Dopo il Governo Prodi
Dalla crisi di governo alle elezioni europee
Il nuovo progetto di Romano Prodi:
la scelta de L'Ulivo
Tratto dalla rivista Il Regno


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_ Presidente Prodi, questo 2 febbraio, quarto anniversario dell’inizio della sua vicenda politica, assume un significato tutto particolare. Quattro anni fa lei avviava un progetto politico nuovo. Quel progetto ha vinto le elezioni il 21 aprile 1996. Con quel progetto ha governato due anni e mezzo. Poi sono giunti i giorni della sconfitta. Sconfitta di quel disegno oltre che sconfitta personale. Ora ha dichiarato di voler riprendere l’azione politica, di riprendere l’iniziativa dell’Ulivo.

"Il 2 febbraio 1999 non è solo un anniversario, la data d’avvio della mia iniziativa politica, dell’esperienza dell’Ulivo. Questo giorno è per me anche un nuovo inizio: un tempo nuovo di responsabilità e di scelta. Occorre riprendere lo spirito dell’Ulivo, rilanciarlo come iniziativa politica, altrimenti l’Ulivo muore".

_ Ha dunque preso la sua decisione?

"La decisione è stata presa da tempo e la stiamo costruendo giorno per giorno".

_ Si è parlato molto in questi giorni del nome dell’Ulivo, della sua scelta. A proposito, perché decise poi di chiamare il suo progetto Ulivo?

"Quando assieme al prof. Parisi, molto prima del 2 febbraio 1995, pensammo all’Ulivo pensammo a un simbolo italiano, carico di storia e di memorie. L’Italia è un paese d’ulivi. L’ulivo è pianta con molte radici ed evoca una pluralità di valori di civiltà e di cultura, significati anche religiosi ben presenti e radicati nella nostra tradizione, divenuti per noi familiari: la laboriosità, la tenacia, la forza, la concordia con la natura. L’ulivo è simbolo universale di pace e figura cristiana della testimonianza. Il suo frutto di fecondità. Questi significati vanno tutti richiamati oggi, perché non sono stati tutti riconosciuti".

_ Non solo il simbolo non è stato integralmente compreso, anche la proposta politica, a giudicare da quanto è avvenuto.

"Lungo questi anni abbiamo riproposto costantemente il significato dell’Ulivo, sia come proposta politica sia come esperienza di governo. Come proposta politica, l’Ulivo è un progetto di unità, di costruzione della coalizione dei democratici attraverso la partecipazione e il contributo, con pari dignità, di tutte le culture e le tradizioni che hanno dato vita alla nostra democrazia. Il campo dei democratici non è e non può essere ridotto a una monocultura. Per questo, come esperienza di governo l’Ulivo ha inteso essere una coalizione democratica e riformatrice, un’alleanza organica tra componenti politico-culturali un tempo ideologicamente divise e organizzate in partiti contrapposti, ma che oggi, nelle mutate condizioni internazionali e nazionali, possono e debbono ritrovarsi insieme nel comune richiamo ai valori costituzionali e nel comune programma di riforma per il governo del paese. Tali forze possono anzi conoscere un tempo nuovo della loro storia, identificando la propria azione nel compimento del processo bipolare e riformatore del paese, dando al paese finalmente un modello di democrazia competitiva e governante".

_ Eppure non sono mancati gli atteggiamenti contraddittori in questa proposta e in questa esperienza. La coalizione si è spezzata e i diversi soggetti politici hanno ripreso antiche abitudini.

"Lo dicemmo subito che l’iniziativa dell’Ulivo andava sviluppata sia dal lato della coalizione sia dei singoli soggetti che la componevano. Il pullman dell’Ulivo non era il mezzo che consentiva ai suoi passeggeri di passare felicemente il turno elettorale e arrivare in Parlamento per poi tornare a dividersi secondo le vecchie appartenenze. Grazie all’Ulivo, per la prima volta nel 1996 una competizione elettorale non è stata dominata dai singoli partiti o da occasionali alleanze elettorali, ma da due grandi coalizioni. Abbiamo decisamente contribuito a determinare lo sviluppo bipolare del nostro sistema politico. Gli elettori avevano scelto un programma, una maggioranza e un governo. Il governo si è comportato conseguentemente. Le coalizioni imposte dal maggioritario non possono essere confuse con le coalizioni del proporzionale. Con la soluzione della crisi di ottobre abbiamo detto agli elettori che, contrariamente a quello che loro avevano inteso, continuiamo a dare del maggioritario una interpretazione proporzionalistica.

Mi auguro che la vittoria schiacciante del "sì" al referendum sull’abrogazione della quota proporzionale ci metta definitivamente al riparo da questa abitudine politica non rispettosa della volontà popolare".

