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Il capitalismo e la crisi

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda Rosario Amico Roxas il 04/03/2009, 18:33

x Franz

Qualità della vita significa innanzitutto valori umani, rapporti sociali, civile convivenza, capacità di comunicare; tutti valori che in troppe parti d'Italia non esistono più.
Poi c'è la filastrocca della mafia... come se a Milano non ce ne fosse ! Come se >Roma fosse vaccinata.
La mafia è politica, entra dentro i gangli dello Stato e lo condiziona, anche perchè al potere conviene farsi condizionare per essere sostenuto.
Siamo arrivati a tollerare la mafia o nasconderla ai nostri stessi occhi, quando osserviamo il più rigoroso silenzio quando leggiamo che il decollo economico dell'attuale presidente del consiglio è iniziato con un finanziamento della mafia tramite la banca Rasini; interrogato, al processo dell'Utri, sulla provenienza di quei miliardi, si avvalse della facoltà di non rispondere !!!
Caltanissetta, in mereito alla mafia è un'isola felice, non fosse altro che per evitare tempo perso; sarebbe tempo perso cercare miliardi...non ce ne sono !!! E poi dista oltre 1000 km. da palazzo Grazioli e 1800 km. dalla tenuta di Arcore , per cui siamo ben lontani dai più pericoloso legami con la mafia.
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda franz il 04/03/2009, 19:22

Rosario Amico Roxas ha scritto:x Franz

Qualità della vita significa innanzitutto valori umani, rapporti sociali, civile convivenza, capacità di comunicare; tutti valori che in troppe parti d'Italia non esistono più.

peccato che per avere scuole di qualità ed una sanità pubblica a livello normale si debbano fare molti km verso nord.
Insomma, per avere lo stato. Per avere lavoro.
Poi qualcuno si accontenta anche senza.
Chiediamoci perché mai tanti siciliani sono emigrati a nord oppure in europa, in usa, in australia, canada, francia, UK, belgio, svizzera, olanda ...
Sono comunque d'accordo che se a Caltanissetta (e nel sud) ci fossero le cose che mancano, allora si che sarebbe un paradiso.
La nebbia non piace a nessuno.

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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda Stefano'62 il 04/03/2009, 19:49

franz ha scritto:Condivido la sintesi dei primi paragrafi (la sintesi, .... senza mettere i puntini sulle "i) ma non l'ultimo.
Il liberismo non dice quello che dici (che credi che dica). La tua sintesi è sommaria e quindi imprecisa.
Il liberismo pone alcune leggi ma non altre. basta riferirsi i padri fondatori e leggere cosa hanno scritto. Non è anarchia.
Una sintesi piu' fedele del pensiero liberista classico (che secondo me ha poco a che vedere con il neoliberismo) la si puo' trovare nel link che stamattina ho postato sull'economia free (indice delle libertà economiche).
Avevo sintetizzato le mie lontane reminiscenze universitarie di economia perciò che possano essere imprecise lo avevo messo in conto,comunque non credo ciò cambi di molto la sostanza di quel che ho scritto,che naturalmente si può anche non condividere,non me la prendo......
Riguardo al liberismo comunque mi sono rifatto a ciò che avevo letto di sfuggita su wikipedia tempo addietro,e che mi aveva confuso un pò perchè anche io come te credevo fosse un pò diverso.
Non è detto che loro abbiano ragione,però se davvero il liberismo ammette un intervento in economia (che non sia solo dare i denari per evitare le crisi),allora i liberalisti chi sono ?
Mi sembra che quando parli di liberismo ti riferisci a quello che io chiamo liberalismo,quindi al di là di wikipedia o della treccani mi basta sapere che in fondo non diciamo cose molto differenti. :)
Ciao,

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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda franz il 04/03/2009, 20:53

Stefano'62 ha scritto:Non è detto che loro abbiano ragione,però se davvero il liberismo ammette un intervento in economia (che non sia solo dare i denari per evitare le crisi),allora i liberalisti chi sono ?

