[GARGONZA:8997] confindustria
Corrado Truffi  Giovedi`, 22 Giugno 2000

Mi sembra interessante. Sull'Unità di oggi

Imprenditori, più innovazione
meno prediche
Nicola Cacace
Sappiamo tutti che l'Italia ha un sacco di problemi che ne rallentano la
marcia, instabilità politica, Pubblica amministrazione inefficiente,
Mezzogiorno arretrato, sistema produttivo inadeguato, formazione scarsa
e scadente, ricerca e sviluppo insufficiente, numero eccessivo di
sindacati e sindacatini, ma spesso anche le grandi organizzazioni si
esercitano nella denuncia di problemi che spetta ad altri risolvere e
quasi mai di problemi che dipendono anche da loro, dalla loro cultura e
dai loro difetti storici. Per essere più chiari nessuno critica la
Confindustria quando pensa che tutti i guai del paese dipendono dalla
scarsa flessibilità del lavoro o dall'art. 8 dello Statuto dei
lavoratori (quello che vieta licenziamenti senza giusta causa), o dalla
pressione fiscale sempre troppo alta (anche quando si riducono di tre
punti gli oneri sociali), o che i problemi della Sanità e dell'Inps si
risolverebbero se adottassimo quel modello America di sanità e pensioni
private bocciato da tutte le Organizzazioni internazionali come il più
iniquo e più costoso al mondo, o quando paragona l'ingresso dell'Italia
in Eurolandia alla discesa al Purgatorio, o quando, nelle ingiuste
critiche alla recente riforma sulla parità scolastica dimentica che un
ministro di sinistra ha riformato la scuola pubblica e privata e più di
trenta ministri democristiani non avevano mosso una virgola. Né si
critica la Confindustria quando pensa che se l'Europa adottasse il
modello America di sviluppo (quello della piena occupazione ma con
salari fermi al 1972, grazie anche a due milioni di immigrati legali ed
illegali l'anno, quello dei 1600 miliardi di dollari di debito estero e
dei 300 miliardi di dollari di deficit corrente l'anno, quello del
risparmio zero delle famiglie e di 75 milioni di cittadini senza
copertura sanitaria e pensionistica) andremmo tutti in Paradiso. Tant'è,
il modello America è diventato per liberisti, conservatori e reazionari
di oggi quello che il Capitale di Marx era per le masse operaie dell'
800, con l'aggravante che questo era un testo di lotta politica e lo
dichiarava, il modello America è la presentazione di una realtà in modo
parziale per fini ideologici e politici impropri. Perché l'Italia non
cerca invece di imitare l'America nelle sue virtù che sono soprattutto
due, il tasso di innovazione della finanza e il dinamismo dei suoi
imprenditori? La Confindustria prende atto ora del fatto che l'economia
italiana corre finalmente al passo con l'Europa, sia come Pil (3% nel
primo trimestre) che come occupazione (+1% previsto nel 2000 e nel
2001), che il disavanzo pubblico è in linea con gli impegni di
Maastricht (1,6 e 1% per il 2000 ed il 2001), che il differenziale di
inflazione con l'Europa si è ridotto ma lamenta che «i fattori di fondo
che hanno determinato l'erosione della competitività italiana negli
ultimi anni e che sono alla radice del trend negativo della nostra
bilancia commerciale permangono». Ma da chi dipende in prima istanza
questa carenza di innovazione del sistema produttivo se non da difetti
storici della nostra imprenditoria per troppi anni abituata a competere
grazie alle svalutazioni competitive della lira più che dalle
innovazioni di prodotto? L'Italia resta il paese europeo che ha operato
ristrutturazioni del suo apparato economico tra le meno incisive
d'Europa. Gli stessi problemi della nostra bilancia dei conti correnti,
che da oggi la Confindustria giustamente lamenta, dipendono dal fatto
che per troppi anni l'imprenditoria italiana si è adagiata sui successi
dei settori tradizionali riducendo al minimo le escursioni nei nuovi
settori come quello dei servizi, alle imprese, lasciando ad esempio
