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Dieci idee per L'Ulivo


Corriere della Sera - Lunedì 10 Marzo
LA NOTTE DEL GIULIVO ULIVO
di GIANANTONIO STELLA

"Miira il tuo popolo / o bella signoooora!". E Umberto Eco spalancava le braccia come Von Karajan invocando la maestosità del coro: "Che pien di giubilo / oggi ti onora!" Cadaveri di bottiglie di vino sparsi per i tavoli, bicchieri svuotati fino all’ultima goccia, nasi arrossati, pacche sulle spalle... "E adesso quale?" Un bel respiro e via tutti insieme a intonare la prossima. "Morti di Reggio Emilia uscite dalla fossa I fuori a cantar con noi "Bandiera rossa". Tutti insieme, quelli cresciuti tra i trotzkisti come Pierluigi Bersani e quelle tirate su dalle dorotee come la Tina Anselmi, quelli che andavano alle novene e quelli che si allacciavano al collo il fazzoletto rosso da giovani pionieri. E in mezzo, entusiasta tra gli entusiasti, Romano Prodi che faceva la ola con Flavia ondeggiando felice sotto la guida ritmica di Piero Fassino, il watusso piemonteis che disegnava ispiratissimo nell’aria grandi spirali con le sue braccia da tiramolla. Eccolo, finalmente, l’Ulivo tanto sognato.

La sintesi culturale dell’universo cattolico, laico e di sinistra, la transustanziazione degli antichi conflitti nella novella fratellanza, la protezione storica di Don Camillo e Peppone! Tutti in coro, postcomunisti come Petruccioli, post democristiani come Castagnetti, post socialisti) come Bassanini, postinglesi come Tana de Zulueta, postgiornalisti come Rognoni e post-chitarristi come Omar Calabrese, che oggi fa il semiologo e il coordinatore dell’Ulivo ma in gioventù si dilettava nei giri in bemolle. Un caravanserraglio di post al quale non si sottraeva il ministro delle Poste, Maccanico. L’unico a non lamentarsi del sovraccarico di decibel e il primo a congratularsi, nel discorso ufficiale, per l’atmosfera conviviale. Atto costitutivo, sotto il profilo emotivo, del giulivo Ulivo.

Erano le undici e mezzo di sabato sera e nel salone del castello di Gargonza, il magnifico maniero sui colli di Monte San Savino scelto dagli ulivisti per l’incontro ravvicinato tra intellettuali e politici (chiuso il giorno dopo da questa estrosa battuta di Franco Marini: Gli abbiamo detto: bravi, continuate cosi, ci vuole un collegamento con la società. Basta che poi la politica ce la fate fare a noi) l’atmosfera era proprio quella giusta. Un Chianti giovanetto e un vivace moscatello, irrorando nel contempo quel fior fior di cervelli, avevano aiutato gli stomaci degli illustri ospiti a digerire tutto: la porchetta, i funghi la filippica di D’Alema contro quegli acchiappanuvole che sognano di liberarsi dei partiti tradizionali e perfino una dottissima disputa su un tema che da secoli, dopo la disfida oratoria tra Fra’ Bartolomeo de Las Casas e Juan Gines de Sepulveda sull’anima degli indios, dilania nel dubbio le masse planetarie: Guicciardini era un politico o un politologo?

A dare il via ai cori, subito dopo l’amaro, era stato il tavolo ministeriale: Paolo Costa, Gianni Mattioli, Giancarlo Lombardi e soprattutto Pierluigi Bersani, il ministro dell’industria che, melomane incallito e dotato da madre natura di un’ugola d’oro, si era già distinto in passato per aver risposto alla domanda di un giornalista intonando una romanza: "Gravi enormi ed imponenti col mister dei chiusi enigmi / già s’avanzano i sapienti....". Canzoni di montagna, vecchie arie da Belle Epoque e su su, in un progressivo coinvolgimento di voci, prima fra tutte quelle di Prodi e signora, fino a una struggente "Maremma amara". Ma al tavolo vicino c’erano Umberto Eco e Gianni Vattimo. Due capoccioni cosi capoccioni da potersi permettere di saltare" da Ruskin all ‘ Osteria numero uno", da Metastasio alle barzellette sui carabinieri. Narra la leggenda che i due, partiti con azioni di disturbo verso i ministeriali tipo "Sciur parun da le Bele braghe bianche / fora le palanche, fora le palanche", si siano avventurati verve lidi canori sempre più goliardici. Fino a unire i tavoli per l’interminabile cantata finale. Sempre più entusiastica, sempre più unanimistica. E se son pallidoooo i come ‘na strassaaaa / Vinassa, vinassa e fiaschi de vin!".

Ma ahimè, nulla e più fuggevole degli attimi di felicita. E così, guadagnata la camera per la meritata requie mentre già Eco e Vattimo erano lanciati sul pecoreccio stile "Con sta pioggia e con ‘sto vento chi e che bussa a ‘sto convento / Una povera verginella che si vuole confessare". Romano Prodi e stato risvegliato dalle solite grane: le polemiche sull’Ulivo, gli attacchi di Giorgio Fossa, gli altolà di Cesare Romiti, le minacce dei sindacati... Oh, mamma! E in più di un’intervista di Bertinotti pronto a prefigurargli la fine entro sei mesi. Non ha fatto una piega. E ha deciso di tirar dritto seguendo la sua strategia preferita. Quella del pompiere. L’intervista di Bertinotti? " Ho letto... Tuttavia... Nel contesto...". Preoccupato? " No... Preoccupato no, ci mancherebbe...". Cosa pensa dell’intervento di D’Alema cosi duro verso chi punta troppo sull’Ulivo? " Ma no, non è cosi... L’ho sentito... Siamo d’accordo...". Ma se lo stesso Fabio Mussi ha risposto un po’ piccato al suo segretario? " Oh, beh... A me non pare...". Un giorno disse: "Io un fra’ Giocondo? Meglio fra’ Giocondo che fra’ Incazzoso". Certo che trovarsi a dover mediare perfino tra le due anime baffute pidiessine...


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