Anche per quanto riguarda la vicenda di questo nostro Comitato
(che si incontra oggi per la quarta volta) possiamo dire infatti
che si ripete puntualmente la tradizione che è propria
dell’Ulivo, quella cioè di una vicenda che si consolida
man mano, ma con continuità e coerenza interna.
E dunque oggi, introducendo questa nostra riunione, io non
posso che richiamare alcune delle cose che ho detto già
nella nostra prima riunione del 21 aprile.
Inaugurando allora questo Comitato io ho detto che la istituzione
stessa di questo organo dimostra che la nostra esperienza è
man mano andata consolidandosi nel tempo.
L’Ulivo, nato come progetto politico e come coalizione di forze
e di tradizioni diverse, strettamente legato al proprio programma
e al patto contratto con i cittadini e con gli elettori, è
cresciuto giorno dopo giorno, nell’esperienza di governo e nelle
vicende parlamentari.
Un patto che noi abbiamo rispettato sempre in questi anni,
così come facciamo anche oggi nel momento in cui, restituendo
come promesso l’eurotassa, dimostriamo con i fatti che siamo
gente di parola.
La forza stessa dell’esperienza di governo che tutti insieme
abbiamo saputo sviluppare in questi anni ha innanzitutto condotto
a rafforzare un rapporto di coalizione sempre più stretto
tutte le forze che avevano dato vita all'Alleanza di Governo.
L'Alleanza dell'Ulivo dunque è cresciuta, si è
ampliata, si è rafforzata.
Si è rafforzata conquistando alle sue ragioni nuovi consensi
e contributi nel Parlamento e nel Paese. Essa ha reso più
ampi i propri confini, riuscendo a proporsi, grazie a questo
più stretto rapporto fra tutti noi, come un centro di
iniziativa politica più forte e più rappresentativo
del nostro elettorato.
Il mutamento di quadro politico che grazie a noi si è
verificato nel Paese non consiste però solo nel fatto
che l’alleanza elettorale si è consolidata ed estesa
fino a diventare un soggetto politico nel quale tutte le componenti
di quell’alleanza oggi si riconoscono a pieno titolo.
Siedono qui con noi, membri a pieno titolo di questo Comitato,
amiche e amici che rappresentano il complesso e articolato mondo
delle autonomie.
Essi sono espressione della capacità che l’Ulivo ha avuto
in questi anni di radicarsi a livello regionale e locale.
Sono cioè la concreta dimostrazione della capacità
dell’Ulivo di trovare non solo nella dimensione nazionale ma
anche in quella delle regioni, delle province e delle città
un modo originale e forte di essere presente e di costituire
per gli italiani un forte punto di riferimento.
La presenza in questo Comitato dei nostri amministratori regionali
e locali è anche la precisa volontà di evidenziare
e consolidare un ulteriore e importantissimo aspetto della nostra
vicenda.
Quello cioè di un Movimento che è nato fra la
gente ma è poi diventato, giorno dopo giorno, prima nella
battaglia elettorale, poi, nell’azione quotidiana di governo
e infine nella sua presenza operativa nel governo locale, un
soggetto politico e un elemento forte di cambiamento del Paese.
Vi è infine un terzo aspetto che mi sembra assolutamente
importante sottolineare.
Operando concretamente con l’attività quotidiana di
governo e con la nostra presenza in Parlamento non ci siamo
limitati a consolidare l’Ulivo e a trasformare un’alleanza elettorale
in una coalizione che è anche, come questo nostro Comitato
dimostra, un fatto politico.
Siamo riusciti anche a consolidare la stessa maggioranza parlamentare
che sostiene il Governo.
Alla prova dei fatti, nel confronto sul programma di governo
e sulle cose che man mano abbiamo proposto e fatto, lo stesso
rapporto con il partito di Rifondazione comunista è cambiato.
Lo stesso dibattito interno che impegna in questi giorni gli
amici di Rifondazione Comunista, dibattito al quale guardiamo
con rispetto e nel quale non intendiamo interferire, é
la prova della crescita di questo rapporto.
Della necessità, cioè, di riconoscere il significato
politico dell'azione svolta in questi anni e di assicurare il
necessario sostegno politico.
Questo è dunque un primo bilancio che noi possiamo e
dobbiamo fare.
