Il Movimento per L'Ulivo: IL COMITATO NAZIONALE
La riunione del 4 Settembre 1998
Prodi: Riprendere il cammino di costruzione dell’Ulivo
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Cari amici,
ci ritroviamo qui dopo le ferie estive, e all’inizio di un nuovo anno politico, riprendendo quella che ritengo debba diventare una consuetudine di incontri fra noi.

Anche per quanto riguarda la vicenda di questo nostro Comitato (che si incontra oggi per la quarta volta) possiamo dire infatti che si ripete puntualmente la tradizione che è propria dell’Ulivo, quella cioè di una vicenda che si consolida man mano, ma con continuità e coerenza interna.

E dunque oggi, introducendo questa nostra riunione, io non posso che richiamare alcune delle cose che ho detto già nella nostra prima riunione del 21 aprile.

Inaugurando allora questo Comitato io ho detto che la istituzione stessa di questo organo dimostra che la nostra esperienza è man mano andata consolidandosi nel tempo.

L’Ulivo, nato come progetto politico e come coalizione di forze e di tradizioni diverse, strettamente legato al proprio programma e al patto contratto con i cittadini e con gli elettori, è cresciuto giorno dopo giorno, nell’esperienza di governo e nelle vicende parlamentari.

Un patto che noi abbiamo rispettato sempre in questi anni, così come facciamo anche oggi nel momento in cui, restituendo come promesso l’eurotassa, dimostriamo con i fatti che siamo gente di parola.

La forza stessa dell’esperienza di governo che tutti insieme abbiamo saputo sviluppare in questi anni ha innanzitutto condotto a rafforzare un rapporto di coalizione sempre più stretto tutte le forze che avevano dato vita all'Alleanza di Governo.

L'Alleanza dell'Ulivo dunque è cresciuta, si è ampliata, si è rafforzata.
Si è rafforzata conquistando alle sue ragioni nuovi consensi e contributi nel Parlamento e nel Paese. Essa ha reso più ampi i propri confini, riuscendo a proporsi, grazie a questo più stretto rapporto fra tutti noi, come un centro di iniziativa politica più forte e più rappresentativo del nostro elettorato.

Il mutamento di quadro politico che grazie a noi si è verificato nel Paese non consiste però solo nel fatto che l’alleanza elettorale si è consolidata ed estesa fino a diventare un soggetto politico nel quale tutte le componenti di quell’alleanza oggi si riconoscono a pieno titolo.

Siedono qui con noi, membri a pieno titolo di questo Comitato, amiche e amici che rappresentano il complesso e articolato mondo delle autonomie.
Essi sono espressione della capacità che l’Ulivo ha avuto in questi anni di radicarsi a livello regionale e locale.
Sono cioè la concreta dimostrazione della capacità dell’Ulivo di trovare non solo nella dimensione nazionale ma anche in quella delle regioni, delle province e delle città un modo originale e forte di essere presente e di costituire per gli italiani un forte punto di riferimento.

La presenza in questo Comitato dei nostri amministratori regionali e locali è anche la precisa volontà di evidenziare e consolidare un ulteriore e importantissimo aspetto della nostra vicenda.
Quello cioè di un Movimento che è nato fra la gente ma è poi diventato, giorno dopo giorno, prima nella battaglia elettorale, poi, nell’azione quotidiana di governo e infine nella sua presenza operativa nel governo locale, un soggetto politico e un elemento forte di cambiamento del Paese.

Vi è infine un terzo aspetto che mi sembra assolutamente importante sottolineare.

Operando concretamente con l’attività quotidiana di governo e con la nostra presenza in Parlamento non ci siamo limitati a consolidare l’Ulivo e a trasformare un’alleanza elettorale in una coalizione che è anche, come questo nostro Comitato dimostra, un fatto politico.
Siamo riusciti anche a consolidare la stessa maggioranza parlamentare che sostiene il Governo.

Alla prova dei fatti, nel confronto sul programma di governo e sulle cose che man mano abbiamo proposto e fatto, lo stesso rapporto con il partito di Rifondazione comunista è cambiato.

Lo stesso dibattito interno che impegna in questi giorni gli amici di Rifondazione Comunista, dibattito al quale guardiamo con rispetto e nel quale non intendiamo interferire, é la prova della crescita di questo rapporto.
Della necessità, cioè, di riconoscere il significato politico dell'azione svolta in questi anni e di assicurare il necessario sostegno politico.

