D'Alema è migliorato
può essere il leader
Parisi: sulle pensioni siamo d'accordo
dal nostro inviato MARCO MAROZZI
SASSARI - D'Alema, vi piace di più o di meno, man mano passa
il tempo? "Direi certamente di più. Però il tempo corre
più in fretta dei comportamenti umani, figurati quelli politici...
E purtroppo ce ne è molto poco".
Arturo Parisi si gratta la barba e svicola solo un secondo. Poi, nella
sua Sassari da dove sta per dare addio alle vacanze, corre su tutto
il fronte del ritorno alla politica. Dai Democratici che guida, lui
voce italiana, consigliere e consigliato di Romano Prodi, a D'Alema,
Mattarella, Bertinotti, Bossi, Di Pietro, Fini... Spigoloso, ma attento,
ripete, a cercare un "apporto positivo". "Lasciamo perdere le bacchettate.
Ci sono ancora 500 giorni, poi bisognerà rendere conto agli elettori.
E prima c'è il voto regionale. Va recuperato il senso dell'orgoglio
di quello che si è fatto, il senso del cammino unitario della
legislatura. Dal 26 aprile '96, quando vinse l'Ulivo".
Allora c'era Prodi, oggi D'Alema. Davvero qualcosa si è mosso
fra voi e lui?
"Va riconosciuto che sta entrando nel ruolo, ma parte da molto lontano:
dalla sua storia di segretario di partito, che ha esordito con un governo
dei partiti e dei segretari. Ha ancora tantissima strada davanti, tuttavia
confidiamo che riesca per le prossime elezioni ad essere il leader di
una coalizione. Non di un cartello elettorale. C'è una continuità
programmatica fra i due governi, ma una discontinuità politica.
Noi lavoriamo per superarla. In fondo abbiamo il Partito Democratico,
pur sapendo che in mezzo ci sono fasi intermedie... Noi sosteniamo lealmente
il governo e confidiamo nelle capacità di cambiamento del presidente.
E in quella che i cattolici chiamano... grazia di Stato".
Ora D'Alema è sotto tiro sull'occupazione.
"Penso sia giusto dare conto dei risultati passati e porsi delle mete.
Parlare di un milione di posti è impegnativo, fin imprudente.
Però D'Alema lo accusano sempre di essere un calcolatore un po'
avaro, una volta che lancia il cuore oltre l'ostacolo... Meglio mettersi
alla prova, darsi obiettivi alti".
E le pensioni?
"Condividiamo la linea del governo. Non piantiamo bandierine per marcare
diversità. Diciamo però: le riforme si facciamo, finiamo
quel che si è messo in campo. La gente è stanca di annunci:
di nuove leggi che non si faranno. Ci sono solo 500 giorni".
Prima ci sono le elezioni regionali. Come la mettiamo con Rifondazione?
"Io dico patti chiarissimi, amicizia lunghissima. Escludo ogni accordo
di desistenza, si fa poca strada, si è visto. Nel maggioritario
si vince non per la quantità dei proponenti, ma per la qualità
della proposta. Quindi reale programmi unitari. Di legislatura, su cui
rendere conto agli elettori alla fine, non a metà percorso. E'
faticosissimo, ma il rapporto di Bertinotti con il governo Prodi fra
tanti aspetti negativi ne ha avuto anche qualcuno positivo".
Quali?
"L'accettazione del progetto Europa. Il Prc era assolutamente ostile,
poi capì che era il nuovo orizzonte politico. Anche questo si
può ricordare del passato. In positivo".
Non è la paura di Berlusconi a muovervi tutti quanti?
"Nel maggioritario la paura può essere consapevolezza delle diversità
con gli avversari e ricerca di quel che unisce: la solidarietà,
la coesione sociale. Con Darhendorf non abbandoniamo l'utopia di quadrare
il cerchio".
Anche con Mastella?
"Lui della coesione sociale è più preoccupato di tanti
altri. Ma purtroppo spesso la interpreta da rappresentante del partito
della spesa pubblica, della tradizione statalista. Eppoi c'è
sempre il vecchio nodo della sua accettazione chiara del bipolarismo".
Mattarellla vi invita a costruire il Centro del centrosinistra.
"Roba di un'altra epoca. Ho controllato due volte la data del giornale.
Mi sembrava di essere prima del '96, prima delle elezioni europee che
si è visto come sono finite. Il suo concetto di centro e quindi
il suo rapporto con la sinistra è superato. Il centro non è
un pezzo dello spazio politico, ma un punto a cui tutto il sistema politico
ormai tende. Persino Rauti quando rifiuta la xenofobia".
Pure Bertinotti e Cossutta?
"In certa misura... Bertinotti quando ha accettato l'Europa, Cossutta
la governabilità".
E Silvia Baraldini? E l'andata a Belgrado durante la guerra? "Vi sono
continue tentazioni a tornare indietro. Ed è inevitabile se c'è
un governo dove i partiti sono il primo riferimento".
Anche voi dell'Asinello non scherzate. Tanti voci, ora che Prodi non
c'è. La Forgia si dice sconsolato.
"Siamo un approdo di storie diverse, pluraliste. Ma la disciplina è
maggiore e le diversità sono incomparabilmente minori che in
tutte le altre forze, grandi e piccole".
Di Pietro va ai banchetti referendari di An, parla da padrone del partito.
"Non è vero, in questi mesi la sua disciplina è stata
encomiabile. La presenza ai banchi referendari è concordata.
La prossima settimana tutti noi Democratici ci muoveremo per sostenere
le iniziative sul sistema elettorale maggioritario dei radicali e di
An".
Fini però dice che con questa maggioranza non ci sta più
a parlare di riforme.
"Un'inutile esibizione muscolare. Sa benissimo che le regole si scrivono
insieme. E lo stesso suo referendum è e vuol essere trasversale".
Con un muscolare storico, Bossi, come la mettete?
"La sconfitta dei rischi di spaccare in due il Paese, Nord contro Sud,
sono con l'Europa uno dei punti di forza raggiunti dall'Ulivo. Si è
stati capaci di confrontarsi con la domanda giusta di autonomia, di
federalismo ed annullare le risposte sbagliate di Bossi. Il confronto
non è concluso, si tratta di vedere se la Lega vuole continuare
in solitudine per la sua strada sciagurata e perdente o accettare di
cambiare".