E’ un bilancio prima di tutto politico, che ci dice la crescita
e il consolidamento politico che la nostra esperienza ha avuto
in questi anni. Ed è proprio questo, del resto, che ci
ha spinto, come già ho ricordato appunto nella prima
seduta del 21 aprile a dare vita a questa nostra assemblea.
Di qui dobbiamo partire e a partire di qui dobbiamo sviluppare
la nostra analisi.
Io credo che la ragione principale che giustifica i fenomeni
che ho richiamati stia proprio nel metodo di azione politica
e operativa che fin dall’origine della nostra esperienza e ancor
più nel corso di questi anni di governo abbiamo sempre
seguito.
Noi abbiamo sempre legato la nostra stessa identità
al nostro programma.
Questa è stata in primo luogo la grande originalità
e la grande forza che ci ha consentito di nascere e di crescere
fino alla vittoria elettorale.
Ma questa è stata anche la nostra forza nell’attività
di governo.
Come l’Ulivo, anche il governo dell’Ulivo ha fin dall’inizio
legato tutte le sue sorti al proprio programma.
Un programma che ovviamente nasceva dal programma elettorale
e dal patto contratto con i cittadini ma che era anche un programma
di governo.
Con quel programma noi tracciammo le linee di un progetto riformatore
ampio e ambizioso, destinato a durare l’intera legislatura.
L’obiettivo di quel programma era rinnovare e risanare il Paese
e dotarlo delle strutture e delle innovazioni necessarie a reggere
il confronto con le altre nazioni.
Tre essenzialmente erano le tappe attraverso le quali questo
obiettivo poteva e può essere raggiunto.
La prima tappa era ovviamente risanare i conti pubblici e mettere
il Paese in condizione di entrare a far parte fin dal primo
turno della moneta unica europea.
Questo obbiettivo è stato raggiunto, con sacrifici certo
ma anche con un'equità che ha assicurato grande concordanza
di intenti da parte di tutta la maggioranza, e vorrei dire,
da parte di tutti gli italiani.
La seconda tappa era quella di delineare un ampio processo
riformatore che colmasse nei settori strategici per il Paese
il grande ritardo che il Paese aveva accumulato.
Mi riferisco ovviamente innanzitutto alle strutture portanti
dello Stato, a partire dalla sua struttura amministrativa per
giungere fino alla scuola e alla giustizia.
La terza tappa era ed è quella di consolidare le prime
due, di dare all’azione svolta stabilità, continuità,
compimento.
Quando noi abbiamo detto fin dall’inizio e ripetiamo anche
ora che il nostro programma era ed è un programma di
legislatura, vogliamo indicare un carattere davvero importante
e "strutturale" della nostra esperienza politica e del modo
col quale abbiamo operato finora e intendiamo operare anche
in futuro.
Costruire un programma di legislatura significa infatti darsi
un arco temporale preciso e definito. Un arco temporale che
consente non solo di avviare un’azione di governo ma di portarla
a conclusione.
Noi abbiamo fin dall’inizio detto che il nostro programma era
tarato sull’arco temporale dei cinque anni della legislatura,
volendo con ciò dire che per portarlo a compimento e
per raggiungere l’obiettivo del risanamento del Paese e del
suo ammodernamento noi ritenevamo necessario questo arco temporale
e che sui risultati che in questo arco temporale sarebbero stati
raggiunti avrebbe dovuto essere misurato il nostro successo
o il nostro fallimento.
In questa prospettiva, che è la sola prospettiva possibile
per l’Ulivo, il successo o il fallimento non è e non
sarebbe soltanto il successo o il fallimento di un governo ma
di una intera esperienza politica.
E questo vale anche per tutti coloro che hanno sostenuto e
sostengono il nostro governo.
Proprio perché il governo è un governo di programma
e di un programma delineato per tutta la legislatura anche l’impegno
assunto dalla maggioranza parlamentare deve essere collocato
dentro questo arco temporale.
Il che ovviamente non significa pretendere di irrigidire in
un busto di gesso il dibattito politico. Non significa in alcun
modo negare che ogni componente della maggioranza abbia non
solo il diritto ma anche il dovere di partecipare attivamente
e costantemente alla verifica dell’azione di governo e possa
essere verso il governo nella posizione di chi mentre lo sostiene
lo stimola e lo spinge ad operare in modo sempre più
incisivo.
Vorrei riuscire a essere chiaro.
Io penso che la grande novità della nostra esperienza
politica sia proprio nel fatto di aver legato la nostra identità,
sia come soggetto politico che come Governo, alla dimensione
del programma, e di un programma articolato su un periodo temporale
definito.
