia un
simbolo, la bandiera della indipendenza e della battaglia rivendicativa,
fino a sostenere la secessione.
4. La procedura
Il modo con cui il programma viene composto
e approvato, cioè la procedura, è assai importante.
Infatti dalla procedura dipende innanzitutto la democraticità
del programma. La partecipazione democratica ad esso è
garanzia di consenso di massa ed anche della sua attuazione.
Inoltre non va trascurato il fatto che la procedura
democratica contribuisce ad arricchimenti, miglioramenti e persino
correzioni sia nella forma che nella sostanza.
Va quindi scartata ogni procedura verticistica,
limitata a gruppi ristretti. Ci deve essere una proposta di
programma elaborata dal gruppo dirigente o da una apposita commissione,
ma la proposta deve essere sempre aperta al dibattito degli
iscritti e meglio ancora della società.
La procedura più utile potrebbe essere
la seguente: proposta della commissione di lavoro appositamente
formata, che si avvale di studi preliminari, sondaggi ad hoc,
ecc.; approvazione di massima della proposta da parte dell'organo
dirigente; discussione nelle organizzazioni di base, aperte
alla società e richiesta di contributi esterni; approvazione
del programma definitivo in un congresso o in una convenzione
programmatica appositamente convocata.
Questa procedura può durare anche alcuni
mesi se si vogliono coinvolgere ampi settori della società
e il territorio nel suo complesso.
Per es. il programma del nuovo Labour party
inglese è stato elaborato in alcuni anni.
5. La forma
La forma del programma deve essere la più
sintetica e breve possibile. Nello stesso tempo deve essere
molto chiara, addirittura elementare sia nell'uso delle parole
(no ai termini stranieri) sia nei concetti. Il messaggio deve
essere capito da tutti e in modo immediato. Se dovessi usare
un sostantivo per indicare la forma ottimale del programma è
la leggerezza cos' come è stata descritta da Italo Calvino
nelle "Lezioni americane".
Il programma inoltre deve essere concreto e
realistico. Il che - è ovvio - non significa senza respiro
e nemmeno senza l'afflato utopistico che spesso serve a dare
più incisività e concretezza alle proposte.
Non deve essere specialmente un programma minestrone,
in cui c'è dentro tutto, ma senza sapore.
La forma più consigliabile è
quello di un programma in tre parti:
a. Le grandi opzioni, in cui si illustrano
a grandi linee le scelte di fondo che si intendono fare (per
es. Centro sinistra o centro destra; i grandi obbiettivi: Europa,
Federalismo, Occupazione, Mezzogiorno e così via ecc.)
b. Le proposte che si considerano fondamentali.
c. Le schede su punti particolari che si ritengono
rilevanti, anche se settoriali.
6. L'iniziativa politica
Il programma per quanto buono non è
sufficiente.
Per es. il programma del PDS del 1994 fu giudicato
da alcuni esperti professori di Università scelti da
"Il Sole 24 Ore", il migliore della campagna elettorale, ma
come è noto il PDS ebbe un esito, sebbene discreto, insoddisfacente
sia come partito che come schieramento dei progressisti.
Determinante è quella che si può
definire l'iniziativa politica, cioè il modo con cui
si cala il programma nella realtà e nella situazione
concreta.L'iniziativa politica dipende dalla leadership, dalla
capacità di questa di saper cogliere l'occasione giusta,
di capire i termini del confronto, di mettere in rilievo l'uno
o l'altro elemento del programma.
Il programma è tanto più credibile
quanto la leadership è affidabile, cioè gode di
fiducia e di prestigio.
Contenuti e alleanze, qual'è il prius?
Non esiste, a mio parere, una regola generale, dipende dalla
situazione. Talvolta è opportuno adeguare i contenuti
programmatici alla coalizione, in altri casi è preferibile
rimarcare i contenuti. Tenere però conto sempre che nelle
elezioni decisivo è il rapporto con il centro e che "il
regime democratico presuppone l'accettazione di una ideologia
moderata e al massimo riformista" (Bobbio) poiché la
sua regola aurea di funzionamento è la maggioranza o
meglio il principio maggioritario.
