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Dieci idee per L'Ulivo


Corriere della Sera - Domenica 9 Marzo 1997
LA POLEMICA
Il semiologo: un sistema a rete non più a piramide
Felice Saulino

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

GARGONZA - E alla fine del primo giorno di conclave ulivista, Umberto Eco minacciò di
levare il cappello, di togliere l'ingombro, di abbandonare il «pensatoio» di Gargonza. È
accaduto ieri sera, dopo l'intervento di Massimo D'Alema. Un vero e proprio incidente, un
moto di rabbia, un'esplosione a sorpresa. Secondo le indiscrezioni filtrate dal castello, il
professore bolognese ha parlato fuori dai denti: «Ero venuto qui perché mi avevano detto che
si discuteva su dieci idee per l'Ulivo. Mi interessava dare un contributo. Poi, però, con
l'intervento di D'Alema, ho dovuto constatare che il tema è cambiato. Adesso si discute se
l'Ulivo debba diventare o no un partito. Ditemi se anche domani il tema sarà questo, perché a
me non interessa... e mi regolerò...».

Strana, stranissima giornata quella di ieri per l'autore de «Il nome della rosa». La qualificata
platea di Gargonza lo aveva acclamato come guru indiscusso. Politici e intellettuali avevano
ascoltato in riverente silenzio il suo intervento sul potere e sulle sue modalità di gestione. E tra
i più attenti veniva segnalato proprio il «líder Máximo». Un D'Alema che prendeva
diligentemente appunti in prima fila. Cosicché, alla fine, tutti osannavano la relazione di Eco,
come eccellente prodotto della spremitura del frantoio ulivista. Una grande lezione sul
modello di Stato, che deve passare dal potere a piramide a quello a rete. Governare a rete -
spiegava il professore - è comunque molto più difficile, perché significa delegare e
decentrare. Questo non consente più di controllare tutto e tutti. Il potere a rete, a differenza
di quello centrale, non può rispondere di tutto. Siamo già nella rete? In parte sì - ha sostenuto
il semiologo - e ha fatto l'esempio di una recente trasmissione televisiva. Dove Cesare Salvi
s'è trovato improvvisamente in difficoltà, perché attaccato da un disoccupato. Morale: Salvi
era imbarazzato, perché non sapeva rispondere al caso specifico. Questo dimostra che «un
potere centrale, in un sistema a rete, non può rispondere di tutto».

L'Eco presentatosi nel pomeriggio ai giornalisti non sembrava a proprio agio nel ruolo che
qualcuno gli voleva cucire addosso. Nella parte di consulente, di chierico, di intellettuale
ulivista. Di aver detto, subito dopo la vittoria elettorale di Berlusconi e del Polo: «Mi
vergogno di essere italiano». E negava, naturalmente, anche di essere tornato orgoglioso della
nazione che gli ha dato i natali solo dopo il successo ulivista. Ieri, Eco tendeva a distinguere.
Molto: «L'Ulivo non è un partito... mi pare ragionevole che, in questa fase, alcuni intellettuali
siano stati invitati a dire la loro su temi di non immediata cucina politica».

Ma già si avvertiva anche qualche insofferenza per l'andamento dei lavori: «Sono i politici che
effondono... sta avvenendo un confronto in cui nessuno dà voti». E così, alla fine, il
professore non ha resistito alla tentazione di dare il voto al «líder Máximo» in persona. E lo
ha bocciato.


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