E’ in questo infatti che sta un aspetto essenziale e pregiudiziale
a ogni innovazione e a ogni risanamento del Paese.
La capacità cioè di operare come le altre grandi
democrazie europee secondo una prospettiva di stabilità
e di certezza.
Stabilità e certezza che sono strettamente legate a due
aspetti precisi: dire con chiarezza cosa si vuole fare, secondo
quali modalità e con quali tempi.
Del resto fare un programma non significa, anche nella nostra
esperienza quotidiana e familiare, indicare solo obiettivi ma
anche definire modi e tempi.
Ecco, questo è esattamente quello che noi abbiamo fatto
fin dall’inizio della nostra esperienza.
Questo è il modo e il metodo sul quale fin dall’inizio
abbiamo chiesto il consenso del Parlamento.
Questo è, io credo, l’elemento essenziale non solo del
patto costitutivo dell’Ulivo ma anche del rapporto che si è
instaurato fra il governo e la sua maggioranza parlamentare.
Noi dobbiamo tener dunque ben fermo il nostro timone e diritta
la rotta.
L’azione fin qui condotta, infatti, consente di dire che siano
rimasti fedeli agli impegni presi e che sono state poste tutte
le premesse e tutte le condizioni affinché il progetto
fatto possa trovare a fine legislatura pieno compimento.
Il raggiungimento del risanamento economico del Paese e la
nostra entrata nella moneta unica hanno realizzato infatti le
condizioni essenziali perché il nostro progetto possa
andare avanti. E la ritrovata e crescente credibilità
internazionale del nostro Paese ci dice che la via intrapresa
è giusta ed apprezzata anche dagli altri Paesi.
Si stanno ricreando le condizioni per una ripresa degli investimenti
e dell’occupazione i cui effetti si vedranno con sempre maggiore
evidenza nell’arco temporale che ci siamo assegnati, consentendo
di dare al gravissimo problema dell’occupazione una risposta
strutturale e quindi duratura.
Negli scorsi due anni e mezzo abbiamo prodotto un grande sforzo
per disegnare un ambizioso ma essenziale piano di riforme strutturali.
Dalla Pubblica Amministrazione al Fisco, dalla Scuola alla
Giustizia, dal Mercato del lavoro all’Agricoltura , dalla Sanità
allo Stato sociale, dal sistema di tutela dell’ordine pubblico
alla definizione di una strategia articolata ma efficace per
affrontare il grande fenomeno del rapporto fra l’Europa e i
tanti che alla nostre frontiere chiedono di entrare per trovare
maggiore fortuna, tutti i settori di maggiore importanza per
il nostro Paese sono stati in quei due anni affrontati e per
ognuno di essi abbiamo fatto proposte e disegnato grandi strategie
riformatrici.
Ora si tratta di portare a compimento questa grande mole di
innovazioni.
Si potrebbe dire che il disegno è ora sostanzialmente
compiuto e laddove mancano ancora alcuni tasselli solo di tasselli
appunto si tratta.
L’impegno deve andare adesso alla attuazione di questi progetti,
alla loro approvazione e alla loro concreta realizzazione.
Deve cominciare insomma la fase della trasformazione dei progetti
in fatti, della trasformazione dei disegni di riforma in riforme
concrete, della definizione di nuove regole nella loro applicazione
quotidiana.
La fase che si apre non è quindi la fase due del Governo.
E’ soltanto il naturale e coerente inizio della seconda parte
della legislatura. Un periodo nel quale dunque, in modo naturale
e fisiologico, si tratta di mettere le condizioni perché
il disegno delineato e il programma definito trovino concreta
e piena attuazione.
Coerente con questo quadro complessivo è anche il lavoro
che dobbiamo fare sul piano del sostegno all’occupazione e alla
produzione.
L’occupazione è il grande problema del nostro tempo per
tutti i Paesi europei ma lo è anche di più per
l’Italia.
Il dualismo del nostro sistema economico e produttivo e le grandi
differenze che ci sono fra le diverse parti del Paese costituiscono
uno dei nostri grandi problemi nazionali. Non l’unico, ma certo
un grande problema.
Il nostro programma di governo ha fin dall’inizio individuato
nel risanamento dell’economia, nell’abbassamento dei tassi,
nella creazione di nuovo opportunità economiche agli
investimenti la via maestra per dare una risposta duratura anche
al problema dell’occupazione.
