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L'INTERVISTA / L'esponente dei Democratici non è ottimista sul dopo-voto: sulle riforme siamo distanti «Tornare all'Ulivo? Sarà difficile» Parisi, consigliere del Professore:
«No, il futuro accordo sarà una cosa impegnativa. Esistono delle differenze sulle quali è necessario riprendere e sviluppare un confronto. Ad esempio le riforme istituzionali: un tema sul quale noi richiamiamo l'attenzione sin dallo scorso novembre. E invece le forze dell'Ulivo sono arrivate assai divise all'appuntamento referendario. Questa non è una cosa da poco». «La divisione sul voto referendario nasconde differenze maggiori. Noi pensavamo di averle composte con il programma dell'Ulivo, la tesi numero 1 su "forma di governo ed elezioni" per noi è ancora valida. Forse per altri non è così. Dunque dobbiamo ancora discutere. C'è bisogno di trovare dei punti solidi per riprendere il cammino insieme là dov'è stato interrotto». Il momento dell'interruzione è il «cambio della guardia» Prodi-D'Alema a Palazzo Chigi? «Sì, i problemi dell'Ulivo sono nati lo scorso ottobre, con la formazione del governo D'Alema, quando per formare quell'esecutivo fu accettata una pregiudiziale contro l'Ulivo imposta dall'Udr di Cossiga. Allora s'inizia la crisi dell'Ulivo». Eppure Salvi dà tutta a voi la colpa dell'episodio che fa dire a molti oggi «l'Ulivo è morto», ovvero la rottura sul simbolo comune per le Europee. Dice che l'Asinello è «nato più per distruggere che per costruire». «A Salvi rispondo che non si può cominciare la storia da dove uno preferisce. Nel corso di questi mesi, noi Democratici abbiamo cercato di superare le divisioni. E abbiamo fatto anche dei passi avanti, perché alcune confusioni tra le diverse forze della maggioranza sono state superate. È restata una distinzione tra le forze che all'Ulivo appartengono e quelle che non vi appartengono, pur facendo parte della stessa maggioranza parlamentare. Abbiamo costruito, non distrutto. Certo, non siamo riusciti a portare a compimento l'opera per le Europee: volevamo il ritorno, con il simbolo dell'Ulivo, di una dichiarazione di solidarietà politica, e non il semplice ricordo di un'esperienza positiva. E su questo dobbiamo registrare una battuta d'arresto». Davvero non avete mai peccato di eccessiva durezza? Sa che, a questo proposito, lei è considerato da molti l'«anima nera» di Prodi, il consigliere che lo spinge allo scontro anziché all'accordo? «Il gioco delle parti è sempre alla ricerca di un capro espiatorio. Ma Prodi è sufficientemente adulto per cercare e trovare da solo le strade. Nell'ultima trattativa, poi, i Democratici non erano rappresentati da me, ma da Rutelli e dalla Magistrelli. Quanto ai soprannomi li lascio ad altri, io mi ritengo persona ferma sul piano dell'analisi e flessibile su quello dell'azione. Mi riconosco, insomma, una certa fermezza per quanto riguarda il perseguimento del progetto dell'Ulivo, ma so anche che l'Ulivo si ricostruisce assieme. E dunque bisogna anche sapere recedere da posizioni considerate in un primo tempo non negoziabili». L'avete fatto in questa occasione? «Abbiamo ceduto tre volte di seguito: come vede, la nostra fermezza è piuttosto elastica. Io ero disponibile a condividere la proposta di Veltroni, ho incoraggiato i Democratici ad agire in questo senso. Poi però Marini...». ...Aveva una posizione inconciliabile con la vostra. «Si è manifestata una diversità significativa con il Ppi di Marini. Noi ci limitavamo a chiedere che non ci fosse alcuna possibilità che le solidarietà europee, come quella tra Popolari e Forza Italia, fossero trasferite in Italia e portassero a divisioni. Tutto qui». A proposito di divisioni: Vattimo riconosce che voi Democratici siete depositari, come i Ds, dell'esperienza dell'Ulivo. Ma poi per candidarsi a Strasburgo sceglie la Quercia... «Riconosce che l'Ulivo è un progetto collettivo che coinvolge più forze. Lui ha oscillato e ha finito per fondare la sua scelta su un calcolo elettorale: i Ds gli davano maggiori assicurazioni sulla sua elezione al Parlamento europeo. A questo punto mi permetto di avanzare dei dubbi sulla qualità politica di questa scelta. Una scelta legittima e diciamo così... umana. Ma la politica non c'entra. Può avere un fondamento la sua obiezione che il sostegno organizzativo nostro sia inferiore a quello dei Ds. Loro sono una struttura solida, organizzata e coesa e in questa qualità sta anche uno dei loro principali difetti». Voi Democratici, movimento appena nato e fragile, il 13 giugno vi giocate tutto, soprattutto dopo la sconfitta del referendum. Cacciari dice che se non otterrete almeno il 10 per cento si porrà il problema di chiudere bottega... «Io credo che il 10 per cento sarebbe un super-risultato, ma naturalmente
Cacciari è ambizioso e allora lo considera un risultato disprezzabile.
Non condivido il suo giudizio. Comunque cifre non ne faccio e considero
i sondaggi, che girano in questi giorni, inaffidabili. Addirittura ne
sospetto l'uso strumentale».
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