comparti in forte crescita e ad alto valore aggiunto come la pubblicità
e la consulenza aziendale completamente in mano agli stranieri delle
varie Satchi e S. A. Andersen, etc. Sarebbe bene che gli esperti
nazionali ed internazionali, invece di farci ripetute prediche sulla
flessibilità e le cose non fatte qualche volta ci dessero il giusto
riconoscimento per le cose fatte malgrado «tutto».
L'Italia ha realizzato il più incisivo risanamento economico e programma
di privatizzazioni dell'Europa negli ultimi anni. Nessun paese ha fatto
meglio di noi limando senza distruggerlo lo stato sociale e mantenendo
una complessiva competitività del sistema Italia determinato dal fatto
che, malgrado un trend negativo, abbiamo ancora un attivo dei conti
correnti migliore della media europea. Tutti, dal Fmi all'Ocse alla
Confindustria ci ricordano l'esigenza di completare la riforma delle
pensioni ma dimenticano che l'appuntamento coi sindacati per rivedere i
conti è per l'anno 2001 e non per il 2100. Tutti, la Confindustria un
giorno sì ed uno no, ci ricordano la «gobba» dei conti Inps del 2010 ma
pochi ricordano che la vera gobba che ci deve far tremare è quella del
2020, quando i sessantenni del milione di bambini nati sino al 1965 si
confronteranno coi ventenni dei 500mila bambini nati nel 2000. Ci sarà
allora un deficit di manod'opera del 50% con problemi gravissimi per
tutto il sistema, quello produttivo non meno che quello pensionistico.
Questo deficit c'è già da oggi, esso è di 200mila unità tra sessantenni
che escono dal mercato del lavoro e ventenni che entrano, che
diventeranno 300mila nel 2010, 400mila nel 2015 e toccherà il massimo di
500mila nel decennio 2020-2030. Dopo di che esso calerà lentamente sino
a stabilizzarsi intorno alle 100mila unità nella seconda metà del
secolo, a meno che non cambi qualcosa nella politica nazionale di
sostegno della natalità e nella politica di immigrazione, entrambe
necessarie se l'Italia vuole evitare di diventare il paese di 40 milioni
di abitanti più vecchio del mondo, naturalmente evitato come la peste
dagli investimenti delle multinazionali. La modernizzazione del paese di
cui tutti parlano, Confindustria compresa, sarà resa ogni giorno più
difficile dalla carenza di manod'opera giovane necessaria sia per i
lavori «manuali» che sono ancora la maggioranza che per quelli della
nuova economia e la globalizzazione in atto rischia di vedere l'Italia
avvicinarsi sempre più ai paesi del Terzo mondo, a meno di seguire la
via americana tanto cara alla Confindustria di importare immigrati per
lo 0,7 della popolazione ogni anno, che per noi significherebbe
l'impossibile cifra di 450mila unità.
Per concludere, la ripresa economica in atto è a rischio ma non per le
cause denunciate dalla Confindustria. Essa è a rischio per le
inefficienze della Pubblica amministrazione malgrado gli sforzi di
Bassanini e per la «gobba» demografica. Questa si avverte soprattutto
nel Centro-Nord, le Regioni a più bassa natalità del paese e nei settori
della nuova economia, quasi tutti prerogativa dei giovani, a causa
dell'asimmetrica distribuzione di questa risorsa rara sul territorio
nazionale. Ancora oggi, malgrado il calo generalizzato delle nascite, a
Nord come al Sud, quest'ultimo, col 36% della popolazione ed il 29%
dell'occupazione vede nascere ogni anno quasi lo stesso numero di
bambini che nel Centro-Nord. Sarebbe ora che invece di insistere su
falsi problemi, la flessibilità e la fiscalità, il dibattito si
concentrasse sui modi per far diventare più avanzata la nostra finanza e
per incoraggiare gli imprenditori italiani a sperimentarsi di più nei
settori della nuova economia, industria e servizi, sicuri che con le
doti di creatività e di impegno che li hanno fatti diventare leader
mondiali in tutti i settori basati sulla moda, potranno primeggiare
anche altrove.








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