Credo che questa impostazione debba restare la nostra bussola
di riferimento anche perché, come dicevo, vi sono in
questo senso segnali importanti di ripresa.
Ma certo date le condizioni del nostro sistema economico e
produttivo in Italia dobbiamo fare qualcosa di più.
Di qui l’impegno che abbiamo posto già nei mesi passati
nella ricerca di nuovi strumenti e forme di intervento virtuoso
dello Stato nel sostegno all’occupazione.
Di qui gli impegni e le strategie di investimento che abbiamo
già delineato nel DPEF 1998 e che troveranno definizione
nella prossima legge finanziaria.
Anche intorno al problema dell’occupazione dobbiamo dunque
mantenere nervi saldi e testa lucida.
Abbiamo una nostra strategia, che è poi la strategia
propria del programma di governo.
Non siamo dunque, e non siamo mai stati, ne insensibili ne sprovveduti.
Questa strategia ha trovato nel tempo le correzioni che si sono
rivelate necessarie e, nel dialogo con la maggioranza e con
le parti sociali, l’azione intrapresa potrà nei prossimi
mesi essere ulteriormente rafforzata.
Ma anche qui non si tratta di cercare nuove strategie e nuove
ricette miracolistiche.
Anche qui, come in ogni altro settore, si tratta invece di agire
con determinazione e con coerenza, chiarendo bene gli obiettivi,
i modi, i tempi, dando punti di riferimento certi e certezze
di comportamenti.
Lo stesso vale per la politica estera.
Col risanamento dei nostri conti pubblici abbiamo cominciato
a ritrovare credibilità internazionale.
Questa credibilità, che è una condizione essenziale
per il futuro stesso del Paese, deve essere ora messa alla prova,
anche nel nostro stesso interesse, sul piano dei nostri impegni
internazionali.
Le frontiere italiane sono oggi le frontiere dell’Europa e una
delle frontiere più difficili nel rapporto fra parti
diverse del mondo.
Nell’area geografica in cui siamo inseriti si confrontano civiltà,
culture, religioni, tradizioni diverse.
Noi non possiamo sottrarci ai nostri compiti, pena la perdita
di ruolo e di credibilità. In sostanza pena la vanificazione
degli sforzi che stiamo facendo per portare l’Italia a pieno
titolo fra i protagonisti di questa fase della vicenda del mondo.
Il rapporto stretto con i nostri tradizionali alleati e con
i nostri partners dell’Unione Europea è e deve restare
il nostro punto di riferimento permanente.
Ma all’interno di questo rapporto, noi non possiamo ne dobbiamo
sottrarci alle nostre responsabilità. Anche perché,
proprio perché la nostra frontiera è oggi una
delle grandi frontiere fra le diverse parti del mondo noi non
possiamo in alcun modo disinteressarci o tirarci indietro di
fronte ai problemi che intorno a noi sorgono.
Cari amici,
questo mi sembra essere il quadro complessivo nel quale la nostra
azione è destinata a svilupparsi nei prossimi mesi.
Un’azione che deve avere come punto fisso di orientamento il
programma di governo e come obbiettivo la sua piena attuazione.
Noi abbiamo dato vita a una grande fase riformatrice del nostro
Paese.
Siamo, credo sia giusto dirlo, un grande governo riformatore.
Questa è la nostra natura. Questo è il nostro
compito. Questo è ciò di cui il Paese ha bisogno.
Le riforme, soprattutto quando come ora sono necessarie, non
sono però senza costi, anche umani.
Riformare significa infatti cambiare le regole, mutare i punti
di riferimento, obbligare la gente a misurarsi con un’innovazione
che spesso può creare ansia, incertezze, paure.
Guai a iniziare le riforme e a non completarle.
Guai a voler continuamente riformare e immaginare che tutto
si esaurisca nel presentare bei disegni di legge o nel pubblicare
leggi sulla Gazzetta Ufficiale.
Riformare è tutt’altra cosa. E’ misurarsi anche con
le difficoltà concrete e quotidiane dell’innovazione;
è essere capaci di far funzionare meglio quello che prima
funzionava male; è riuscire a dare alla gente nuove certezze
e nuove prospettive; è essere in grado di ridefinire
rapidamente nuove regole, nuove convenienze, nuovi criteri di
orientamento per tutti, cittadini, famiglie imprese.