Questo è dunque un primo bilancio che noi possiamo e dobbiamo fare.

E’ un bilancio prima di tutto politico, che ci dice la crescita e il consolidamento politico che la nostra esperienza ha avuto in questi anni. Ed è proprio questo, del resto, che ci ha spinto, come già ho ricordato appunto nella prima seduta del 21 aprile a dare vita a questa nostra assemblea.

Di qui dobbiamo partire e a partire di qui dobbiamo sviluppare la nostra analisi.


Io credo che la ragione principale che giustifica i fenomeni che ho richiamati stia proprio nel metodo di azione politica e operativa che fin dall’origine della nostra esperienza e ancor più nel corso di questi anni di governo abbiamo sempre seguito.

Noi abbiamo sempre legato la nostra stessa identità al nostro programma.

Questa è stata in primo luogo la grande originalità e la grande forza che ci ha consentito di nascere e di crescere fino alla vittoria elettorale.
Ma questa è stata anche la nostra forza nell’attività di governo.

Come l’Ulivo, anche il governo dell’Ulivo ha fin dall’inizio legato tutte le sue sorti al proprio programma.
Un programma che ovviamente nasceva dal programma elettorale e dal patto contratto con i cittadini ma che era anche un programma di governo.

Con quel programma noi tracciammo le linee di un progetto riformatore ampio e ambizioso, destinato a durare l’intera legislatura.

L’obiettivo di quel programma era rinnovare e risanare il Paese e dotarlo delle strutture e delle innovazioni necessarie a reggere il confronto con le altre nazioni.
Tre essenzialmente erano le tappe attraverso le quali questo obiettivo poteva e può essere raggiunto.

La prima tappa era ovviamente risanare i conti pubblici e mettere il Paese in condizione di entrare a far parte fin dal primo turno della moneta unica europea.
Questo obbiettivo è stato raggiunto, con sacrifici certo ma anche con un'equità che ha assicurato grande concordanza di intenti da parte di tutta la maggioranza, e vorrei dire, da parte di tutti gli italiani.

La seconda tappa era quella di delineare un ampio processo riformatore che colmasse nei settori strategici per il Paese il grande ritardo che il Paese aveva accumulato.
Mi riferisco ovviamente innanzitutto alle strutture portanti dello Stato, a partire dalla sua struttura amministrativa per giungere fino alla scuola e alla giustizia.

La terza tappa era ed è quella di consolidare le prime due, di dare all’azione svolta stabilità, continuità, compimento.

Quando noi abbiamo detto fin dall’inizio e ripetiamo anche ora che il nostro programma era ed è un programma di legislatura, vogliamo indicare un carattere davvero importante e "strutturale" della nostra esperienza politica e del modo col quale abbiamo operato finora e intendiamo operare anche in futuro.

Costruire un programma di legislatura significa infatti darsi un arco temporale preciso e definito. Un arco temporale che consente non solo di avviare un’azione di governo ma di portarla a conclusione.

Noi abbiamo fin dall’inizio detto che il nostro programma era tarato sull’arco temporale dei cinque anni della legislatura, volendo con ciò dire che per portarlo a compimento e per raggiungere l’obiettivo del risanamento del Paese e del suo ammodernamento noi ritenevamo necessario questo arco temporale e che sui risultati che in questo arco temporale sarebbero stati raggiunti avrebbe dovuto essere misurato il nostro successo o il nostro fallimento.

In questa prospettiva, che è la sola prospettiva possibile per l’Ulivo, il successo o il fallimento non è e non sarebbe soltanto il successo o il fallimento di un governo ma di una intera esperienza politica.

E questo vale anche per tutti coloro che hanno sostenuto e sostengono il nostro governo.
Proprio perché il governo è un governo di programma e di un programma delineato per tutta la legislatura anche l’impegno assunto dalla maggioranza parlamentare deve essere collocato dentro questo arco temporale.

Il che ovviamente non significa pretendere di irrigidire in un busto di gesso il dibattito politico. Non significa in alcun modo negare che ogni componente della maggioranza abbia non solo il diritto ma anche il dovere di partecipare attivamente e costantemente alla verifica dell’azione di governo e possa essere verso il governo nella posizione di chi mentre lo sostiene lo stimola e lo spinge ad operare in modo sempre più incisivo.

