Corriere
della Sera - Domenica
9 Marzo 1997
Seminario di Gargonza: lite D'Alema-Veltroni
E PER NON ISOLARSI L'ULIVO SI BARRICA
di GIAN ANTONIO STELLA
E il ponte
levatoio? Niente ponte levatoio? E come risposta alla provocazione
quello
allarga le braccia, l'altro sospira, l'altro leva le pupille
al cielo come Sant'Agnese nei
santini: «Oh, Signore, quanta pazienza...». E ti spiegano tutti
che, per carità, massimo
rispetto, la libertà di stampa, il dovere d'informazione e bla
bla bla però... Però,
ragazzi, questa è una cosa seria. Ed è un bene che giornalisti,
operatori, fotografi,
telecronisti se ne stiano finalmente al loro posto. A cuccia.
Dice Omar Calabrese,
semiologo, ballerino di rock e coordinatore dei Comitati per
l'Ulivo: «Abbiamo
preferito tener le porte chiuse perché volevamo discutere di
grandi temi in libertà,
senza cedimenti al divismo». Sbuca una mano con microfono: professore,
posso farle
due domande per Telepannocchia? «Arrivo...».
Tana De Zulueta, già corrispondente dell'Economist e oggi senatrice
ulivista, incaricata
di gettare qualche tozzo di notizia all'affamata plebaglia giornalistica,
racconta:
«Quale può essere il contributo degli intellettuali? Ecco il
tema. Si tratta di trovare
nuovi canali di comunicazione». Per cosa? Per superare «l'idea
dell'intellettuale che si
isola per pensare». Peccato che non fossero disponibili il grandioso
maniero di
Carcassonne, i monasteri fortificati delle Meteore o il Crak
dei Cavalieri in Siria:
avendo resistito ai musulmani avrebbe dignitosamente retto anche
all'assalto di quelle
che Massimo D'Alema chiama simpaticamente le «jene dattilografe».
Amen.
Per rompere l'isolamento degli intellettuali con la politica
e la società, tuttavia, questo
castello di Gargonza dove per la prima volta Dante in esilio
assaggiò «come sa di sale
lo pane altrui e come è duro calle lo scendere e 'l salir l'altrui
scale», va bene lo stesso.
Democraticamente privo di fossato, è comunque inespugnabile
alla stampa. Raus,
come diceva il Bossi attirandosi le saette dei difensori «liberal»
dell'informazione.
Unica eccezione, la fotografa Enrica Scalfari (indovina indovinello:
figlia di chi?),
chiamata a immortalare in esclusiva Manzella e Bordon e Petruccioli
come il
Velázquez, con la benevolenza di Filippo IV, immortalava l'Infanta
di Spagna. Romano
Prodi, vecchio volpone dicì, annusa l'aria e manda subito all'esterno
un messaggio di
garbato dissenso: «Non vorrei dessimo l'impressione di una cosa
chic».
Ma chi c'è? Centoventi persone, risponde Marina Magistrelli,
designata a portasilenzi e
biondo avvocato di Ali Agca: 70 politici e 50 intellettuali.
Venuti a «verificare le
compatibilità culturali che devono diventare compatibilità politiche».
Ma come sono
stati scelti gli invitati? Per non fare dispetti a nessuno con
la creazione di «politici di
serie A» e «politici di serie B», spiega uno degli organizzatori
che pare uscito dritto
dritto da uno di quei convegni che la sinistra dc organizzava
a Lavarone tra abbuffate
di polenta e di Maritain, sono stati invitati i ministri, i
sottosegretari, i segretari di
partito, i capigruppo della maggioranza...
E gli intellettuali? «Abbiamo deciso di non dare la lista degli
invitati». Ma in base a
che criterio sono stati scelti? Appartenenza all'Ulivo? Simpatia
per la sinistra?
Appoggio al governo? Marina Magistrelli scarta di lato: «La
prossima volta vorrà dire
che cercheremo di allargare, viste le polemiche, gli inviti
agli intellettuali. Intendiamo
mantenere un contatto diretto con chi si è guadagnato sul campo
questo nome». Ma
perché Maurizio Costanzo sì e Alberto Asor Rosa no? Perché don
Mazzi sì e Mario
Tronti no? E Valentino Parlato, che a Gargonza ha dovuto metaforicamente
inviare
un piccione viaggiatore metaforicamene messo allo spiedo? Non
si erano guadagnati
sul campo l'ambita targhetta? Uffa, sbotta alla fine esausto
Omar Calabrese, «chi c'è,
chi non c'è, che senso c'è? Insomma, scrivete che gli inviti
li ha fatti Omar Calabrese».
Una cosa è certa, nessuno si è sognato di venire qui a Gargonza
a urlare ai politici
l'invettiva carducciana: «Voi... piccioletti ladruncoli bastardi!».
Ci mancherebbe. Ma a
parte qualche bacchettata di Paolo Flores d'Arcais («tante volte
è stato detto da tutti,
D'Alema e Veltroni compresi, che le critiche erano "auspicate".
Ma quando arrivano
spesso non vengono tollerate e vengono tacciate come "non
costruttive" o
"offensive": ad ascoltare gli elogi siamo buoni tutti»)
pare che il convegno, di queste
benedette «critiche costruttive» sia rimasto a secco. Pare:
perché la cronaca è affidata
al via vai di convenuti che, evadendo dal dotto cenacolo, vengono
fuori a concedersi
per due battute alla tivù e agli striminziti riassuntini forniti
dagli stessi partecipanti.
Riassuntini con frasi tipo «il professore ha rammentato la differenza
tra coalizione,
unirsi insieme dal latino coalescere, e alleanza, dal latino
alligare la seconda». Oppure
«egli ha sottolineato come la principale ragione della due giorni
di Gargonza sia quella
di favorire un forte tasso di innovazione ed innovazione». Pillole
culturali così
sintetiche da stramazzare sotto le ripetizioni e il pessimo
stile, così succinte da far
sembrare anche le tesi di Umberto Eco come uno stralunato videogioco
intellettuale:
«Non si pensi solo al Web, ma al concetto astratto di rete come
interconnessione di
nodi fondamentalmente arcaica ma che si riequilibra continuamente
attraverso una
distribuzione di pesi».
L'autore de Il nome della rosa, oggi, potrebbe sbattere la porta.
Non gli è piaciuto che,
dopo ore a parlare di «utopia e disincanto», «desiderio e limiti»,
D'Alema abbia
affrontanto il tema della trasformazione dell'Ulivo in partito:
«Fatemi sapere se
domani si parla di queste cose che non mi interessano. Così
mi regolo». Comunque sia,
vista l'aria c'è da scommettere che finirà come nella poesia
che Trilussa dedicò a una
litigiosa famigliola di accaniti appassionati di politica: «Prima
de cena liticamo spesso
/ pe' via de 'sti principi benedetti / chi vò qua, chi vò là...
pare un congresso! / Famo
l'ira de Dio! Ma appena mamma / ce dice che so' cotti li spaghetti
/ semo tutti
d'accordo ner programma».
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