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Elettori spariti

Il futuro del PD si sviluppa se non nega le sue radici.

Re: Elettori spariti

Messaggioda ranvit il 04/03/2009, 16:27

Faccio mie le cose dette da matthelm.

Al buon pierodm consiglio di rileggersi le ns dispute...ha iniziato sempre lui ad offendere. Come ha fatto ancora una volta nel suo post qui sopra ("O meglio, ti rimarrebbe l'alternativa di entrare nel merito, vale a dire l'improbabile.").
Evidentemente il buon pierodm non si rende conto di quello che dice...

In ogni caso, da questo momento evitero' di rispondergli direttamente....semprechè la smetta anche lui.

Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Elettori spariti

Messaggioda Gab il 05/03/2009, 9:58

Eravamo partiti da Diamanti, torniamo a Diamanti

Gli esuli a volte ritornano

CAPITA, ogni tanto, che una Mappa - o una Bussola - susciti curiosità, interesse, magari irritazione. Anche se la reazione più consueta è normalmente più modesta. Perché io non so proporre soluzioni, lanciare parole d'ordine, indicare obiettivi. Mi sento a disagio, quando ci provo, anche nella vita privata. Preferisco cercare e guardare. Anche - anzi soprattutto - quel che sta sotto ai nostri - miei - occhi. Ma non ci facciamo caso. Più che altro per pigrizia. Oppure per auto-difesa. Perche genera disagio.

Così è avvenuto anche questa volta, di fronte a un fenomeno diffuso, che incontro da tempo fra le persone che frequento. Una sindrome, che colpisce elettori di sinistra: radicale, riformista e moderata. Si esprime attraverso un dispiacere senza nome, un senso di spaesamento mischiato a impotenza. E alla sensazione di solitudine. Di estraneità.

Ne aveva parlato Ezio Mauro, alcune settimane fa, evocando la "secessione silenziosa di quei cittadini che si disconnettono dal discorso pubblico e attraversano una linea che li porta in qualche modo nella clandestinità politica". Sono gli "esuli in patria" che ho cercato di descrivere e misurare nella mia Mappa di domenica scorsa. I quali mi hanno scritto in molti attraverso la redazione di Repubblica ma anche direttamente, al mio indirizzo e-mail dell'Università di Urbino. Per cui ho pensato di proporre alcuni dei messaggi che mi sono giunti a una lettura più ampia.

Perché, dopo averne parlato io, può essere utile far parlare direttamente loro. Gli esuli. Sentirne le ragioni, i sentimenti e i risentimenti. Le pubblico senza firma, per rispettare la privacy di chi ha voluto raccontarmi il proprio malessere personale, quasi come a un confessore (come mi ha scritto un lettore). Peraltro, per i motivi che ho suggerito, non intendo "dare risposte". Non ne sarei in grado. E non ho intenzione di trasformarmi da analista in terapeuta. D'altronde, l'analisi può funzionare da terapia quando ci permette di definire il contesto da cui origina il nostro disagio.

In questa sede mi limito ad alcune - poche - notazioni, che ricavo dai messaggi.

1. La prima osservazione è il senso sollievo - misto a un po' di rabbia - suscitato dal trovarsi, quasi, di fronte allo specchio. In grado di riconoscersi e di venire riconosciuti. Genera sollievo. Perché diventare "invisibili", anche se per scelta, è, comunque, frustrante. Come se ci si nascondesse non per scomparire ma, al contrario, per diventare più evidenti. Si divenisse invisibili per essere più visibili. Si scegliesse il silenzio per essere ascoltati. Per produrre un silenzio fragoroso.

2. Venire definiti e definirsi "esuli" può servire, quindi, a dichiarare il desiderio - e il diritto - di tornare. Di rientrare in patria. Non tanto nel Pd: ma nella società civile. D'altra parte, come scrive un lettore: "Oggi sono trasparente ai sondaggi ma aspetto di poter votare e di sicuro esprimerò il mio voto". Questo è un altro aspetto che ricorre in alcuni messaggi: solo una quota limitata degli esuli è fatta di astensionisti patologici. Pochi, peraltro, hanno cambiato voto, a favore dell'IdV. In maggioranza sono, invece, votanti "potenziali". Potrebbero votare ancora. Alcuni lo faranno di certo. Come annota un altro (e)lettore: "Il quadro degli ex-democratici descrive alla perfezione ciò che provo io (...) in questo periodo. L'unica cosa che faccio di diverso è votare ancora per il PD, tanto per arginare un po' la frana. Ma senza speranza. Il cuore però è sempre pronto a risollevarsi, nessun fuoco sul camino è mai completamente spento. Si deve solo soffiare sotto nel posto giusto".

3. Gli esuli, infatti, non sono stranieri. Si sentono semmai "ex cittadini" (come si descrive un lettore). Perché si sentono estranei ai valori e agli orientamenti pubblici dominanti. Espressi dai leader e dalle forze politiche che governano, con il sostegno della maggioranza degli elettori. Rispetto a cui gli esuli si sentono "altri".

Il che suggerisce due altre osservazioni.