Vorrei riuscire a essere chiaro.

Io penso che la grande novità della nostra esperienza politica sia proprio nel fatto di aver legato la nostra identità, sia come soggetto politico che come Governo, alla dimensione del programma, e di un programma articolato su un periodo temporale definito.

E’ in questo infatti che sta un aspetto essenziale e pregiudiziale a ogni innovazione e a ogni risanamento del Paese.
La capacità cioè di operare come le altre grandi democrazie europee secondo una prospettiva di stabilità e di certezza.
Stabilità e certezza che sono strettamente legate a due aspetti precisi: dire con chiarezza cosa si vuole fare, secondo quali modalità e con quali tempi.

Del resto fare un programma non significa, anche nella nostra esperienza quotidiana e familiare, indicare solo obiettivi ma anche definire modi e tempi.

Ecco, questo è esattamente quello che noi abbiamo fatto fin dall’inizio della nostra esperienza.
Questo è il modo e il metodo sul quale fin dall’inizio abbiamo chiesto il consenso del Parlamento.

Questo è, io credo, l’elemento essenziale non solo del patto costitutivo dell’Ulivo ma anche del rapporto che si è instaurato fra il governo e la sua maggioranza parlamentare.

Noi dobbiamo tener dunque ben fermo il nostro timone e diritta la rotta.

L’azione fin qui condotta, infatti, consente di dire che siano rimasti fedeli agli impegni presi e che sono state poste tutte le premesse e tutte le condizioni affinché il progetto fatto possa trovare a fine legislatura pieno compimento.

Il raggiungimento del risanamento economico del Paese e la nostra entrata nella moneta unica hanno realizzato infatti le condizioni essenziali perché il nostro progetto possa andare avanti. E la ritrovata e crescente credibilità internazionale del nostro Paese ci dice che la via intrapresa è giusta ed apprezzata anche dagli altri Paesi.

Si stanno ricreando le condizioni per una ripresa degli investimenti e dell’occupazione i cui effetti si vedranno con sempre maggiore evidenza nell’arco temporale che ci siamo assegnati, consentendo di dare al gravissimo problema dell’occupazione una risposta strutturale e quindi duratura.

Negli scorsi due anni e mezzo abbiamo prodotto un grande sforzo per disegnare un ambizioso ma essenziale piano di riforme strutturali.

Dalla Pubblica Amministrazione al Fisco, dalla Scuola alla Giustizia, dal Mercato del lavoro all’Agricoltura , dalla Sanità allo Stato sociale, dal sistema di tutela dell’ordine pubblico alla definizione di una strategia articolata ma efficace per affrontare il grande fenomeno del rapporto fra l’Europa e i tanti che alla nostre frontiere chiedono di entrare per trovare maggiore fortuna, tutti i settori di maggiore importanza per il nostro Paese sono stati in quei due anni affrontati e per ognuno di essi abbiamo fatto proposte e disegnato grandi strategie riformatrici.

Ora si tratta di portare a compimento questa grande mole di innovazioni.
Si potrebbe dire che il disegno è ora sostanzialmente compiuto e laddove mancano ancora alcuni tasselli solo di tasselli appunto si tratta.
L’impegno deve andare adesso alla attuazione di questi progetti, alla loro approvazione e alla loro concreta realizzazione.

Deve cominciare insomma la fase della trasformazione dei progetti in fatti, della trasformazione dei disegni di riforma in riforme concrete, della definizione di nuove regole nella loro applicazione quotidiana.

La fase che si apre non è quindi la fase due del Governo. E’ soltanto il naturale e coerente inizio della seconda parte della legislatura. Un periodo nel quale dunque, in modo naturale e fisiologico, si tratta di mettere le condizioni perché il disegno delineato e il programma definito trovino concreta e piena attuazione.

Coerente con questo quadro complessivo è anche il lavoro che dobbiamo fare sul piano del sostegno all’occupazione e alla produzione.
L’occupazione è il grande problema del nostro tempo per tutti i Paesi europei ma lo è anche di più per l’Italia.
Il dualismo del nostro sistema economico e produttivo e le grandi differenze che ci sono fra le diverse parti del Paese costituiscono uno dei nostri grandi problemi nazionali. Non l’unico, ma certo un grande problema.

