Dopo il Governo Prodi
Dal Governo Prodi al Governo D'Alema
Intervento dell'On. Franco Monaco
Tratto dalla rivista Aggiornamenti Sociali


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1. Breve cronaca della crisi di Governo.

Le note che seguono propongono alcuni spunti di riflessione sulla crisi del Governo Prodi e sull’insediamento del Governo D’Alema. Si danno per conosciuti i passi salienti del percorso che ha condotto alla soluzione della crisi. Li richiamiamo comunque, per comodità del lettore, sia pure in forma assai schematica. Sono stati, nell’ordine:

– l’uscita dalla maggioranza deliberata dal Comitato politico di Rifondazione Comunista (3-4 ottobre), che avalla così la scelta del Segretario Bertinotti;

– l’immediata decisione di Prodi di recarsi a riferire al Quirinale del venir meno di una componente della sua maggioranza;

– il rinvio del Governo alle Camere, da parte del presidente Scalfaro, per la verifica parlamentare dell’esistenza o meno di una maggioranza che lo sostenga;

– la dissociazione di Cossutta, Presidente di Rifondazione Comunista, da Bertinotti e la conseguente rottura del gruppo parlamentare di Rifondazione (dove i rapporti di forza tra i due leader comunisti sono rovesciati rispetto a quelli nel partito);

– il voto di fiducia alla Camera, dall’esito incerto sino all’ultimo minuto, con un risultato a sorpresa: la fiducia a Prodi è respinta per un solo voto, e si apre così formalmente la crisi (9 ottobre);

– consultazioni accelerate di Scalfaro e reincarico esplorativo a Prodi che, in ventiquattro ore, rinuncia a motivo della pretesa dell’udr (Unione Democratica per la Repubblica), guidata da Cossiga, che Prodi rinneghi la maggioranza dell’Ulivo che lo ha espresso;

– si aggiunge la dichiarata (da Cossutta) incompatibilità tra il Partito dei Comunisti Italiani (la nuova formazione guidata da Cossutta) e l’udr di Cossiga;

– nuove consultazioni di Scalfaro e incarico al Segretario dei ds (Democratici di Sinistra) D’Alema (16 ottobre), il cui nome è concordemente proposto dalle forze dell’Ulivo per un Governo politico, accantonando le ipotesi di Governo tecnico o di Governo istituzionale;

– D’Alema si piega alle condizioni dell’udr, ottiene il sì di Cossiga e di Cossutta, scioglie positivamente la riserva e, dopo alcuni giorni (segnati da frenetici negoziati coi partiti), il 21 ottobre presenta la lista dei ministri, che, poche ore dopo, prestano giuramento davanti al Capo dello Stato;

– il Governo D’Alema ottiene la fiducia alla Camera il 23 ottobre (con 333 voti favorevoli, 281 contrari, 3 astenuti) e al Senato il 27 ottobre (con 188 voti favorevoli, 116 contrari, 1 astenuto) (1).

2.Cause e modalità della caduta del Governo Prodi.

1. Se non si vuole indulgere alla fantapolitica ma stare ai fatti, la causa prossima della caduta del Governo Prodi sta nella rottura della maggioranza politica del 21 aprile 1996 provocata da Bertinotti. Una rottura premeditata, maturata e in verità annunciata da tempo, che poco ha a che vedere con i contenuti della legge finanziaria, e deliberata studiatamente alla vigilia del "semestre bianco" (2), quando viene meno l’arma dissuasiva delle elezioni anticipate.

A suggerire tale rottura stavano due ragioni:

a) un disinvolto calcolo politico-elettorale, e cioè l’intenzione di lucrare, stando all’opposizione, una vasta rendita di posizione, alimentata sia dal diffuso e reale disagio sociale, sia dalla prevedibile formazione di un Governo contrassegnato da un asse politico spostato al centro e dal sapore compromissorio;

b) la coerenza con quella cultura dell’antagonismo sociale di cui Bertinotti è espressione.

Solo non era stata messa nel conto la rottura di Rifondazione Comunista cui è stato costretto Cossutta, per temperamento e per cultura (quella comunista più classica) incline al realismo, all’interazione dialettica con le forze altre da sé e ossessionato dal varco che si sarebbe aperto alla destra nell’ipotesi di un traumatico scioglimento delle Camere.

