[GARGONZA:9150] R: Re: R: Re: Sexually correct
Alexis Kilismanis  Mercoledi`, 12 Luglio 2000

-----Messaggio originale-----
Da: Nadia Cari' <nadia-c@libero.it>

>Sono molto perplessa.
>Il problema non e' di facile soluzione: quello su cui bisognerebbe
>chiarirsi, a questo punto, e qui do ai miei interlocutori il grosso
>beneficio del dubbio che possano avere ragione loro sulle possibili
>intenzioni della proponente, e' se la regolamentazione della
>prostituzione si voglia porre in essere per perseguire un'
>"operazione di perbenismo", "redenzione" e "pulizia delle strade"
>e, magari, con l'occasione, aumentare un po' gli introiti dello
>Stato, oppure se si desideri, con reale determinazione, porre fine
>a quella vergogna che e', non la prostituzione in se', quanto lo
>sfruttamento della stessa.


Io  non riesco a "pesare" le due vergogne e compiere una scelta fra le due:
la commercializzazione del sesso cioe' la prostituzione in se' e la
commercializzazione della stessa.
Sara' perche' mi ripulsa l'attuale tendenza generalizzata di "mercificare
ogni aspetto della vita".
Tanto per arricchire la gamma dei pareri sull'argomento, riporto anche
quello di Michele Di Schiena.
Ciao
Alexis
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LA LOTTA ALLA PROSTITUZIONE E LA PROPOSTA TURCO