Il nostro programma di governo ha fin dall’inizio individuato nel risanamento dell’economia, nell’abbassamento dei tassi, nella creazione di nuovo opportunità economiche agli investimenti la via maestra per dare una risposta duratura anche al problema dell’occupazione.

Credo che questa impostazione debba restare la nostra bussola di riferimento anche perché, come dicevo, vi sono in questo senso segnali importanti di ripresa.

Ma certo date le condizioni del nostro sistema economico e produttivo in Italia dobbiamo fare qualcosa di più.

Di qui l’impegno che abbiamo posto già nei mesi passati nella ricerca di nuovi strumenti e forme di intervento virtuoso dello Stato nel sostegno all’occupazione.
Di qui gli impegni e le strategie di investimento che abbiamo già delineato nel DPEF 1998 e che troveranno definizione nella prossima legge finanziaria.

Anche intorno al problema dell’occupazione dobbiamo dunque mantenere nervi saldi e testa lucida.
Abbiamo una nostra strategia, che è poi la strategia propria del programma di governo.
Non siamo dunque, e non siamo mai stati, ne insensibili ne sprovveduti.
Questa strategia ha trovato nel tempo le correzioni che si sono rivelate necessarie e, nel dialogo con la maggioranza e con le parti sociali, l’azione intrapresa potrà nei prossimi mesi essere ulteriormente rafforzata.
Ma anche qui non si tratta di cercare nuove strategie e nuove ricette miracolistiche.
Anche qui, come in ogni altro settore, si tratta invece di agire con determinazione e con coerenza, chiarendo bene gli obiettivi, i modi, i tempi, dando punti di riferimento certi e certezze di comportamenti.

Lo stesso vale per la politica estera.
Col risanamento dei nostri conti pubblici abbiamo cominciato a ritrovare credibilità internazionale.
Questa credibilità, che è una condizione essenziale per il futuro stesso del Paese, deve essere ora messa alla prova, anche nel nostro stesso interesse, sul piano dei nostri impegni internazionali.
Le frontiere italiane sono oggi le frontiere dell’Europa e una delle frontiere più difficili nel rapporto fra parti diverse del mondo.
Nell’area geografica in cui siamo inseriti si confrontano civiltà, culture, religioni, tradizioni diverse.
Noi non possiamo sottrarci ai nostri compiti, pena la perdita di ruolo e di credibilità. In sostanza pena la vanificazione degli sforzi che stiamo facendo per portare l’Italia a pieno titolo fra i protagonisti di questa fase della vicenda del mondo.
Il rapporto stretto con i nostri tradizionali alleati e con i nostri partners dell’Unione Europea è e deve restare il nostro punto di riferimento permanente.
Ma all’interno di questo rapporto, noi non possiamo ne dobbiamo sottrarci alle nostre responsabilità. Anche perché, proprio perché la nostra frontiera è oggi una delle grandi frontiere fra le diverse parti del mondo noi non possiamo in alcun modo disinteressarci o tirarci indietro di fronte ai problemi che intorno a noi sorgono.

Cari amici,
questo mi sembra essere il quadro complessivo nel quale la nostra azione è destinata a svilupparsi nei prossimi mesi.
Un’azione che deve avere come punto fisso di orientamento il programma di governo e come obbiettivo la sua piena attuazione.
Noi abbiamo dato vita a una grande fase riformatrice del nostro Paese.
Siamo, credo sia giusto dirlo, un grande governo riformatore. Questa è la nostra natura. Questo è il nostro compito. Questo è ciò di cui il Paese ha bisogno.

Le riforme, soprattutto quando come ora sono necessarie, non sono però senza costi, anche umani.
Riformare significa infatti cambiare le regole, mutare i punti di riferimento, obbligare la gente a misurarsi con un’innovazione che spesso può creare ansia, incertezze, paure.
Guai a iniziare le riforme e a non completarle.
Guai a voler continuamente riformare e immaginare che tutto si esaurisca nel presentare bei disegni di legge o nel pubblicare leggi sulla Gazzetta Ufficiale.

Riformare è tutt’altra cosa. E’ misurarsi anche con le difficoltà concrete e quotidiane dell’innovazione; è essere capaci di far funzionare meglio quello che prima funzionava male; è riuscire a dare alla gente nuove certezze e nuove prospettive; è essere in grado di ridefinire rapidamente nuove regole, nuove convenienze, nuovi criteri di orientamento per tutti, cittadini, famiglie imprese.