2. Anche sul voto di fiducia a Prodi sono fiorite leggende. Le cose sono più semplici. Checché se ne pensi, a quel voto non ci si poteva sottrarre. In primo luogo, perché così prescrive la dignità politico-costituzionale di un Governo quando viene meno un segmento della sua maggioranza. L’auspicato ripristino della legalità e di comportamenti a essa conformi vale anche per i profili costituzionali. Del resto, con la legge finanziaria già depositata alla Camera, la maggioranza, impegnata nel suo esame, sarebbe andata in minoranza ogni giorno in Aula e in Commissione, logorandosi a dismisura. In secondo luogo, quel voto di fiducia non poteva essere evitato perché Prodi, in nome della coerenza con i canoni della democrazia maggioritaria bipolare e con la "filosofia" dell’Ulivo, si era vincolato al perimetro della maggioranza che lo aveva espresso e dunque poteva solo confidare sul ripensamento di Rifondazione Comunista oppure sulla sua rottura, sperando che fosse sufficiente per assicurargli una base parlamentare. Dal canto suo, Cossutta non avrebbe avuto la forza e il coraggio di rompere se non di fronte alla drammatizzazione connessa a un voto di fiducia. Su questo fronte Prodi si è impegnato e ha scommesso.

Ci si chiede però: se anche il voto di fiducia fosse passato, come avrebbe potuto reggere una maggioranza così risicata? Si aveva notizia di una fortissima tensione, interna all’udr, tra la componente ex cdu più legata al Polo e quella ex ccd che col Polo aveva consumato una rottura senza rimedio. Si pensava cioè che sarebbe bastato un esito diverso del voto, perfettamente possibile, per innescare processi politici diversi, a cominciare dalla spaccatura dell’udr, con l’ingresso nella maggioranza, e segnatamente nel ppi, di un gruppo di parlamentari sufficiente a ripristinare una modesta superiorità numerica rispetto all’opposizione. In questo modo si sarebbe tenuto fede all’impegno di non alterare la maggioranza uscita dalle elezioni. Del resto, alla Camera, all’avvio della legislatura lo scarto tra maggioranza e opposizione era di solo sette unità. Come si vede, la linea di condotta seguita da Prodi rispondeva sia a una logica politica, sia a una limpida prassi costituzionale, sia, soprattutto, a un’esigenza di coerenza personale e politica, quella di non discostarsi dalla maggioranza legittimata dal corpo elettorale.

3. Per decifrare il convulso svolgimento della crisi non è necessario fare ricorso alla teoria del complotto e della congiura di palazzo. Più verosimile è l’ipotesi che, nella difficile situazione originata dalla rottura autonomamente decisa da Bertinotti, sia scattato, con l’anticipo di qualche mese, un piano fissato per la primavera prossima, quello della cosiddetta "staffetta" tra Prodi e D’Alema a palazzo Chigi. Un piano di cui si vociferava da tempo, siglato dai leader dei due partiti cardine della maggioranza, ds e ppi, e accelerato dallo stato di necessità. Si può supporre che, a incoraggiare l’accelerazione dell’avvicendamento cui D’Alema non ha mai fatto mistero di mirare, sia stato l’esito delle elezioni tedesche, con l’ennesima vittoria in Europa di un leader socialista, così da portare a tredici su quindici i Paesi dell’Unione Europea guidati da esponenti di quella tradizione. Perché l’Italia — si sarà chiesto D’Alema — dovrebbe fare eccezione? In questa chiave si possono spiegare: a) il misterioso reincarico a Prodi, palesemente votato al fallimento, ma funzionale allo scopo di bruciare altre soluzioni (quella del Governo tecnico di Ciampi, quella del Governo istituzionale di Mancino) e di aprire invece la strada a D’Alema; b) non una parte attiva, ma quantomeno un difetto di resistenza dei Popolari di fronte alla prospettiva della premiership del leader dei ds.

Certo, decisiva è stata la parte svolta dall’udr di Cossiga. È difficile sottacere la circostanza, di sicuro non apprezzabile sotto il profilo etico e del costume, che l’udr è una semplice formazione parlamentare entro la quale convergono rappresentanti eletti sotto le insegne del Polo. Contestualmente, però, è opportuno fare due rilievi: a) la fuga dal Polo suggerisce qualche considerazione critica sulla qualità dell’opposizione da esso svolta; b) in termini di legittimità costituzionale, dentro una democrazia parlamentare quale la nostra, la nuova maggioranza che sostiene il Governo D’Alema (e prima ancora l’incarico a lui conferito dal presidente Scalfaro) è ineccepibile: sia perché le maggioranze si formano in Parlamento, sia perché i parlamentari non hanno vincolo di mandato, sia perché D’Alema è il leader del partito più rappresentativo nell’alveo della maggioranza che ha vinto le elezioni.