Purtroppo, e certo non per colpa dell’Ulivo o di chi come Massimo
D'Alema si è generosamente spesso in quest’opera, il
processo di riforma delle nostre istituzioni si è per
il momento bloccato.
Questo è un danno grave per il Paese, anzi gravissimo.
Come noi abbiamo sempre detto il Paese ha bisogno anche
di una profonda riforma istituzionale.
Solo quando riusciremo a portare a compimento anche questo obiettivo
e riusciremo a rendere istituzionalmente stabile il nostro sistema
di governo noi potremo dire di aver realizzato tutte le condizioni
necessarie per dare all’Italia rispettabilità e credibilità
anche agli occhi dei cittadini e degli operatori economici e
politici degli altri Paesi.
L’obiettivo di una forte e coerente riforma istituzionale
resta dunque nella nostra agenda e resta come impegno essenziale
dell’Ulivo.
Dobbiamo perciò mettere in agenda e avviare al più
presto un confronto tra di noi che assuma a riferimento le proposte
già presenti nel nostro programma elettorale e i preziosi
apporti emersi nella Commissione Bicamerale.
Per quanto poi l'altro grande tema oggi aperto nel Paese sul
versante delicatissimo della giustizia, credo che sia opportuno
che noi discutiamo di questo tema in modo ampio e approfondito,
anche tenendo conto della proposta avanzata in questi giorni
dal Vice Presidente Veltroni.
Intorno al difficile tema del rapporto fra giustizia e politica
si tratta infatti di una proposta saggia ed equilibrata, capace
di rimettere alla sede propria, quella parlamentare, il dibattito
sui provvedimenti da prendere. Provvedimenti che devono essere
capaci di assicurare che mai più possano ripetersi in
futuro gli episodi del passato, senza per questo prospettare
indebite scorciatoie o soluzioni tanto facili quanto improponibili.
La giustizia è una questione delicatissima e importantissima
per un Paese. Lo è sempre, in ogni caso e in ogni tempo,
perché garantire giustizia significa innanzitutto garantire
rispetto della legalità e tutelare la sicurezza dei cittadini.
Lo è ancora di più quando giustizia e vicenda
politica sembrino in qualche modo potersi intrecciare, mettendo
in tal modo in pericolo la legittimità dell'una e la
credibilità e rispettabilità dell'altra.
E’ inutile negarlo: in questo momento nel nostro Paese la questione
"giustizia" è aperta su entrambi questi fronti.
Abbiamo infatti il problema di rafforzare e garantire la giustizia
"normale", quella che è componente essenziale della sicurezza
di una società civile.
Abbiamo però anche il problema di trovare il modo per
dare soluzione corretta, trasparente, convincente e accettabile
al problema gravissimo che negli anni passati si è aperto
per il fatto stesso che la nostra giustizia ha dovuto
occuparsi anche delle gravi deviazioni della politica.
E qualunque soluzione possa essere individuata essa potrà
da noi essere accettata o proposta solo a condizione che sia
coerente con i nostri valori etici e con le attese dei nostri
concittadini.
Io credo che come Ulivo noi dobbiamo prendere a cuore queste
questioni. Dobbiamo essere capaci in sostanza di affrontare
davvero la questione giustizia in tutta la sua complessità,
e di avviare una volta per tutte a soluzione questi problemi
che, se non risolti, possono diventare un freno alla stessa
crescita democratica delle nostre istituzioni.
Per questo credo che a questi temi noi dobbiamo dedicare tutta
la necessaria attenzione. Possiamo partire dalle proposte già
richiamate per trovare una via possibile per trovare la giusta
soluzione dei problemi legati alle devizioni della politica.
Nelle prospettive più volte delineate dal ministro Flick
e da me stesso richiamate anche nell'ultimo dibattito parlamentare
sulla fiducia, possiamo poi individuare le strade possibili
e concrete per rafforzare e consolidare la non meno essenziale
amministrazione "normale" della giustizia.
In ogni caso su questa via il Governo, anche sulla base degli
elementi che emergeranno nel corso del dibattito, presenterà
in tempi brevi proprie proposte.
Ma l'esistenza di questi problemi e la necessità di
dedicare ad essi particolare attenzione non ci permettono certo
di trascurare l’impegno che abbiamo a concludere il nostro progetto
almeno sul piano del programma di governo. Anzi in un certo
senso ci impone proprio su questo piano ancora più responsabilità.