è una bella domanda..... :-) Parlo seriamente, anche se la "faccina" alleggerisce il tutto.
In Italia in "chi sono" rimane praticamente senza risposta.
Ma già lo sappiamo che alle nostre latitdudini sono quasi tutti statalisti, di sinistra o peggio di destra.
Che t'aggià dì, Stefano. ... in italia liberismo e liberalismo lo leggiamo solo su wikipeda. :oops:

Ciao,
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda Stefano'62 il 04/03/2009, 20:55

franz ha scritto:Che t'aggià dì, Stefano. ... in italia liberismo e liberalismo lo leggiamo solo su wikipeda. :oops:

Ciao,
Franz

:lol: bellissima questa...
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda trilogy il 06/03/2009, 23:12

mario ha scritto:Il prossimo G8 dovrebbe stabilire nuove regole che:
proibissero l’uso della finanza derivata se non per fini assicurativi.
Eliminassero i paradisi fiscali
Penalizzassero i capitali non investiti in titoli di stato o attività produttive.
Proibissero alle società di capitali l’uso della leva finanziaria oltre un certo limite.

Solo costringendo i capitalisti ad usare i loro soldi in attività produttive si avrà un maggiore sviluppo economico a beneficio soprattutto dei paesi del terzo mondo.


Il problema è che il mercato dei derivati oltre ad essere immenso è anche molto complesso e delicato. Muovi una cosa e crei un effetto farfalla imprevedibile altrove. Proibire l'uso della finanza derivata per fini speculativi può anche sembrare ragionevole. Io non sarei d'acordo, ma a poca importanza. Il problema è che una scelta del genere porterebbe ad una riduzione della liquidità del sistema e potrebbe produrre effetti perversi. Ti faccio un esempio. I CDS oggi sono utilizzati dai fondi per assicurarsi dal rischio insolvenza del debitore, sono strumenti poco liquidi e trattati solo dai professionisti. Un aumento del costo dei CDS per l'azienda X o per il paese Y, indica che il giudizio del mercato su questo debitore è peggiorato. Oggi i grossi investitori tengono tutti d'occhio i prezzi dei CDS, nel fallimento della Lehman Brothers i CDS hanno anticipato bene la situazione di default. Ora comincia ad esserci il sospetto che approffittando della poca liquidità dei CDS,questi siano manipolabili a fini speculativi. Che vuol dire? Voglio fare una speculazione ribassista sull'azienda X, o sulla valuta del paese Y. Vendo le azioni o la valuta dell'azienda o del paese in questione, poi faccio salire il valore del CDS (l'assicurazione). Il segnale che arriva al mercato è che il rischio su quell'azienda o su quel paese sta crescendo, tutti si precipiteranno a vendere, provocando il crollo e grandi guadagni per chi ha organizzato l'operazione.

saluti
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda pierodm il 07/03/2009, 3:40

Non è vero che in Italia sono tutti statalisti, e nessuno è liberista o liberale - a prenscindere dal fatto che non si stava parlando solo dell'Italia, ma del liberalismo in generale, ma va be'.

L'Italia è piena di liberisti-statalisti: privatizzare i profitti e socializzare, statalizzare le perdite, per esempio.
Tanto quanto l'Italia è piena di atei-clericali.
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda Stefano'62 il 07/03/2009, 4:15

pierodm ha scritto:L'Italia è piena di liberisti-statalisti: privatizzare i profitti e socializzare, statalizzare le perdite, per esempio.

Vero,
e quello che più si accalora a definirsi liberista (non solo liberale....proprio liberista) è anche quello che più mi ricorda il peggior Stalin...
Ciao,

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Usa, il change di Obama non frena la crisi di

Messaggioda franz il 11/03/2009, 11:39

dal sito dell'Avanti, questa interessante analisi sulla crisi in USA




Usa, il change di Obama non frena la crisi di EMIDDIO NOVI
Lunedì 09 Marzo 2009 15:05

La California ha sempre costituito, col suo 70% di voti, per il Partito democratico negli ultimi 20 anni una roccaforte progressista. È uno Stato che batte tutti i primati per pressione fiscale, per restrizioni e vincoli ambientali, per i sussidi alle energie alternative. Le conseguenze sono state catastrofiche: l’industria manifatturiera è stata delocalizzata in Messico, in Sud America o in Cina, un milione e mezzo di famiglie della classe media bianca, incalzate da un fisco punitivo, sono emigrate. E queste famiglie che pagavano le tasse sono state sostituite da 4 milioni di immigrati messicani che al fisco danno ben poco. La California è sull’orlo della bancarotta.