Purtroppo, e certo non per colpa dell’Ulivo o di chi come Massimo D'Alema si è generosamente spesso in quest’opera, il processo di riforma delle nostre istituzioni si è per il momento bloccato.
Questo è un danno grave per il Paese, anzi gravissimo.
Come noi abbiamo sempre detto il Paese ha bisogno anche di una profonda riforma istituzionale.
Solo quando riusciremo a portare a compimento anche questo obiettivo e riusciremo a rendere istituzionalmente stabile il nostro sistema di governo noi potremo dire di aver realizzato tutte le condizioni necessarie per dare all’Italia rispettabilità e credibilità anche agli occhi dei cittadini e degli operatori economici e politici degli altri Paesi.
L’obiettivo di una forte e coerente riforma istituzionale resta dunque nella nostra agenda e resta come impegno essenziale dell’Ulivo.

Dobbiamo perciò mettere in agenda e avviare al più presto un confronto tra di noi che assuma a riferimento le proposte già presenti nel nostro programma elettorale e i preziosi apporti emersi nella Commissione Bicamerale.

Per quanto poi l'altro grande tema oggi aperto nel Paese sul versante delicatissimo della giustizia, credo che sia opportuno che noi discutiamo di questo tema in modo ampio e approfondito, anche tenendo conto della proposta avanzata in questi giorni dal Vice Presidente Veltroni.

Intorno al difficile tema del rapporto fra giustizia e politica si tratta infatti di una proposta saggia ed equilibrata, capace di rimettere alla sede propria, quella parlamentare, il dibattito sui provvedimenti da prendere. Provvedimenti che devono essere capaci di assicurare che mai più possano ripetersi in futuro gli episodi del passato, senza per questo prospettare indebite scorciatoie o soluzioni tanto facili quanto improponibili.

La giustizia è una questione delicatissima e importantissima per un Paese. Lo è sempre, in ogni caso e in ogni tempo, perché garantire giustizia significa innanzitutto garantire rispetto della legalità e tutelare la sicurezza dei cittadini.
Lo è ancora di più quando giustizia e vicenda politica sembrino in qualche modo potersi intrecciare, mettendo in tal modo in pericolo la legittimità dell'una e la credibilità e rispettabilità dell'altra.

E’ inutile negarlo: in questo momento nel nostro Paese la questione "giustizia" è aperta su entrambi questi fronti.

Abbiamo infatti il problema di rafforzare e garantire la giustizia "normale", quella che è componente essenziale della sicurezza di una società civile.

Abbiamo però anche il problema di trovare il modo per dare soluzione corretta, trasparente, convincente e accettabile al problema gravissimo che negli anni passati si è aperto per il fatto stesso che la nostra giustizia ha dovuto occuparsi anche delle gravi deviazioni della politica.
E qualunque soluzione possa essere individuata essa potrà da noi essere accettata o proposta solo a condizione che sia coerente con i nostri valori etici e con le attese dei nostri concittadini.

Io credo che come Ulivo noi dobbiamo prendere a cuore queste questioni. Dobbiamo essere capaci in sostanza di affrontare davvero la questione giustizia in tutta la sua complessità, e di avviare una volta per tutte a soluzione questi problemi che, se non risolti, possono diventare un freno alla stessa crescita democratica delle nostre istituzioni.

Per questo credo che a questi temi noi dobbiamo dedicare tutta la necessaria attenzione. Possiamo partire dalle proposte già richiamate per trovare una via possibile per trovare la giusta soluzione dei problemi legati alle devizioni della politica. Nelle prospettive più volte delineate dal ministro Flick e da me stesso richiamate anche nell'ultimo dibattito parlamentare sulla fiducia, possiamo poi individuare le strade possibili e concrete per rafforzare e consolidare la non meno essenziale amministrazione "normale" della giustizia.

In ogni caso su questa via il Governo, anche sulla base degli elementi che emergeranno nel corso del dibattito, presenterà in tempi brevi proprie proposte.

Ma l'esistenza di questi problemi e la necessità di dedicare ad essi particolare attenzione non ci permettono certo di trascurare l’impegno che abbiamo a concludere il nostro progetto almeno sul piano del programma di governo. Anzi in un certo senso ci impone proprio su questo piano ancora più responsabilità.