Queste dunque sono le linee che a me pare dobbiamo seguire
nei prossimi mesi e su queste linee io credo che non solo tutto
l’Ulivo ma anche tutta la maggioranza di governo non possono
che ritrovarsi.
Non esiste e non può esistere il problema di un mutamento
di maggioranza.
La maggioranza che ha approvato il programma del Governo è
chiara e definita. Ed anzi, come ho ricordato, essa è
andata rafforzandosi e consolidandosi nel corso dell’esperienza
di questi anni.
E’ questa la maggioranza di governo e io mi attendo che essa
continui a sostenere lealmente e efficacemente il governo nel
suo sforzo di dare piena attuazione a un disegno politico e
strategico che essa ha concorso a definire e a delineare nelle
sue linee essenziali.
Cari amici,
La mia relazione sullo stato attuale del governo e della azione
che esso deve sviluppare nei prossimi mesi è stata lunga.
Mi sembrava però necessaria proprio per dare maggiore
spessore e più motivazione a quello che è il secondo
problema essenziale che oggi noi dobbiamo affrontare.
L’Ulivo è cresciuto in questi anni e la nostra comune
esperienza si è consolidata.
Abbiamo costituito questo nostro Comitato che oggi è
alla sua quarta seduta plenaria.
Nel corso degli ultimi mesi abbiamo lavorato parecchio intorno
alle possibili ipotesi organizzative da adottare e già
nel Comitato dell’aprile intorno a alcune diverse possibili
ipotesi di organizzazione si è aperta la discussione.
Ora credo che sia giunto il momento di fare davvero qualche
passo in avanti.
Da questo punto di vista mi pare innanzitutto necessario metterci
in condizione di essere più operativi, di potersi vedere
con maggiore frequenza in una sede che sia coerente con questa
Assemblea, di poter avere organi più agili da riunire
e sedi più agili di discussione.
Credo dunque importante insediare definitivamente il Direttivo
e per questo credo urgente che i parlamentari di Camera e Senato
e del Parlamento Europeo eleggano i loro rispettivi portavoce,
come abbiamo già deciso lo scorso 5 maggio
Mi pare poi che dobbiamo prendere rapidamente le decisioni
necessarie per definire come vogliamo articolarci sul territorio.
Noi dobbiamo assolutamente trovare modi e forme per costruire
sul territorio forme organizzative comuni, in grado di essere
allo stesso tempo la casa comune di tutte le forze che si riconoscono
dell’Ulivo e di quei tenti cittadini che si riconoscono nell’Ulivo
senza riconoscersi in nessuna delle forze della coalizione.
A questo proposito, già nella ultima riunione - il 26
maggio - era stata presenta una proposta di Carta Organizzativa
che vi ho inviato in allegato alla convocazione di questa riunione
in modo che ciascuno potesse riflettervi sopra.
Questa proposta è stata elaborata dal Comitato politico
organizzativo dell’Ulivo che fino all’insediamento di questo
Comitato ha coordinato in modo parzialmente informale le attività
della coalizione.
Per questi motivi ho ritenuto opportuno invitare a questa riunione
gli amici del Comitato perché illustrassero le conclusioni
della loro riflessione
Su questo riferirà poi a nome del Comitato Giampaolo
D’Andrea dopo le conclusioni della discussione generale.
Mi auguro che la discussione ci consenta di giungere rapidamente
a una prima conclusione.
Cari amici,
ragionare su questioni organizzative non deve essere sentito
da nessuno come un fatto in qualche modo riduttivo.
Al contrario.
Nel porci obiettivi organizzativi precisi e nell’assumere decisioni
chiare noi rendiamo chiaro e percettibile a tutti il valore
che la nostra esperienza ha e la nostra convinzione che essa
debba continuare a svilupparsi e a crescere.
E davvero la nostra esperienza ha un forte valore.
L’incontro fra forze ed esperienze di tradizione e provenienza
diverse, accomunate tutte da una grande passione riformatrice
e da una comune scala di valori in ordine all’importanza della
giustizia, dell’equità, della tutela dei deboli, della
difesa delle opportunità di vita per tutti, della tutela
dell’ambiente e della natura come valore fondamentale per il
presente e per il futuro del mondo, tutto questo è un
fatto importante e nuovo.
Un fatto importante e nuovo non solo per l’Italia.
Possiamo dirlo senza timore e senza presunzione.
