Corriere
della Sera - Domenica
9 Marzo 1997
L'INTERVISTA
«Cominciai con un'inserzione sul Times nel '72.
Poi tre miliardi di investimento
e ho fatto rivivere un borgo ricco di storia»
Il conte Guicciardini: questo mio castello è sempre stato in
terra di nessuno
Felice Saulino
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
GARGONZA (Arezzo) - Sorride soddisfatto Roberto Guicciardini,
Corsi, Salviati,
discendente di Francesco ed erede dei marchesi Corsi. Soddisfatto
per la pubblicità che il
suo borgo-castello-residence sta ricevendo dal seminario dell'Ulivo.
Di cui si occupano ormai
da una settimana tutti i giornali e telegiornali. «Quanto vale
tutto questo? Anche se sono un
imprenditore turistico, non riesco proprio ad immaginarlo»,
dice con l'aplomb che solo un
nobile del suo lignaggio riesce ad avere. Fiorentino, 75 anni
e cinque figli, due lustri di lavoro
all'estero, il conte decise di salvare dall'incuria e dalla
rovina il castello di famiglia all'inizio
degli anni '70. «Incominciai con un'inserzione sul Times di
Londra, nel 1972».
E adesso?
«Venticinque appartamenti da due a sette posti letto. Con una
formula, "abitare la storia", che
poi è anche il nome che abbiamo dato all'associazione senza
fini di lucro dei proprietari di
dimore storiche. Il nostro scopo? Dare ospitalità in un modo
degno. Le pietre parlano, e non
lo dico per superstizione, ma per convinzione».
A proposito di superstizione, qualcuno ha ricordato che Dante
venne a Gargonza ma
poi non riuscì più a tornare a Firenze.
«Se fosse rientrato a Firenze, forse non avrebbe scritto la
Divina Commedia. Comunque,
Gargonza - al confine tra Arezzo, Siena e Firenze - è sempre
stata terra di esuli, terra di
confine, terra di nessuno...».
Come l'Ulivo?
«Credo che un anno e mezzo fa l'Ulivo sia stata la risposta
giusta ai problemi del Paese».
E adesso?
«Mi sembra che ora stia attraversando il momento più delicato,
quello della sua massima
prova».
Ma lei è ulivista o no?
«Io sono un imprenditore. Guardo al profitto, anche se l'ho
sempre condizionato all'amore.
Ho creato Gargonza, per salvare un bene di famiglia, ma ho fatto
anche rivivere un borgo
ricco di storia e di memoria».
Con chi ha parlato oggi: con Prodi, con Veltroni o con D'Alema?
«Con nessuno. Loro dovevano lavorare e io mi dovevo limitare
a curare il soggiorno, a fare il
mio dovere di ospite».
E al seminario, che cosa avrebbe chiesto?
«Come imprenditore, avrei chiesto ai rappresentanti del governo
di occuparsi un po' più del
turismo di qualità. E di incentivi, per carità, solo un po'
di attenzione. Meno burocrazia, meno
vincoli fiscali... Potrebbe creare tanta occupazione, sa?».
Quanta?
«Io, con tre miliardi di investimento, ho creato una massa salariale
di oltre 300 milioni l'anno.
E se avessi potuto...».
Vada avanti.
«No. No. Volevo parlare di mercato del lavoro, ma quella è la
flessibilità di D'Alema».
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