Queste dunque sono le linee che a me pare dobbiamo seguire nei prossimi mesi e su queste linee io credo che non solo tutto l’Ulivo ma anche tutta la maggioranza di governo non possono che ritrovarsi.

Non esiste e non può esistere il problema di un mutamento di maggioranza.
La maggioranza che ha approvato il programma del Governo è chiara e definita. Ed anzi, come ho ricordato, essa è andata rafforzandosi e consolidandosi nel corso dell’esperienza di questi anni.
E’ questa la maggioranza di governo e io mi attendo che essa continui a sostenere lealmente e efficacemente il governo nel suo sforzo di dare piena attuazione a un disegno politico e strategico che essa ha concorso a definire e a delineare nelle sue linee essenziali.


Cari amici,

La mia relazione sullo stato attuale del governo e della azione che esso deve sviluppare nei prossimi mesi è stata lunga.
Mi sembrava però necessaria proprio per dare maggiore spessore e più motivazione a quello che è il secondo problema essenziale che oggi noi dobbiamo affrontare.

L’Ulivo è cresciuto in questi anni e la nostra comune esperienza si è consolidata.
Abbiamo costituito questo nostro Comitato che oggi è alla sua quarta seduta plenaria.
Nel corso degli ultimi mesi abbiamo lavorato parecchio intorno alle possibili ipotesi organizzative da adottare e già nel Comitato dell’aprile intorno a alcune diverse possibili ipotesi di organizzazione si è aperta la discussione.

Ora credo che sia giunto il momento di fare davvero qualche passo in avanti.

Da questo punto di vista mi pare innanzitutto necessario metterci in condizione di essere più operativi, di potersi vedere con maggiore frequenza in una sede che sia coerente con questa Assemblea, di poter avere organi più agili da riunire e sedi più agili di discussione.

Credo dunque importante insediare definitivamente il Direttivo e per questo credo urgente che i parlamentari di Camera e Senato e del Parlamento Europeo eleggano i loro rispettivi portavoce, come abbiamo già deciso lo scorso 5 maggio


Mi pare poi che dobbiamo prendere rapidamente le decisioni necessarie per definire come vogliamo articolarci sul territorio.

Noi dobbiamo assolutamente trovare modi e forme per costruire sul territorio forme organizzative comuni, in grado di essere allo stesso tempo la casa comune di tutte le forze che si riconoscono dell’Ulivo e di quei tenti cittadini che si riconoscono nell’Ulivo senza riconoscersi in nessuna delle forze della coalizione.

A questo proposito, già nella ultima riunione - il 26 maggio - era stata presenta una proposta di Carta Organizzativa che vi ho inviato in allegato alla convocazione di questa riunione in modo che ciascuno potesse riflettervi sopra.

Questa proposta è stata elaborata dal Comitato politico organizzativo dell’Ulivo che fino all’insediamento di questo Comitato ha coordinato in modo parzialmente informale le attività della coalizione.
Per questi motivi ho ritenuto opportuno invitare a questa riunione gli amici del Comitato perché illustrassero le conclusioni della loro riflessione
Su questo riferirà poi a nome del Comitato Giampaolo D’Andrea dopo le conclusioni della discussione generale.

Mi auguro che la discussione ci consenta di giungere rapidamente a una prima conclusione.


Cari amici,

ragionare su questioni organizzative non deve essere sentito da nessuno come un fatto in qualche modo riduttivo.

Al contrario.

Nel porci obiettivi organizzativi precisi e nell’assumere decisioni chiare noi rendiamo chiaro e percettibile a tutti il valore che la nostra esperienza ha e la nostra convinzione che essa debba continuare a svilupparsi e a crescere.

E davvero la nostra esperienza ha un forte valore.

L’incontro fra forze ed esperienze di tradizione e provenienza diverse, accomunate tutte da una grande passione riformatrice e da una comune scala di valori in ordine all’importanza della giustizia, dell’equità, della tutela dei deboli, della difesa delle opportunità di vita per tutti, della tutela dell’ambiente e della natura come valore fondamentale per il presente e per il futuro del mondo, tutto questo è un fatto importante e nuovo.

Un fatto importante e nuovo non solo per l’Italia.

