Intervista di Arturo Parisi a la Repubblica
27 luglio 1999

Meglio vincere con D'Alema
che perdere con qualcun altro

Arturo Parisi, coordinatore dell'Asinello, rilancia il partito Democratico:
"E' quello il nostro approdo"

di SEBASTIANO MESSINA

ROMA - Prodi che abbraccia cameratescamente Clinton e Kohl. Prodi che prova gli stivali clintoniani col primo ministro giapponese. Prodi che chiacchiera con Blair in maniche di camicia. C'è un intero album fotografico del regno di Romano I, re dell'Ulivo, sulle pareti di questa stanza che si affaccia su piazza Santi Apostoli. E infatti questo doveva essere lo studio di Prodi nel quartier generale dei Democratici, uno studio presidenziale con il tricolore e la bandiera europea dietro la scrivania. Prodi però ci ha abitato per un paio di settimane, poi è è decollato per Bruxelles. Le foto sono rimaste, lui non verrà più qui. Sulla sua poltrona presidenziale ora dovrebbe essere seduto Arturo Parisi, il professore sardo-bolognese al quale Prodi ha affidato lo studio, le bandiere e il partito. E invece Parisi non ci si siede, su quella poltrona: prima sceglie una sedia, poi si alza in piedi, poi sprofonda in un divano. "Sono qui di passaggio", spiega: lo dice sorridendo, ma non scherza affatto. "Confermo con orgoglio la mia appartenenza alla categoria dei dilettanti. Non passo al professionismo, con tutto il rispetto per i professionisti".
Professore, che effetto fa guidare il partito di Prodi senza Prodi? Avverte la sua ombra? Sente la sua presenza immanente?
"L'interesse di Romano per la politica italiana mi sembra legittimo e ineludibile. Sono sicuro però che questo avverrà nel rispetto della forma e degli obblighi che gli vengono dal nuovo incarico europeo. Anche gli altri, però, devono accettare il suo nuovo ruolo...".
Cioè dovrebbero fuggire la tentazione di risolvere con lui i problemi con i Democratici.
"Esattamente".
Però se voi non li creaste, i problemi...
"Fermo lì. Noi abbiamo appena messo i controrazzi".
Prego?
"Sì, i controrazzi per contrastare la spinta di chi ci dipinge come i destabilizzatori del governo D'Alema".
Parla dell'incontro che avrete giovedì con il presidente del Consiglio?
"Non solo. Abbiamo aderito all' assemblea dei senatori con lui, e suggerito la riunione dei direttivi dei gruppi del centrosinistra".
Però continuate a rifiutare un vertice della coalizione.
"Potrei risponderle che se avessimo convocato la riunione, avremmo trasmesso in diretta l'uscita di Buttiglione dalla maggioranza: niente male come inizio di rilancio".
Ma perchè vi impuntate su una riunione?
"Perchè non vogliamo legittimare il disegno di chi considera questa alleanza solo un cartello elettorale, senza progetto e senza strategia, e ha già dato per morto e sepolto l'Ulivo".
Insomma, perché non volete darla vinta a Cossiga. Dunque siamo ancora fermi al 14 ottobre, al giorno in cui lui affondò l'Ulivo?
"Esattamente. Quel giorno l'Ulivo si è sciolto. Noi vogliamo rifondarlo, rilanciarlo, recuperarlo, e loro mettono il veto".
Il progetto dell'Ulivo vale più della sopravvivenza del governo D' Alema?
"Le due cose non sono in contraddizione, anzi".
E se il governo cade davvero? E se si va alle elezioni e vince il Polo?
"Sa perchè il Polo conquista consensi? Perchè quando fanno una foto dei leader sono solo in tre, e stanno pure larghi. E poi perchè danno l'immagine di un'alleanza stabile, non reversibile. Voglio dire che per vincere non serve la quantità di partiti ma la quantità dei voti. E la quantità dei voti dipende dalla qualità della proposta. Invece qualcuno continua a pensare che la battaglia con il Polo si vinca sommando una serie di pacchetti di voti preesistenti".