_ Dunque la crisi di governo e la sua soluzione costituiscono per lei un passo indietro rispetto al 1996?

"I presupposti politici su cui si è interrotta l’esperienza del governo dell’Ulivo e si è costituito il nuovo governo di centro sinistra sono stati tali _ come ha sempre ricordato il presidente Cossiga, senza trovare mai alcuna smentita nei responsabili delle forze politiche maggiori del centro sinistra _ da rischiare di minare definitivamente la proposta politica dell’Ulivo. Stando alla tesi di Cossiga, l’attuale centro sinistra nasce infatti da accordi tattici e di breve periodo tra forze politicamente antagoniste che perseguono obiettivi diversi e contrapposti. Siamo dunque ben lontani dall’Ulivo.

Ed è proprio sul diverso presupposto dell’attuale governo rispetto al governo dell’Ulivo che si è passati inevitabilmente dalla distinzione alla confusione tra il momento del governo e il momento della rappresentanza e, conseguentemente, dall’autonomia dell’esecutivo al primato delle segreterie dei partiti sull’esecutivo, riportando la coalizione di governo nella figura consueta e perniciosa per il nostro paese del governo delle delegazioni di partito".

_ Non le sembra questo un attacco al governo D’Alema?

"No. Come dissi all’indomani della sua costituzione, questo governo nasce in continuità programmatica col mio, ma in discontinuità politica. Oggi lo ripeto con maggiore consapevolezza e convinzione: sul piano del governo ne riconosco l’azione, che merita il massimo sostegno; sul piano del disegno politico, le iniziali differenze si sono ulteriormente manifestate di fronte al mio tentativo di ricostruire l’Ulivo e di superare la carica divisiva della legge elettorale europea attraverso la proposta di una lista unitaria".

_ Non pensa che la sua azione conduca a una lacerazione definitiva dei rapporti con i Democratici di sinistra?

"L’Ulivo è stato ed è un’alleanza che muove dall’unità e supera i diversi particolarismi, ma è una alleanza in piedi. Per tutte le sue componenti. Un incontro effettivo, una reale contaminazione culturale per contribuire a dare vita, dal lato della decisione politica, a quella comune trama di valori di cui è intessuta la città democratica. L’incontro della tradizione cattolico-democratica con le tradizioni riformatrici (di matrice socialista e liberale) è un incontro al centro e non al margine della politica.

Per questo apprezzo e condivido la ripresa _ sin qui parziale, ma effettiva _ che Veltroni sta realizzando della trasformazione del suo partito contro quanti interpretano l’autonomia del politico come un accordo di vertice. Qualora questa concezione risultasse determinante non potrebbe infatti che sancire nei Democratici di sinistra la sopravvivenza della logica organizzativistica e di apparato del vecchio PCI e decretare il fallimento di ogni rinnovamento. Occhetto cercò il superamento della concezione più tradizionale del vecchio PCI, rifiutando sia la concezione centralistica del partito al proprio interno sia la concezione egemonica del rapporto tra partito e società.

Il coraggio di Occhetto e l’intenzione di Veltroni debbono tuttavia fare i conti, accanto alle virtù e alla forza innovatrice della Quercia, con il condizionamento iscritto nella forma del partito, che resta ancora segnata in una parte dell’apparato dal vizio del centralismo e dell’egemonismo. Analogamente, per altre componenti dell’Ulivo, è oggi necessario superare i limiti insiti nel movimentismo. Limiti talora pesanti nella definizione di un’azione costruttiva.

Per questo è necessario che le componenti dell’Ulivo competano tra di loro per affermare e arricchire con le rispettive virtù la costruzione della coalizione piuttosto che ridursi a riproporre i rispettivi vizi.

Per questo è necessario che all’interno di ogni singola componente le diverse ispirazioni possano manifestarsi e mescolarsi".

_ Su questo, tuttavia, lei sconta la posizione di D’Alema, che ha un’altra concezione dell’Ulivo.

"Quando D’Alema afferma, come ha affermato al Financial Times: "L’Ulivo sono io", non fa battute. Manifesta quello che è da tempo il suo disegno politico. E va preso sul serio. Egli infatti procede, come già la "Cosa 2" ci aveva indicato, guidato da un disegno politico legittimo, ancorché a mio parere irrealistico e in ogni caso diverso dal nostro, secondo una logica di incorporazione e di accorpamento, in vario modo e a diverso titolo, al proprio partito dei diversi soggetti presenti nello spazio politico del centro sinistra".

_ Sul versante cattolico, la sua battaglia è oggi resa più difficile dal ridursi dell’area cattolica nel suo insieme e dal minor protagonismo delle sue singole componenti.

