[GARGONZA:9022] RE: l'eutanasia e' omicidio?
box.tin.it da Rho  Lunedi`, 26 Giugno 2000

Penso che il problema di fondo e' che cosa si intende per vivo e che che
cosa si intende per morto.
In guerra chi uccide commette un omicidio, ma viene assolto per la natura
stessa della guerra.
Una cosa analoga avviene per l'aborto, con la contrapposizione tra il mondo
cattolico fondamentalista e tutto il resto.
Il concetto di base e' che clinicamente morto viene riferito alle funzioni
vitali del corpo.
Il cervello, inteso come coscienza e non come stimoli per le funzioni
respiratorie e digerenti, non viene considerato vitale, quindi una vita
coscienza e' ancora ritenuta vita, quindi reciderla significa uccidere.
Allora occorrerebbe indicare anche la coscienza come funzione vitale.
Il caso indicato e' molto triste, e merita comprensione e riflessione.
Ma attenzione a stabilire una qualita' di vita ritenuta dignitosa per
l'uomo, e un'altra ritenuta non piu' degna di essere vissuta. Credo che
esisterebbero tantissime condizioni grigie per la scelta dell'eutanasia, mai
un confine tra il nero e il bianco.
Penso che questo potrebbe essere un motivo di referendum nazionale, non
tutti quelli che abbiamo visto ultimamente. Ma ovviamente ormai nessuno
crederebbe piu' ai referendum, almeno per I prossimi anni.
Io personalmente ritengo che dopo alcuni anni di immobilita' cerebrale si
potrebbe praticare l'eutanasia. E penso che anche molti del mondo cattolico
potrebbero accettare una condizione limite, visto anche la posizione della
chiesa nel caso delle due gemelline siamesi di Palermo.

Michele Corvo


-----Original Message-----
From:	gargonza@perlulivo.it [mailto:gargonza@perlulivo.it] On Behalf Of
Rosanna Tortorelli
Sent:	Friday, June 23, 2000 3:35 PM
To:	Multiple recipients of list GARGONZA
Subject:	[GARGONZA:9002] l'eutanasia e' omicidio?

ancora in tema di vita e di morte...
perche' far la fatica di scrivere... se qualuno ha gia' scritto cio' che
pensi?
ciao
rosanna



http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20000623/commenti/12marc.html

Non si può chiamare
omicidio l'eutanasia


di PAOLO FLORES D'ARCAIS

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L'INGEGNER Ezio Forzatti, 51 anni, è stato condannato dal tribunale di Monza
a sei anni e sei mesi di carcere per
omicidio volontario premeditato, pur non avendo commesso nessun omicidio.
Del resto, se davvero avesse commesso un
omicidio, sei anni e mezzo sarebbero una pena incredibilmente lieve. Ma Ezio
Forzatti non ha commesso nessun
omicidio, e per questo la sua condanna (fosse stata anche di un solo giorno)
suona come insopportabile ingiustizia.
Si dirà: l'ingegner Forzatti ha però staccato la spina che teneva il corpo
di sua moglie "in vita", dunque
indirettamente l' ha uccisa. Sarà bene rispondere senza giri di frasi: se
anziché staccare la spina avesse
iniettato veleno nella flebo, procurando direttamente la fine della "vita"
di quel corpo, non avrebbe comunque
commesso nessun omicidio.
Per commettere omicidio non basta uccidere, infatti. È questa una condizione
necessaria ma non sufficiente.
Altrimenti per omicidio dovremmo condannare chiunque in guerra spari a un
nemico e chiunque esegua la condanna a
morte di un criminale (pratiche entrambi orribili, soprattutto quest'ultima:
ma che non costituiscono
giuridicamente omicidio). E oltre tutto: nella guerra e nell'esecuzione di
una pena capitale si uccide qualcuno che
non chiede affatto di morire. Nei casi che impropriamente vengono
etichettati come eutanasia, invece, si tratta
proprio di questo: che la morte viene data a chi la chiede. Qualcosa di
radicalmente opposto all'omicidio, dunque,
dove la vittima non invoca affatto la morte, anzi.
Ezio Forzatti e sua moglie Elena Moroni, proprio perché legati da amore
profondo, si erano promessi di aiutarsi nel
caso a uno dei due fosse capitata la tragedia estrema di diventare un "morto
vivente", corpo ormai senza coscienza,
senza più vita umana, tenuto "in vita" vegetativa attraverso macchine.
Staccando la spina di Elena, Ezio non ha
fatto che onorare la volontà di sua moglie, la libera volontà di sua moglie.
Che un magistrato possa definire omicidio ciò che di un omicidio è agli
antipodi, dunque, costituisce quanto meno
un incredibile errore giudiziario, che l'appello dovrà rovesciare. Fin dai
banchi di scuola abbiamo letto di
matrone violate nell'onore o di condottieri romani sconfitti che si
suicidavano. Talvolta facendosi trafiggere da
uno schiavo. A nessuno è mai venuto in mente di considerare "omicidi" questi
episodi di evidente suicidio. E che
sia un uomo libero, anziché uno schiavo, a farsi strumento di una libera
decisione altrui, sottolinea semmai
l'amore che spinge una persona a farsi strumento, e il rispetto autentico
dell'altrui libertà.
Chiamare tutto ciò omicidio costituisce un inammissibile abuso linguistico,
giuridico, morale. Un abuso che è
frutto di smisurato pregiudizio ideologico. Sarebbe come se un magistrato
definisse infanticidio un aborto
(avvenuto nei termini di legge) perché tale lo considera il Papa. La stessa
identica cosa avviene quando sanziona
come omicidio il suicidio assistito o lo "staccare la spina" a chi in
precedenza ha previsto l'eventualità e ha
affidato alla persona più cara l'esecuzione della sua volontà.
Del resto, se i giudici di Monza avessero applicato non l'articolo del
Codice che punisce l' omicidio volontario -
improponibile, abbiamo visto - ma quello che sanziona l'"omicidio di
consenziente" (fino a quindici anni di
carcere!), neppure in questo caso avrebbero fatto giustizia. Tale norma
sarebbe un ossimoro se si trattasse di
poesia (l'aggettivo incompatibile col sostantivo, ghiaccio bollente,
insomma). Poiché si tratta di legge, siamo
alla mostruosità giuridica, degna di essere portata alla Corte
costituzionale (o più immediatamente, di essere
abrogata dal parlamento).

Non c'è rispetto per la vita se esso non fa tutt'uno col rispetto della
libera volontà - fino all'estremo - di chi
vive la propria vita, di chi è la propria vita. Ma la vita appartiene a Dio,
si obietta. Una convinzionne che vale
per il credente, ma non può valere per chi è senza fede religiosa: una
legge, perciò, non può mai tirare in ballo
la volontà di Dio, ma nascere solo da argomentazioni umane. Del resto: quale
Dio? Il pastore valdese Bouchard, ad
esempio, si è detto orgoglioso del Consiglio comunale di Torino favorevole
alla "eutanasia".
Il dilemma è tragico, doloroso, estremo, ma anche semplice: la tua vita caro
lettore - e dunque anche la decisione
se porvi fine - appartiene a te o a me, politico, prete, magistrato? Elena
Moroni aveva deciso, in caso di
disgrazia, e affidato la sua volontà a chi per amore le dava garanzia che
l'avrebbe rispettata. Lo Stato, cioè
tutti noi, dobbiamo fare lo stesso, altrimenti la democrazia si rovescia in
"Statolatria", la più orrenda delle
idolatrie.



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Rosanna Tortorelli - Milano
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