Parla di Massimo D'Alema?
"Parlo di una concezione sociologica tradizionale piuttosto diffusa. Ha letto cosa dice Mastella? "I miei voti sono personali, lo schieramento non c'entra". E dal suo punto di vista ha sicuramente ragione. Ma l'Italia è più grande della provincia di Benevento. Per vincere bisogna conquistare i voti dei giovani e il consenso dell'elettorato metropolitano: e qui conta solo la forza della tua proposta politica".
Scusi la franchezza, professore, ma non è che voi state ancora facendo scontare a D'Alema la caduta del governo Prodi? Non è una vendetta postuma, la vostra?
"Niente affatto. Noi riusciamo ancora a tenere lontane le viscere dalla testa".
Però le viscere...
"Le viscere hanno anche loro una memoria, certo. Ma non ci impediscono di prendere consapevolezza dei meriti del governo D' Alema, che pure ha operato in condizioni molto sfavorevoli. Io che ho vissuto due anni e mezzo a Palazzo Chigi posso immaginare quanto devono essere state dure alcune giornate degli ultimi nove mesi. Se poi penso a come ha guidato la vicenda del Kosovo, non posso non riconoscere al presidente del Consiglio sicure qualità di uomo di Stato".
E' uno statista, ma non può essere il leader del nuovo Ulivo. E' così?
"Si sbaglia. Noi pensiamo che possa diventarlo, se sarà l'interprete della coalizione piuttosto che il rappresentante dei Ds".
Allora sarà lui il candidato premier dell'Ulivo Due?
"E' un discorso ozioso. La questione è semplice: o D'Alema governa bene, e allora sarà inconcepibile pensare a un altro, oppure gli va male, e allora il centrosinistra perde comunque, con lui o senza di lui. Perciò, come avrebbe detto Catalano, è meglio vincere con D'Alema piuttosto che perdere con un altro".
Cosa gli direte, giovedì, nel vostro primo incontro ufficiale?
"Che sosteniamo lealmente il governo".
Questo per l'immediato. Ma a chi vi ha votato come portatori di novità, cosa offrite?
"C'è un sogno che ci ha guidati in questi anni, un sogno che per qualcuno è un incubo ma che per noi è il vero punto d'approdo: il Partito Democratico. Noi avvertiamo il dovere di custodirlo ma anche di farlo vivere, questo sogno, e non tra dieci o vent'anni".
E quando, allora?
"Presto. E' un tema che non riguarda il futuro ma il presente".
E chi ci dice che invece voi non vogliate difendere il vostro posto al sole?
"Ascolti: noi siamo disposti a scioglierci in qualsiasi momento, anche domani, in un Partito Democratico che sia figlio dell'Ulivo".
Quindi voi siete per il bipartitismo?
"Non c'è dubbio. Siamo per un sistema politico in cui ognuno possa trovare il suo posto. Ma un posto e un posto solo. Senza più forze che stanno oggi qua e domani là, e altre che non stanno né qua né là".
E in concreto, come pensate di arrivarci?
"Intanto appoggiando i due referendum per l'eliminazione della quota proporzionale, che è una delle cause principali della moltiplicazione dei partiti. Se passa quel referendum, andiamo dritti verso il bipartitismo".
Anche se le firme le raccolgono Fini e Pannella?
"Se è per questo c'è anche Segni. E poi, come diceva Mao, non mi interessa di che colore è il gatto, l'importante è che acchiappi i topi".
Un'ultima domanda, professore. D'Alema ha detto che lei gli ricorda Hailé Selassié. S'è offeso?
"Ma per carità. Il Negus è stata una delle personalità più autorevoli della resistenza al fascismo. Un imperatore. Il re dei re. L'ho preso per un complimento. Sono altre le cose dette da D'Alema che non mi sono piaciute per niente".
E quali?
"Ah, quelle gliele racconterò un'altra volta...".

Il futuro ha radici antiche