Possiamo dirlo senza timore e senza presunzione.
In molti altri Paesi e in alti continenti si pone il medesimo nostro problema.
L’incontro fra culture e tradizioni diverse costituisce un’esigenza essenziale di questa nostra epoca.
Anche questo del resto è un problema che nasce dall’eredità che ci lascia il secolo che sta per finire.
Il novecento ha diviso culture, tradizioni, sistemi di valore, lungo linee politiche e organizzative costruite intorno a progetti e prospettive che oggi sono entrati in crisi e che devono necessariamente essere profondamente rivisti.
Ma questa revisione, che è poi molto più costruzione di un nuovo sistema di schieramenti politici e di valori adeguati ai nostri tempi, richiede coraggio, una certa audacia, molta generosità.
Richiede la disponibilità degli eredi delle grandi tradizioni del novecento a rimettersi in giuoco, a ridiscutersi, a ridefinirsi.
Richiede la capacità di sapersi misurare non soltanto con le idee ma anche con le esigenze reali dei cittadini, con i loro bisogni e con le loro sensibilità.
Con i bisogni e le sensibilità dei cittadini di oggi, intendo, di coloro cioè che vivono nella nostra epoca; non più con i bisogni e le sensibilità dei cittadini di ieri o di eri l’altro, quelli che vissero insieme ai nostri nonni o ai nostri padri.
Tutto questo richiede in termini più semplici l’Ulivo.

Noi, in Italia, per ragioni che oggi possiamo solo intuire, abbiamo anticipato questa grande esigenza che oggi si sta manifestando in tutti i Paesi del mondo occidentale.

Lo abbiamo fatto secondo i nostri modi, facendo i conti con il nostro specifico passato nazionale, ma lo abbiamo fatto.

Tutto questo sta diventando evidente anche agli occhi delle classi dirigenti degli altri Paesi.
Io sono personalmente convinto, anzi certo, che l’Europa ha bisogno di Ulivo e che anche gli altri Paesi, gli altri grandi Paesi del mondo hanno bisogno di Ulivo.

Ecco perché ho accettato con convinzione e entusiasmo l’invito a partecipare Lunedì 21 settembre a New York a un dibattito su questi temi. Dibattito al quale parteciperanno anche Clinton e Blair, a dimostrazione del fatto che il problema di come rendere più forti le democrazie in questa fase e in quella prossima ventura non è un problema solo italiano ma di tutti i Paesi di tradizione occidentale e anche non occidentale, come lo stesso Giappone, con il suo movimento per l’Ulivo, ci dimostra.

Ed il fatto importante è proprio questo: che al Convegno di New York si trovano insieme per discutere di questi temi i rappresentanti delle più importanti esperienze di governo che oggi nel mondo si ispirano o sono sorrette da coalizioni di centro-sinistra. Lo stesso terreno che ha prodotto la nostra esperienza e che ha reso possibile questa nostra realtà.

La questione reale all’ordine del giorno dei paesi democratici del mondo, specialmente da quelli retti da coalizioni di centro-sinistra, è infatti come dare una risposta comune ai problemi che in tutto il mondo sorgono per il gap sempre più profondo fra economia e politica.


Anche l’Europa, io credo, ha problemi analoghi e comunque sempre più li avrà nel futuro.

L’Europa è stato il terreno di cultura dei grandi movimenti politici del novecento.
Il novecento è stato l’ultimo grande secolo europeo e la sua eredità è specificamente un’eredità dei popoli europei.

Per questo in Europa più che in ogni alta parte del mondo la tensione fra tradizione politica e innovazione politica è particolarmente forte.

Per questo in Europa sono oggi forti e vitali le grandi organizzazioni internazionali che raggruppano le forze politiche dei diversi paesi secondo le linee classiche e il vocabolario tradizionale dei sistemi politici europei del novecento.

Credo che questa realtà debba essere accettata e rispettata, compresa e capita.

E’ anch’essa parte integrante della nostra realtà.

Noi siamo europei, l’Europa è la nostra parte del mondo. Noi non possiamo non fare i conti con la nostra stessa eredità e non possiamo pensare di forzare oltre ogni possibile ragionevolezza i processi storici.

Ma io sono convinto che anche l’Europa abbia bisogno di Ulivo.

Dirò di più. specialmente l’Europa ha bisogno di Ulivo.