4. Ciò detto, non si possono non rilevare, di converso, i "tratti di eccezionalità" (lo ha riconosciuto lo stesso D’Alema) dei modi attraverso i quali il nuovo Governo si è costituito. Modi che segnano una obiettiva regressione rispetto ai moduli di una democrazia maggioritaria e bipolare, la quale prescrive che al corpo elettorale siano sottoposti, insieme, programma, coalizione e candidato premier, e che conferisce non solo un "mandato a rappresentare" ma anche un "mandato a governare".

5. Le condizioni capestro poste a Prodi (e non a D’Alema) dall’udr, ossia la sconfessione formale del progetto dell’Ulivo, e la incompatibilità tra l’udr e il nuovo Partito dei Comunisti Italiani dichiarata da Cossutta, hanno costretto Prodi alla rinuncia. Una rinuncia all’insegna di una esemplare coerenza. È da chiedersi: perché Cossiga ha concesso a D’Alema ciò che non ha concesso a Prodi? La risposta è semplice: perché l’Ulivo e il suo uomo-simbolo sono l’espressione, lo strumento, il laboratorio di un’intesa organica e strategica tra popolarismo e sinistra riformista. L’esatto rovescio della strategia di Cossiga e, in certo modo, anche di D’Alema, ispirate piuttosto alla più tradizionale idea di una cooperazione a tempo, prescritta dall’emergenza e da un giudizio severo su un’opposizione ostaggio di Berlusconi. Con l’intento però, da parte dell’udr, di ereditare il consenso di Forza Italia, di spingere ai margini an, di attrarre a sé i Popolari così da ricalcare lo schema tedesco.

Un progetto da sperimentare già alle prossime elezioni europee, per poi sanzionarlo alle elezioni politiche, idealmente situate alla fine naturale della legislatura (di qui l’avallo a una ipotesi di Governo politico che si spera duri per l’intera seconda parte della legislatura). E con il proposito, speculare, di D’Alema di proporre sé e la sinistra, dopo una esperienza alla guida del Governo, come candidati in proprio, autonomamente, a una leadership di Governo, in conformità con la maggior parte delle espressioni della famiglia del socialismo europeo.

La prospettiva ha il pregio della chiarezza, in quanto mira a conformare il sistema politico italiano allo schema prevalente in Europa. Se si considerano le dimensioni del Polo, sulla cui dissoluzione si scommette, il disegno è altresì ambizioso e, per certi aspetti, apprezzabile, in quanto prefigura un elevamento della qualità democratica del confronto. È bene però che i Popolari siano consapevoli della portata strategica di una partita di cui essi sono al centro; infatti la soluzione del Governo D’Alema, col sostegno dell’udr, risolve nell’immediato il problema della stabilità-governabilità, ma pone le premesse di una alternativa strategica che si farà sempre più stringente per tutti, ma soprattutto per i Popolari: se essere una componente autonoma ma organica del fronte riformista europeo oppure una componente di un blocco conservatore ancorché democraticamente affidabile; se, nell’impasto di culture di cui sono eredi, privilegiare il cattolicesimo democratico e sociale che guarda a sinistra o il cattolicesimo liberale di orientamento conservatore.

Come si vede, la disputa intorno alle sorti dell’Ulivo nella fase che si va aprendo è tutt’altro che cavillosa e astratta. Concretissime sono le sue implicazioni sull’evoluzione dell’intero sistema politico e dirimente al riguardo sarà il contributo dei Popolari.

3. Il Governo D’Alema.

Che dire, dunque, del Governo D’Alema?

a) Esso ha il merito di assicurare stabilità e governabilità, scongiurando la prospettiva traumatica e nociva per il Paese di elezioni anticipate, e dell’esercizio finanziario provvisorio alla vigilia della parità lira-Euro.

b) Inoltre, esso assicura la continuità ideale e programmatica di una prospettiva di centro-sinistra, la meno difforme, nelle condizioni attuali, dal senso del pronunciamento degli elettori, che peraltro al Senato tuttora consente l’autosufficienza della maggioranza dell’Ulivo. Espressione significativa di tale continuità programmatica è la conferma della legge finanziaria già scritta e consegnata al Parlamento dal Governo Prodi.

c) Il cambio di maggioranza ha due facce: da un lato, forse, l’esclusione di Bertinotti e l’allargamento della base parlamentare del Governo dovrebbero assicurare un percorso meno accidentato; dall’altro, per converso, entro tale maggioranza convivono prospettive strategiche divaricate, specie con riguardo alla futura dislocazione delle forze di centro, alleate ovvero alternative alla sinistra. Il che rappresenta un oggettivo elemento di debolezza per il Governo, segnato appunto dall’assenza di un coerente e univoco orizzonte strategico.