L’industria manifatturiera chiude i battenti, il calo del Pil è da incubo. Però lo Stato può vantare un primato che per molti è positivo: il 50% dei cittadini californiani sono sudamericani. Gli Stati Uniti che Obama doveva trasformare e far rivivere dopo gli anni dell’oscurantismo bushista vivono un’emergenza economica con una produzione che è scesa del 10%, con un Pil che cala del 5%, con mezzo milione di disoccupati in più ogni mese e con un governo che si appresta a spendere 800 miliardi di dollari da distribuire a tutti i gruppi sociali dichiaratamente liberal e per finanziare cause progressiste come la lotta a favore dell’aborto.

L’America con questo tipo di scelte del governo rischia di mettere in crisi la sua coesione statuale, sociale, nazionale. Gli squilibri tra gli Stati americani si accentuano sempre più e la crisi dei mutui sta drammatizzando una situazione che tra non molto diventerà ingestibile. La crisi dei mutui investe cinque Stati: Florida, California, Nevada, Arizona e Michigan, aree del Paese che sono state investite da flussi migratori di milioni e milioni di caraibici e sudamericani. Gli immigrati hanno potuto usufruire della politica dei mutui facili provocata dal rincorrersi demagogico dei governi che volevano assicurarsi il sostegno della minoranza etnica dei latinoamericani.

La parola d’ordine era di porre fine ad una discriminazione etnica che vedeva il 75% dei bianchi proprietari della casa in cui abitavano contro meno del 50% dei neri e dei messicani proprietari di un alloggio. Per colmare questo gap fu deciso di abbassare gli standard del credito e quindi di concedere mutui anche a chi non aveva il reddito e i soldi sufficienti. Il disastro a questo punto era soltanto rinviato. L’ambientalismo in America si è scatenato contro l’industria manifatturiera costringendola in molti casi a delocalizzare, la burocrazia della solidarietà sociale si è arricchita alle spalle dei poveri e degli emarginati, i banchieri hanno saccheggiato le banche che dovevano amministrare, la demagogia dei mutui facili ha provocato il default e il crollo del mercato immobiliare, la scuola americana cura molto la prestanza fisica degli allievi ma non si occupa granché della loro capacità a far di conto.

Il Paese è in una crisi molto più seria, più diffusa e più radicale di quanto in Europa si immagini. La crisi di Wall Street ha creato una situazione insostenibile perché i fondi pensione sono investiti in Borsa, i capitali per le imprese vengono raccolti nelle Borse. La buona salute delle aziende ha un termometro nel mercato azionario; quando Wall Street va forte il Paese ritrova l’ottimismo, la gente spende e gli investitori investono. Un presidente che in una società come quella americana non tiene conto di queste semplici realtà è un leader che porta a fondo il suo Paese.

http://www.avanti.it/index.php/archivio ... -novi.html
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda franz il 11/03/2009, 11:50

pierodm ha scritto:L'Italia è piena di liberisti-statalisti: privatizzare i profitti e socializzare, statalizzare le perdite, per esempio.
Tanto quanto l'Italia è piena di atei-clericali.

L'italia ne è piena. Siamo d'accordo.
Per fortuna fuori d'Italia esiste anche un intero pianeta.

Molto interessanti queste considerazioni, trovate in prima pagina di un giornale svizzero in lingua italiana.


PERCHÉ I GRANDI NON POSSONO FALLIRE?

Too big to fail. Troppo grandi per fallire. Ri­ferito alle grandi banche, questo argomen­to giustificherebbe massicci aiuti statali per evitare disastrosi fallimenti e catastrofiche con­seguenze sul sistema economico. Ma sarà dav­vero il caso? Non sarà invece l’ennesimo trucco retorico per permettere allo statalismo selvaggio un altro solido passo avanti, a detrimento della nostra libertà e della nostra proprietà privata?

Ammettiamo che il too big to fail (che chiame­remo TBTF) tenga: qual è la dimensione soglia determinante l’aiuto? L’arbitrio risulta chiaro ri­baltando i termini del problema: tenendo fisse le dimensioni aziendali, quanto più piccolo è uno Stato, tanto più giustificabile diventa il sal­vataggio. Se tuttavia lo Stato ha dimensioni trop­po piccole rispetto all’azienda, scivoliamo para­dossalmente nel too big to be saved (troppo gran­de per esser salvata). Essendo le estensioni spa­ziali degli Stati economicamente arbitrarie (per­ché per lo più determinate dalla storia) ed estre­mamente eterogenee, risulta chiara l’arbitrarie­tà del TBTF.