In molti altri Paesi e in alti continenti si pone il medesimo
nostro problema.
L’incontro fra culture e tradizioni diverse costituisce un’esigenza
essenziale di questa nostra epoca.
Anche questo del resto è un problema che nasce dall’eredità
che ci lascia il secolo che sta per finire.
Il novecento ha diviso culture, tradizioni, sistemi di valore,
lungo linee politiche e organizzative costruite intorno a progetti
e prospettive che oggi sono entrati in crisi e che devono necessariamente
essere profondamente rivisti.
Ma questa revisione, che è poi molto più costruzione
di un nuovo sistema di schieramenti politici e di valori adeguati
ai nostri tempi, richiede coraggio, una certa audacia, molta
generosità.
Richiede la disponibilità degli eredi delle grandi tradizioni
del novecento a rimettersi in giuoco, a ridiscutersi, a ridefinirsi.
Richiede la capacità di sapersi misurare non soltanto
con le idee ma anche con le esigenze reali dei cittadini, con
i loro bisogni e con le loro sensibilità.
Con i bisogni e le sensibilità dei cittadini di oggi,
intendo, di coloro cioè che vivono nella nostra epoca;
non più con i bisogni e le sensibilità dei cittadini
di ieri o di eri l’altro, quelli che vissero insieme ai nostri
nonni o ai nostri padri.
Tutto questo richiede in termini più semplici l’Ulivo.
Noi, in Italia, per ragioni che oggi possiamo solo intuire,
abbiamo anticipato questa grande esigenza che oggi si sta manifestando
in tutti i Paesi del mondo occidentale.
Lo abbiamo fatto secondo i nostri modi, facendo i conti con
il nostro specifico passato nazionale, ma lo abbiamo fatto.
Tutto questo sta diventando evidente anche agli occhi delle
classi dirigenti degli altri Paesi.
Io sono personalmente convinto, anzi certo, che l’Europa ha
bisogno di Ulivo e che anche gli altri Paesi, gli altri grandi
Paesi del mondo hanno bisogno di Ulivo.
Ecco perché ho accettato con convinzione e entusiasmo
l’invito a partecipare Lunedì 21 settembre a New York
a un dibattito su questi temi. Dibattito al quale parteciperanno
anche Clinton e Blair, a dimostrazione del fatto che il problema
di come rendere più forti le democrazie in questa fase
e in quella prossima ventura non è un problema solo italiano
ma di tutti i Paesi di tradizione occidentale e anche non occidentale,
come lo stesso Giappone, con il suo movimento per l’Ulivo, ci
dimostra.
Ed il fatto importante è proprio questo: che al Convegno
di New York si trovano insieme per discutere di questi temi
i rappresentanti delle più importanti esperienze di governo
che oggi nel mondo si ispirano o sono sorrette da coalizioni
di centro-sinistra. Lo stesso terreno che ha prodotto la nostra
esperienza e che ha reso possibile questa nostra realtà.
La questione reale all’ordine del giorno dei paesi democratici
del mondo, specialmente da quelli retti da coalizioni di centro-sinistra,
è infatti come dare una risposta comune ai problemi che
in tutto il mondo sorgono per il gap sempre più profondo
fra economia e politica.
Anche l’Europa, io credo, ha problemi analoghi e comunque sempre
più li avrà nel futuro.
L’Europa è stato il terreno di cultura dei grandi movimenti
politici del novecento.
Il novecento è stato l’ultimo grande secolo europeo e
la sua eredità è specificamente un’eredità
dei popoli europei.
Per questo in Europa più che in ogni alta parte del
mondo la tensione fra tradizione politica e innovazione politica
è particolarmente forte.
Per questo in Europa sono oggi forti e vitali le grandi organizzazioni
internazionali che raggruppano le forze politiche dei diversi
paesi secondo le linee classiche e il vocabolario tradizionale
dei sistemi politici europei del novecento.
Credo che questa realtà debba essere accettata e rispettata,
compresa e capita.
E’ anch’essa parte integrante della nostra realtà.
Noi siamo europei, l’Europa è la nostra parte del mondo.
Noi non possiamo non fare i conti con la nostra stessa eredità
e non possiamo pensare di forzare oltre ogni possibile ragionevolezza
i processi storici.
Ma io sono convinto che anche l’Europa abbia bisogno di Ulivo.
Dirò di più. specialmente l’Europa ha bisogno
di Ulivo.