Attualmente nel centro-destra, soprattutto
tramite l'iniziativa di Francesco Cossiga, è in atto
un tentativo di spostare al centro la leadership, ridimensionando
Fini e Alleanza Nazionale, e forse lo stesso Berlusconi. E difficile
prevedere se questa manovra - che ha peraltro il sostegno di
ambienti internazioali (ingresso di Forza Italia nel PPE) avrà
esito positivo, ma è indubbio che crea problemi all'Ulivo.
7. Il programma oggi e l'Ulivo
Il programma è particolarmente importante
oggi.
La crisi delle ideologie e del voto di appartenenza,
come abbiamo visto, "carica" di compiti, ancora maggiori rispetto
al passato, il programma: di unità e di coesione dell'organizzazione,
addirittura di identità della stessa.
La fase che si sta attraversando (transizione
dalla prima alla seconda Repubblica) complica ulteriormente
le cose o, se si vuole, rende ancora più interessanti
e corposi i programmi. Mentre per circa cinquant'anni la revisione
della Costituzione è stata un tabù (si poneva
la questione della sua applicazione o al massimo la modifica
di punti molto specifici) oggi il tema principe è proprio
questo.
Su questo tema c'é il massimo di divisione,
come dimostra il fallimento della Bicamerale.
Del resto il mutamento è radicale. Si
tratta di passare da un sistema rappresentativo proporzionale,
ad un sistema maggioritario bipolare; da un sistema politico
in cui gli elettori votavano i singoli partiti, i quali decidevano
le alleanze di governo, ad una investitura diretta, da parte
dei cittadini, della coalizione di governo, e quindi anche della
scelta del programma che sostiene quella maggioranza, e addirittura
del premier indicato a presiedere tale schieramento e a realizzare
tale programma.
Si tratta inoltre di passare ad una nuova forma
di Stato (il federalismo innanzitutto) e ad un nuovo equilibrio
di poteri, sia di quelli centrali sia di quelli periferici.
Infine c'è l'Europa, con tutte le novità
che la sua accelerazione ha comportato e comporta; e con tutti
i problemi per l'ltalia: lavoro, Mezzogiorno, pubblica amministrazione
ecc.
La posta in gioco programmatica è quindi
molto elevata.
Il sistema bipolare pone una ulteriore questione:
il rapporto tra il programma della coalizione e il programma
del partito o movimento che aderisce a quella coalizione.
Finora tale problema è stato risolto
pragmaticamente: considerando l'Ulivo una alleanza non soltanto
elettorale, ma strategica (quindi, se ie parole hanno un senso,
al di là della legislatura; rinunciando ad una parte
di sovranità da parte dei partiti che ne fanno parte;
dando vita a momenti e a coordinamenti unitari tra le componenti.
E' indubbio tuttavia che questa soluzione non
evita i rischi di instabilità e le tentazioni al divorzio
della coalizione; o di paralisi che si verifica quando le componenti
tirano in direzione opposta o pensano a rafforzare solo se stesse,
mettendo steccati artificiali e spesso anche artificiosi.
I recenti risultati nelle elezioni amministrative
- negativi - devono essere un campanello di allarme. Programmi
e candidature, nelle città e nelle province, devono essere
il frutto di un lavoro di coalizione non del momento, ma di
lunga lena.
A mio avviso l'Ulivo deve compiere un passo
in avanti, per lo meno in quattro direzioni:
a) procedere alla verifica di metà legislatura
(a medio termine direbbero negli USA) del programma realizzato
dall'Ulivo attraverso una apposita Convenzione programmatica);
b) approvare la carta costituente organizzativa
che preveda organismi unitari dell'Ulivo a livello di regione
e nazionali (e forse anche di collegio elettorale) al fine di
procedere sempre più verso una sorta di raggruppamento
federato (con regole precise e un vero e proprio statuto) delle
varie forze poitiche che ne fanno parte;
c) darsi alcune regole per la scelta democratica delle candidature,
a partire da quelle in cui è prevista l'elezione o l'investitura
diretta;
d) a livello locale, e soprattutto regionale, non essere la
fotocopia dell'Ulivo nazionale, ma "territorializzarsi", avere
cioè una spiccata e autonoma caratterizzazione territoriale;
al fine di avere un consenso di massa e di evitare e sconfiggere
le tendenze localistiche e centrifughe.