d) Un positivo elemento di novità è rappresentato dalla disponibilità al dialogo manifestata dalla Lega Nord, che sembra abbandonare le velleità secessioniste, raccogliendo l’appello di D’Alema a un nuovo inizio del processo di riforma istituzionale e costituzionale, affidato alle cure di un ministro autorevole come Giuliano Amato.

e) Un arretramento, certo, si registra sul piano dei canoni di una democrazia competitiva e bipolare, ove le soluzioni di governo sono espressione più diretta della volontà dei cittadini e non di movimenti interni ai gruppi parlamentari.

f) Così pure, l’intera regìa della crisi e la stessa soluzione di essa sono state per intero appannaggio dei vertici di partito. Bastino due riscontri: la bassa tensione emotiva e partecipativa che ha accompagnato l’insediamento del nuovo Governo, specie se rapportata all’entusiasmo che circondò l’inizio del Governo dell’Ulivo; lo spettacolo, dal sapore sgradevole e antico, offerto nei giorni della formazione del nuovo Governo, ove i posti di ministro e di sottosegretario sono aumentati di numero per contentare gli appetiti di uomini e partiti. Non fu così col precedente Governo, non perché i protagonisti fossero più virtuosi, ma perché il premier, legittimato dagli elettori, godeva di superiore autorevolezza e forza politica per far rispettare la lettera dell’art. 92 della Costituzione che esclude i partiti dalla scelta dei ministri.

4.Questioni aperte.

Ma, ben oltre il controverso giudizio sul nuovo Governo, merita segnalare tre grandi questioni aperte che largamente trascendono le sorti di un esecutivo.

a) Sono in causa, anzitutto, la regressione o lo sviluppo del carattere bipolare del nostro sistema politico, che, con tutti i suoi limiti e ancorché non sanzionato da regole elettorali e istituzionali adeguate, ha mostrato di favorire un di più di stabilità e di alternanza.

b) In secondo luogo, ci si chiede quale potrà essere il posizionamento e la sorte del centro e segnatamente dei Popolari nel sistema politico italiano.Sono oggi alleati con la sinistra per stato di necessità (per il giudizio comune a entrambi circa l’anomalia dell’opposizione berlusconiana) o per affinità ideale e politica? Di conseguenza, sono destinati a un rapporto competitivo/alternativo con la sinistra, oppure a una sempre più stretta cooperazione con essa?

c) Vi è, infine, la questione del discrimine politico tra laici e cattolici. Ciascuno a suo modo, Polo e Ulivo scommettevano sulla possibilità/utilità di far cadere tale storica barriera promovendo piuttosto una convergenza tra laici e cattolici intorno a un concreto programma politico rispettivamente di centro-destra o di centro-sinistra, operando, per così dire, una "riduzione della politica allo stato laicale", una sua sana deideologizzazione.

All’opposto, il bipolarismo patrocinato da Cossiga, ancorché operante in vari Paesi europei, in Italia, stante l’alto tasso di ideologizzazione della contesa politica e lo storico contenzioso nazionale tra laici e cattolici, avrebbe di fatto, anche al di là delle intenzioni, l’effetto di opporre un centro (-destra) a dominanza cattolica a una sinistra di marca laicista. Uno scenario, questo, che costringerebbe il cattolicesimo democratico e sociale entro un vicolo cieco, imponendogli la secca alternativa tra una subalternità ai ds, magari ben ripagata sul piano del potere (un po’ come si è fatto nella compagine governativa testé varata), e una sua innaturale caratterizzazione conservatrice quale quella di un certo popolarismo europeo.

È da auspicare che ai Popolari non sfugga che proprio il progetto dell’Ulivo assicura loro, al tempo stesso, un massimo di identità/autonomia e la prospettiva, decisamente a loro più congeniale, di una collaborazione organica e strategica con la sinistra italiana dentro un comune fronte riformista. La vigilanza, al riguardo, è d’obbligo: l’appuntamento delle elezioni europee, tenuto conto della legge elettorale proporzionale e della polarità socialisti contro popolari, potrebbe infatti far segnare un altro punto a favore della strategia di Cossiga. La quale, invece, in Italia, deve fare i conti con il vasto consenso di cui tuttora beneficia il Polo e che non sarà così facile ereditare da parte delle forze di centro, oggi corse a sostegno di un anomalo centro-sinistra ma strategicamente orientate a opporsi alla sinistra. La partita comunque è aperta e merita di essere seguita.

(1) Sulla composizione del nuovo Governo, cfr., in questo stesso fascicolo, S.Femminis (a cura di), Composizione del Governo D’Alema, pp. 917 s.

(2) Gli ultimi sei mesi di carica del Presidente della Repubblica, durante i quali il Capo delloStato non ha più la facoltà di sciogliere le Camere.



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