La legge Merlin sulla prostituzione è stata un’ottima legge dell’Italia
della ricostruzione e della speranza, di un Paese con una classe dirigente
che in larga parte credeva nella Costituzione e voleva farla vivere nell’
ordinamento giuridico, nella cultura e nel tessuto sociale. La proposta di
riforma del Ministro Livia Turco è uno dei tanti sintomi di una fase
diversa, priva di grandi tensioni ideali e segnata da una politica che
appare in ritirata sul fronte della promozione dei valori costituzionali,
che non ha più il coraggio di immaginare un futuro migliore e che perciò
rinuncia al cavallo alato della passione liberante e trasformatrice per
ripiegare sul mesto ronzino della rassegnazione e dell’opportunismo.
Sotto gli stimoli di una ideologia incline a mercificare ogni aspetto della
vita, stiamo rischiando di imboccare una strada che ad ogni piè sospinto ci
propone la “reformatio in peius” di leggi avanzate che sono state il frutto
di lunghe e dure lotte di emancipazione e di progresso: dalla stessa
Costituzione repubblicana allo Statuto dei lavoratori, dai presidi normativi
in favore dei senza lavoro e dei senza tetto alla disciplina di un servizio
sanitario fondato su un modello universalistico, dalle disposizioni rivolte
a mettere fine alla disumana segregazione nei manicomi dei malati di mente
alla legge 20 febbraio 1958 n° 75, quella appunto oggi in discussione, che
aboliva la regolamentazione del meretricio organizzato con le relative
schedature e le conseguenti discriminazioni in danno delle prostitute e che
dettava severe norme per la lotta contro il loro sfruttamento.
Ed ogni volta che vanno in cantiere questi tentativi di “reformatio in
 peius”, ascoltiamo lo stesso ritornello giustificativo: il sistema
normativo va modificato perché i tempi sono cambiati, bisogna accantonare le
inconcludenti utopie delle “anime belle”, occorre fare i conti con certi
fenomeni sociali negativi scegliendo il male minore. E’ un ritornello falso
nel momento dell’analisi ed ipocrita in quello della enunciazione degli
obiettivi dal momento che le leggi criticate non hanno spesso funzionato
come avrebbero dovuto perché tradite da una volontà politica mancante o
diversa da quella dichiarata e perché le finalità delle controriforme non
sono quelle di una maggiore salvaguardia degli interessi deboli e dei
diritti violati ma quelle dell’accoglimento delle paure e degli egoismi di
pseudomaggioranze più o meno silenziose che, secondo una riemergente cultura
di stampo autoritario, sono inclini a combattere le piaghe sociali non tanto
nelle cause che le generano quanto nelle loro manifestazioni esteriori che
turbano e disturbano l’ordine e l’estetica.
Ma diamo uno sguardo alla legge Merlin che ha appunto vietato l’esercizio
delle “case chiuse” e che punisce chi recluti una persona al fine di farla
prostituire o la induca a svolgere tale attività e chiunque “in qualsiasi
modo favorisca o sfrutti la prostituzione”. Questa legge, che impedisce
anche qualsiasi forma di registrazione delle donne che esercitano il
meretricio, ha messo fine ad una disciplina, quella del T.U. delle Leggi di
Pubblica Sicurezza del 1931, la quale consentiva l’esercizio delle case di
prostituzione a condizione che venissero autorizzate dalle autorità di
Polizia stabilendo, tra l’altro, che non dovevano essere adibite allo
svolgimento di tali attività locali che per la loro particolare ubicazione
potevano offrire “occasione a scandalo”. Il Ministro Turco sembra oggi
caldeggiare il ritorno a questo malinconico passato e perciò prospetta l’
ipotesi di consentire l’esercizio del meretricio in luoghi “separati”, di
permettere la costituzione di cooperative per una prostituzione
 “autogestita”, di abolire il reato di favoreggiamento e di introdurre una
regolamentazione previdenziale e fiscale del “lavoro” di meretricio.
Si tratta di una proposta che per certi versi risulta peggiorativa anche
rispetto alla disciplina precedente all’entrata in vigore della legge Merlin
perché allora i titolari delle case di prostituzione dovevano almeno essere
noti, autorizzati e controllati mentre oggi le ventilate cooperative
finirebbero di fatto per essere organizzate, amministrate e “protette” dalle
associazioni criminali. E’ invero una grave e pericolosa ingenuità ritenere
che le prostitute “non di lusso”, quelle tante povere ragazze senza volto e
senza mezzi che lasciano sulle nostre strade una scia di solitudine e di
dolore, siano in grado da sole di mettersi insieme, di reperire idonei
locali e di esercitare il meretricio al riparo delle ingerenze e delle
violenze di una criminalità che in vaste zone del Paese impone il “pizzo”
persino alle più modeste attività imprenditoriali e di commercio. E poi, l’
eliminazione del reato di “favoreggiamento” non renderebbe più difficile la
punizione dello “sfruttamento” facilitando le operazioni rivolte a far
passare per semplice “agevolazione” l’utilizzo a fini di lucro e di profitto
dell’altrui prostituzione? Non è stata infatti questa una (forse la più
rilevante) delle ragioni per le quali il legislatore del ’58 volle punire
non solo lo sfruttamento ma anche il favoreggiamento del meretricio?
E’ vero, le cose non possono restare così come sono ma la direzione di
marcia da seguire non è quella indicata dal ministro Turco. Invece di
ritornare ad una prostituzione tollerata e regolata aggravando i già
drammatici problemi, ciò che si dovrebbe fare è intraprendere una lotta
senza quartiere, in attuazione proprio della legge Merlin, contro gli
sfruttatori e gli schiavisti: basterebbero serie direttive ministeriali alle
Prefetture e alle Questure ed un impegno degli organi di Polizia rivolto ad
operare sistematici appostamenti, appropriati rilevamenti e conseguenti
indagini che in tale settore, per la visibilità e la notorietà di quanto
accade, non presentano di regola particolari difficoltà e possono servire
per assicurare alla Giustizia in breve tempo lenoni e delinquenti. Ha
ragione don Benzi quando dice che bisogna liberare le schiave, punire gli
schiavisti ed estendere anche la punizione ai cosiddetti clienti. Quanto al
destino delle donne costrette dall’abbandono e dalla miseria ad esercitare
la prostituzione, i poteri pubblici dovrebbero imbroccare la strada dell’
effettiva solidarietà e del concreto aiuto che è quella della promozione di
iniziative intese a liberare le donne dal penoso commercio attraverso
iniziali sovvenzioni e l’offerta di possibili occasioni di lavoro.
Il Presidente della Camera Violante ha detto che il Parlamento sarà chiamato
ad approfondire il problema della prostituzione e del suo sfruttamento. E’
da sperare che ciò avvenga ma è da sperare anche che in quella sede nessuno
voglia sostenere il varo di cooperative di “lavoro” per l’esercizio della
prostituzione. E ciò per non assecondare un discorso abnorme anche sotto il
profilo costituzionale dal momento che il meretricio è estraneo alla nozione
di lavoro, il quale, almeno secondo la concezione del nostro Statuto, è un
valore fondativo della Repubblica in quanto attività umana che contribuisce
al progresso materiale e spirituale della comunità ed è anche un diritto in
quanto occupazione idonea a fornire utilità socialmente apprezzabili in
cambio di un compenso tale da assicurare “una esistenza libera e dignitosa”.
Brindisi, 12 luglio 2000
Michele DI SCHIENA





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