L’Europa non può continuare ad essere indefinitamente un sistema istituzionale basato sui governi degli Stati.
Il gap di democrazia che oggi caratterizza l’Europa deve essere rapidamente colmato.

Ma non è facile colmare in Europa il gap di democrazia se le grandi forze politiche europee si articolano, si distinguono, si dividono, secondo linee più del passato che del futuro; più della tradizione che del presente; più del vocabolario invecchiato delle ideologie politiche del novecento che delle esigenze reali dei popoli europei del duemila.

Per questo sono convinto che l’Europa ha bisogno di Ulivo.

Ma capisco anche bene che proprio perché il bisogno di Ulivo è così concretamente forte, anche la resistenza all’Ulivo e comunque a ogni fenomeno che si ispiri all’esigenza di ridefinire secondo nuove linee schieramenti, alleanze, raggruppamenti è visto con tanto inquietudine e diffidenza da molti partiti e da molti leaders europei.

Ma poiché sono davvero convinto di quello che ho detto credo che rientri fra i nostri doveri e fra i nostri compiti cercare i modi e le forme più idonee per fare in modo che anche a livello europeo sia rappresentata la specificità della nostra esperienza
Una specificità che ovviamente non vuole restare tale ma interagire e collaborare con altre esperienze cominciando da quelle che si muovono nella stessa direzione.
Le prossime elezioni europee ci porranno di fronte a problemi importanti.

Credo che questi problemi noi li dovremo affrontare alla luce di quello che ho cercato di dire.
Dovremo cioè essere attenti a salvaguardare la nostra esperienza cercando allo stesso tempo di offrire un esempio anche ad altri Paesi e tuttavia a assicurare che vi sia poi compatibilità ragionevole fra la nostra esperienza e il panorama complessivo degli schieramenti europei.

In questa logica credo che noi dobbiamo innanzitutto trovare il modo per rappresentare alle elezioni europee, l’unità dell’Ulivo
Credo cioè che noi non dobbiamo lasciare che il quadro del sistema politico europeo, per quanto importante sia, possa condizionare fino al punto di costituire per noi un fattore di divisione.

Cedere a questa divisione senza reagire con proposta creativa sarebbe una scelta incomprensibile per i nostri elettori e sarebbe una rinuncia ingiustificata, per ragioni di puro schieramento politico, a un’esperienza importante che per molti segni anticipa anche il futuro di altri Paesi.

Dobbiamo dunque fare in modo di elaborare una comune proposte politica, una comune idea di Europa e del ruolo che l’Italia deve avere in Europa, una comune visione del panorama europeo.

Sono certo che questo non ci sarà difficile. Anzi, per la verità credo che sarebbe molto difficile il contrario.
Mi pare infatti davvero difficile immaginare che forze come quelle che qui sono presenti possano davvero affrontare divise, secondo linee politiche diverse, una campagna europea nella quale si devono affrontare proprio i temi che in questi anni ci hanno visti più fortemente uniti.

Andare dunque insieme e uniti, e con una comune piattaforma politica e programmatica alle elezioni europee del prossimo anno mi pare una necessità, prima ancora che una scelta.

Di questo dobbiamo discutere con urgenza

Già nella prima riunione decidemmo di costituire attorno agli amici che rappresentano in questo comitato i parlamentari europei un gruppo di lavoro che avrebbe dovuto formulare una proposta sulle forme di partecipazione dell’Ulivo alla prossima competizione europea.
E’ urgente che questo gruppo inizi a lavorare in modo da poter riferire le sue conclusioni e proposte a questo Comitato all’inizio del prossimo mese di ottobre.

Cari amici,
so di aver fatto una relazione lunga e in qualche punto anche non comoda.

Credo però che per noi sia ormai giunto il momento di misurarci fino in fondo con noi stessi e con i problemi veri che abbiamo di fronte a noi.

Il bilancio dell’esperienza fatta fin qui è positivo.

Il sostegno dei tanti e tanti cittadini che fin dall’inizio hanno vissuto con noi questa esperienza non è certamente venuto meno.

Ci sono dunque le condizioni per andare avanti.

E dunque noi dobbiamo andare avanti. Con coraggio, con prudenza, con saggezza, ma andare avanti.
Grazie

PER TUTTO L'ULIVO

Il futuro ha radici antiche