L’Europa non può continuare ad essere indefinitamente
un sistema istituzionale basato sui governi degli Stati.
Il gap di democrazia che oggi caratterizza l’Europa deve essere
rapidamente colmato.
Ma non è facile colmare in Europa il gap di democrazia
se le grandi forze politiche europee si articolano, si distinguono,
si dividono, secondo linee più del passato che del futuro;
più della tradizione che del presente; più del
vocabolario invecchiato delle ideologie politiche del novecento
che delle esigenze reali dei popoli europei del duemila.
Per questo sono convinto che l’Europa ha bisogno di Ulivo.
Ma capisco anche bene che proprio perché il bisogno
di Ulivo è così concretamente forte, anche la
resistenza all’Ulivo e comunque a ogni fenomeno che si ispiri
all’esigenza di ridefinire secondo nuove linee schieramenti,
alleanze, raggruppamenti è visto con tanto inquietudine
e diffidenza da molti partiti e da molti leaders europei.
Ma poiché sono davvero convinto di quello che ho detto
credo che rientri fra i nostri doveri e fra i nostri compiti
cercare i modi e le forme più idonee per fare in modo
che anche a livello europeo sia rappresentata la specificità
della nostra esperienza
Una specificità che ovviamente non vuole restare tale
ma interagire e collaborare con altre esperienze cominciando
da quelle che si muovono nella stessa direzione.
Le prossime elezioni europee ci porranno di fronte a problemi
importanti.
Credo che questi problemi noi li dovremo affrontare alla luce
di quello che ho cercato di dire.
Dovremo cioè essere attenti a salvaguardare la nostra
esperienza cercando allo stesso tempo di offrire un esempio
anche ad altri Paesi e tuttavia a assicurare che vi sia poi
compatibilità ragionevole fra la nostra esperienza e
il panorama complessivo degli schieramenti europei.
In questa logica credo che noi dobbiamo innanzitutto trovare
il modo per rappresentare alle elezioni europee, l’unità
dell’Ulivo
Credo cioè che noi non dobbiamo lasciare che il quadro
del sistema politico europeo, per quanto importante sia, possa
condizionare fino al punto di costituire per noi un fattore
di divisione.
Cedere a questa divisione senza reagire con proposta creativa
sarebbe una scelta incomprensibile per i nostri elettori e sarebbe
una rinuncia ingiustificata, per ragioni di puro schieramento
politico, a un’esperienza importante che per molti segni anticipa
anche il futuro di altri Paesi.
Dobbiamo dunque fare in modo di elaborare una comune proposte
politica, una comune idea di Europa e del ruolo che l’Italia
deve avere in Europa, una comune visione del panorama europeo.
Sono certo che questo non ci sarà difficile. Anzi, per
la verità credo che sarebbe molto difficile il contrario.
Mi pare infatti davvero difficile immaginare che forze come
quelle che qui sono presenti possano davvero affrontare divise,
secondo linee politiche diverse, una campagna europea nella
quale si devono affrontare proprio i temi che in questi anni
ci hanno visti più fortemente uniti.
Andare dunque insieme e uniti, e con una comune piattaforma
politica e programmatica alle elezioni europee del prossimo
anno mi pare una necessità, prima ancora che una scelta.
Di questo dobbiamo discutere con urgenza
Già nella prima riunione decidemmo di costituire attorno
agli amici che rappresentano in questo comitato i parlamentari
europei un gruppo di lavoro che avrebbe dovuto formulare una
proposta sulle forme di partecipazione dell’Ulivo alla prossima
competizione europea.
E’ urgente che questo gruppo inizi a lavorare in modo da poter
riferire le sue conclusioni e proposte a questo Comitato all’inizio
del prossimo mese di ottobre.
Cari amici,
so di aver fatto una relazione lunga e in qualche punto anche
non comoda.
Credo però che per noi sia ormai giunto il momento di
misurarci fino in fondo con noi stessi e con i problemi veri
che abbiamo di fronte a noi.
Il bilancio dell’esperienza fatta fin qui è positivo.
Il sostegno dei tanti e tanti cittadini che fin dall’inizio
hanno vissuto con noi questa esperienza non è certamente
venuto meno.
Ci sono dunque le condizioni per andare avanti.
E dunque noi dobbiamo andare avanti. Con coraggio, con prudenza,
con saggezza, ma andare avanti.
Grazie