Perché mai le banche non dovrebbero fallire? Il fallimento è un’istituzione che tutela la proprie­tà dei creditori, i quali una volta sparito il ca­pitale proprio aziendale sopportano in prima persona ulteriori perdite, come se fossero diven­tati azionisti. La liquidazione dell’impresa cer­ca di evitare che questo avvenga. Il TBTF chie­de che le perdite vadano in parte a costo di ter­zi (i contribuenti) e la domanda è quindi quan­to sia giustificabile questa spoliazione coatta di innocenti a vantaggio delle parti direttamente in causa. In realtà, secondo il TBTF, va benissi­mo che i risparmiatori (creditori della banca) perdano anche i loro interi in­vestimenti.

Si vuol invece evita­re che si estendano a catena a tutta l’economia i danni secon­dari causati da un fallimento, per esempio che il traffico dei pagamenti si blocchi. Ma anche qui emergono le classiche con­traddizioni dell’interventismo statale. Il TBTF afferma nel sud­detto esempio che costi meno salvare la banca piuttosto che ricreare dal nulla un sistema di pagamenti. Se fosse il caso tut­tavia, un imprenditore privato interessato ad offrire servizi di pagamento rileverebbe a proprie spese la banca fallimentare per risparmiare risorse rispetto al lancio in proprio di un nuovo servizio di pagamento. Il TBTF non terrebbe. Se invece costasse meno far partire da zero un nuovo sistema di pagamenti, al­lora pure il TBTF non terrebbe. Si osservi per giunta che il traf­fico dei pagamenti non è un ser­vice publique (e non va come tale salvato con soldi pubblici), perché la storia ha dimostrato che può esser prodotto privata­mente in regime di libero mer­cato. Idem per tutti i servizi fi­nanziari, borse incluse.

Salvare con i soldi estorti ai con­tribuenti qualsiasi impresa fal­limentare causa una lunga serie di problemi e va di principio evi­tato. Impedisce infatti l’entrata nel mercato di nuovi offerenti più disciplinati; sbeffeggia gli at­tuali concorrenti che hanno scel­to politiche più caute; ma soprat­tutto lancia un disastroso segna­le: che lo Stato sia sempre pron­to a socializzare le perdite pri­vate. Per evitare che altre azien­de sfruttino questa opportunità, seguono spesso maggiori regola­mentazione e statalismo. Tutta­via, se hanno sbagliato perfino imprenditori, manager ed azio­nisti che dovevano sopportare personalmente le conseguenze dalle proprie azioni, perché mai dovrebbero esser più coscienti di loro burocrati e politici non ad­dentro alle questioni, che paga­no con i soldi altrui?

Agli statalisti più convinti piace oggi sottolineare che in alta con­giuntura tutti son liberisti ed in recessione tutti invocano lo Sta­to. Il libero mercato ha quindi palesemente fallito e l’era libe­rista è finita. Questa tesi dimen­tica maliziosamente che chiun­que, se può, desidera privatizza­re gli utili e socializzare le per­dite. Grave è quando ciò diven­ta realmente possibile.

In un or­dine basato sul ferreo principio della proprietà privata, tutta­via, per forza di cose ognuno si brucia con le proprie mani, e non con quelle dei contribuen­ti. Il liberismo è rimedio, non causa. Il sistema politico ha in­vece sempre colto la palla al bal­zo per socializzare le perdite a costo dei contribuenti ed aumen­tare così la propria discreziona­lità.

Con la beffa per giunta di spacciarsi per gran salvatore. Al­la luce delle gigantesche mano­vre finanziarie degli ultimi me­si, dovremmo piuttosto riflette­re su quanto in tutto il mondo lo spettro di un’economia fasci­sta (cioè di un capitalismo di Stato) sia già oggi sempre più una realtà.

Paolo Pamini
economista, ETHZ e Liberales Institut Zurigo
http://www.cdt.ch
Lun 09/03/2009
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