"Siamo entrati definitivamente in una fase nuova della nostra storia. In questa nuova stagione non esistono più nel paese culture o appartenenze maggioritarie. In questo paese i cattolici si riconoscono come minoranza: la principale delle minoranze in un paese di minoranze. Una minoranza _ come ha recentemente ricordato l’arcivescovo di Milano, il card. C. M. Martini _ consapevole della sua inadeguatezza al grande compito che l’attende, e tuttavia una minoranza impegnata e motivata, lievito nella città. In questo senso credo si debba condividere il principale dei significati civili del "Progetto culturale cristianamente orientato" formulato dalla Conferenza episcopale italiana per indicazione del suo presidente, il card. C. Ruini. Si compie un gesto significativo per la crescita del paese quando si riafferma la consapevolezza che nel nostro paese vi è una eredità di fede, di cultura e di unità, un patrimonio di valori che sono diventati dote civile dell’intera società, che sono fortemente radicati, al di là delle specifiche configurazioni politiche, negli italiani. E, analogamente, che i cattolici italiani si sono sempre sentiti parte integrante di un unico popolo, e oggi potremmo dire di un’unica nazione".

_ Che ruolo attribuisce ancora all’ispirazione cristiana della politica?

"Ho sempre sostenuto che l’ispirazione cristiana possa e debba svolgere, all’interno della coalizione dell’Ulivo, un ruolo propulsivo ed equilibratore. Esprimendo in se stessa l’urgenza della dignità della persona e l’ansia per l’autonomia della coscienza, l’ispirazione cristiana ripropone costantemente l’irrisolta tensione tra i valori e i contenuti della democrazia e la forma stessa della democrazia come valore. In questa tensione, in questa veglia responsabile è insito un autentico esercizio del principio della laicità, che tende nel confronto con le altre ispirazioni culturali ad allargare il contenuto seccamente individualistico della società civile".

_ Qual è oggi allora il contributo politico dei cattolici democratici?

"Come cattolici democratici siamo stati tra i principali protagonisti del cambiamento del paese, dapprima attraverso il movimento referendario, poi con l’Ulivo. Oggi siamo posti di fronte a scelte decisive, per noi stessi e per il paese. Dobbiamo decidere se assumerci fino in fondo la responsabilità morale e politica di dare compimento alla nostra democrazia, di fare cioè dell’Italia una democrazia bipolare e, assieme agli altri, di farci carico, conseguentemente, di una transizione dinamica che superi la logica degli accampamenti.

Possiamo scegliere, forse per l’ultima volta, tra una logica difensiva, statica, di minorità e una logica di minoranza libera e responsabile che si fa parte propositiva e propulsiva del cambiamento, che sa nuovamente ridire i valori della propria tradizione, la propria ispirazione cristiana dal centro, non dai margini del cambiamento".

_ Perché dovrebbe essere l’Ulivo la casa dei cattolici democratici?

"Superata definitivamente la funzione storica dell’unità politica dei cattolici, ritengo legittima la scelta di quanti si orientano verso l’uno o l’altro degli schieramenti e definitivamente tramontata ogni ipotesi neo-centrista. In questo senso, l’Ulivo è lo spazio nel quale vi è oggi maggiore possibilità di sviluppo del cattolicesimo democratico. E’ la forma che meglio salvaguardia l’identità e il confronto tra le diverse tradizioni culturali e ispirazioni presenti nello spazio politico del centro sinistra. Come hanno giustamente sottolineato alcuni intellettuali cattolici, noi cattolici democratici non possiamo affidare il nostro patrimonio ideale di ispirazione cristiana, espresso nei valori di libertà, di solidarietà, di sussidiarietà, a "una difesa timida e appartata" esclusivamente legata alle forme organizzative del passato. Per questo ho proposto costantemente, e da ultimo per le prossime elezioni europee, una alleanza che superasse gli apparati e le vecchie logiche.

Per questo dobbiamo rifiutare ogni alleanza che sia il semplice accordo tra apparati di partito. Questa scelta è quanto di più distante si possa pensare dall’ispirazione cristiana della politica. In essa si dà infatti della politica una concezione meramente strumentale e di scambio. La politica vi appare non come il più alto dei valori nell’opera di conseguimento del bene di tutti, ma come il più praticabile degli interessi di parte.

Se ritorniamo nuovamente al pragmatismo, all’immobilismo, si finirà per condurre inevitabilmente quel che rimane del cattolicesimo democratico in una posizione subalterna".

_ Perché Marini e i popolari non la seguono? E come interpreta il loro atteggiamento politico nell’attuale alleanza di governo?

"Non si può chiedere di essere garantiti nelle proprie quote di sopravvivenza dal maggior azionista della maggioranza. Alcuni popolari (non tutti certamente) dicono "identità di partito", ma intendono il mantenimento delle rispettive quote di potere. Ripetono "popolarismo", ma si accingono ad accordi di vertice. Non si difende così l’identità e il nome di popolari.

La DC, anche nella sua ultima fase, ebbe maggiore orgoglio di costoro. Seppe dare prova _ durante la segreteria di De Mita _ di maggiore dignità politica, di volontà di ripresa contro il craxismo e la riduzione della politica nazionale a semplice pratica spartitoria operata dal CAF. Riconosco a De Mita, dal quale pur mi separa l’interpretazione politica della transizione in atto, la capacità di aver saputo rifiutare, a suo tempo, la logica di una resistenza fondata esclusivamente sull’occupazione del sottogoverno".

_ Lei ripropone una funzione di centro da attribuirsi non solo ai governi, ma anche a una componente specifica, seppure interna al centro-sinistra. Che cosa la separa da Cossiga e da Mastella?

"Ciò che ci separa dall’UDR di Cossiga e dall’UDR di Mastella, cioè dall’UDR predicato e dall’UDR praticato è, ad un tempo, la diversa concezione del futuro bipolare del paese e la diversa memoria della tradizione cattolico democratica. Per ciò che attiene al futuro bipolare, io sono fermamente convinto che ricondurre oggi la politica europea allo schema ideologico socialisti/conservator, corrisponda a qualcosa di vecchio e di bloccante lo sviluppo politico della nuova Europa. In ogni caso, la nostra tradizione cattolico democratica non può riconoscersi in una deriva seccamente conservatrice, qual è quella assunta dalla maggioranza del Partito popolare europeo, delegando alla sinistra socialista la rappresentanza politica di gran parte del pensiero sociale. L'esperienza dell'Ulivo ha dimostrato che si possono tenere assieme le istanze di solidarietà, di libertà e di sussidiarietà in un disegno di modernizzazione del paese coerente e riformatore.

Quanto alla pratica dell’UDR, debbo ribadire che ciò che è stato deciso a Roma per la Campania, la Sicilia e la Calabria contraddice la visione sussidiaria della nostra ispirazione cristiana e la migliore tradizione laico-riformatrice che ha fatto anch’essa, storicamente, dell’autonomismo e del federalismo il punto di sviluppo della propria concezione del rapporto tra la società e lo stato. Infine, non si può fare carta straccia del patto contratto con i cittadini e sancito dal loro voto. Si tratta di un costume antidemocratico".

_ L’intesa con Di Pietro non è di oggi. Che ruolo svolgono i sindaci nella sua lista per le elezioni europee?

"L’incontro con "Centocittà" è un incontro importante, necessario. Molti dei sindaci sono stati la prima espressione dell’unità dell’Ulivo e tutti insieme rappresentano una parte importante del nuovo ceto politico, di quel ceto emerso nel processo di cambiamento degli ultimi 6 anni nel nostro paese. Dare spazio all’incontro con i sindaci è accogliere il prodotto migliore di una stagione di riforme. Senza questo incontro, molti di costoro sarebbero inevitabilmente sospinti verso l’orbita dell’apparato diessino. L’incontro con "Centocittà" è dunque il tentativo essenziale, per il rilancio dell’Ulivo, di unificare e rappresentare i processi di cambiamento sin qui sviluppatisi nel paese".

_ Lei è giunto in maniera testarda a questa scelta, con la quale deve tuttavia scontare un passaggio di divisione tra le forze della sua ex coalizione. Non si poteva davvero fare altro?

"Non posso rimanere spettatore muto mentre il paese imbocca la strada del ritorno al passato. Ma in questo andare a ritroso noi non ritroveremo il passato, questa strada ci conduce verso il caos politico.

Per questo debbo agire politicamente, affinché non si sia noi corresponsabili della dissipazione di una stagione che ha mostrato a noi stessi e all’Europa la possibilità di essere un grande paese.

Per questo alle forze politiche e a tutte quelle componenti della società che hanno la mia stessa concezione del rapporto tra la società e lo stato, a quanti hanno creduto nella novità dell’Ulivo, a quanti ritengono inderogabile il patto tra partiti e cittadini e hanno del bipolarismo la nostra visione ho proposto e propongo di unire le proprie forze.

Se avessi voluto dividere avrei lasciato fare ad altri. E’ per unire, per dare vita a una più profonda e credibile unità dell’Ulivo, che metto in gioco nuovamente il mio nome. Si tratta infatti di non abdicare a un obbligo politico. E quest’obbligo, vorrei ripetere con Luigi Sturzo, è sentito da me "non come un piccolo e trascurabile dovere, ma come uno dei più alti doveri perché la patria è uno dei più alti affetti"".

A cura di
Gianfranco Brunelli

Anticipazione Regno attualità n. 4, febbraio 1999.



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