4. La prima riguarda la democrazia. Che si fonda sulla libera espressione del voto. Sulle elezioni. Elemento necessario ma non sufficiente. Tuttavia, considerare la maggioranza con fastidio, guardarli come fossero degli abusivi, o reciprocamente: considerare se stessi "estranei": non aiuta. A conquistare la maggioranza. Occorre, almeno, interrogarsi sul perché i valori e gli orientamenti di cui si è portatori siano "minoritari". Senza dedurne, a priori, che ciò avvenga per ragioni di natura antropologica. Perché i "nostri", perché "noi" siamo migliori degli altri. Avessero pensato e agito in questo modo i cittadini americani dopo 8 anni di presidenza repubblicana, alla guida di Bush e dei teocon; se quelli che negli Usa da 8 anni - ancora 6 mesi fa - erano minoranza avessero scelto l'esilio - in patria - oggi alla presidenza non ci sarebbe Obama.
E poi a chi si sente naturaliter minoranza, in Italia, occorre rammentare che 3 anni fa non era così. Alle elezioni del 2006 lo schieramento di centrosinistra, l'Unione, conquistò la maggioranza. O forse no: pareggiò. Ciò significa, però, che in quel referendum pro o contro Berlusconi - come avviene in ogni elezioni dal 1994 ad oggi - metà del paese, di questo paese votò contro. E che metà degli italiani è, quindi, "potenzialmente" all'opposizione. Metà. Oggi, se i sondaggi dicessero il vero - e spesso non è così - le forze di opposizione, tutte insieme, raggiungerebbero il 35-37%: 13 punti percentuali e circa 5 milioni di voti in meno. In questa cifra il problema. Il vuoto, ma anche lo spazio intorno a chi vorrebbe un'Italia politica (e non solo politica) diversa.

5. L'altra osservazione, però, riguarda la cittadinanza politica, che dipende direttamente dagli attori politici. I partiti, i leader. In passato, nella prima Repubblica - e per quasi cinquant'anni - il 40% dei cittadini è stato all'opposizione senza possibilità di diventare maggioranza. Ma senza mai sentirsi straniera. E senza mai perdere la speranza. Allora, però, i partiti offrivano valori, identità, organizzazione, socializzazione. E ciò garantiva appartenenza, senso. Cittadinanza. Oggi non è più così. Anche se non si può dire che gli elettori del Pd non abbiano espresso il lor sostegno a questo progetto. Visto il risultato elettorale di un anno fa. Vista la grande partecipazione che ha caratterizzato le primarie. Semmai, il problema sta nello scarto fra un investimento tanto generoso e una risposta altrettanto povera. Da ciò la delusione, la secessione silenziosa. Per ri-conquistare gli esuli, i gruppi dirigenti del Pd dovrebbero rinunciare ai giochi di palazzo, a parlar di se stessi per "parlare nuovamente alle persone", come ha scritto Michele Serra. "Basterebbe una politica copiata da un noto estremista. Barack Obama", conclude un altro lettore. Ma forse anche meno. Una politica.


... continua con i messaggi di alcuni "esuli" ...

da http://www.repubblica.it/2007/02/rubric ... esuli.html
(4 marzo 2009)
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Gli esuli a volte ritornano

Messaggioda franz il 08/03/2009, 15:43

Gli esuli a volte ritornano

CAPITA, ogni tanto, che una Mappa - o una Bussola - susciti curiosità, interesse, magari irritazione. Anche se la reazione più consueta è normalmente più modesta. Perché io non so proporre soluzioni, lanciare parole d'ordine, indicare obiettivi. Mi sento a disagio, quando ci provo, anche nella vita privata. Preferisco cercare e guardare. Anche - anzi soprattutto - quel che sta sotto ai nostri - miei - occhi. Ma non ci facciamo caso. Più che altro per pigrizia. Oppure per auto-difesa. Perche genera disagio.

Così è avvenuto anche questa volta, di fronte a un fenomeno diffuso, che incontro da tempo fra le persone che frequento. Una sindrome, che colpisce elettori di sinistra: radicale, riformista e moderata. Si esprime attraverso un dispiacere senza nome, un senso di spaesamento mischiato a impotenza. E alla sensazione di solitudine. Di estraneità.

Ne aveva parlato Ezio Mauro, alcune settimane fa, evocando la "secessione silenziosa di quei cittadini che si disconnettono dal discorso pubblico e attraversano una linea che li porta in qualche modo nella clandestinità politica". Sono gli "esuli in patria" che ho cercato di descrivere e misurare nella mia Mappa di domenica scorsa. I quali mi hanno scritto in molti attraverso la redazione di Repubblica ma anche direttamente, al mio indirizzo e-mail dell'Università di Urbino. Per cui ho pensato di proporre alcuni dei messaggi che mi sono giunti a una lettura più ampia.

Perché, dopo averne parlato io, può essere utile far parlare direttamente loro. Gli esuli. Sentirne le ragioni, i sentimenti e i risentimenti. Le pubblico senza firma, per rispettare la privacy di chi ha voluto raccontarmi il proprio malessere personale, quasi come a un confessore (come mi ha scritto un lettore). Peraltro, per i motivi che ho suggerito, non intendo "dare risposte". Non ne sarei in grado. E non ho intenzione di trasformarmi da analista in terapeuta. D'altronde, l'analisi può funzionare da terapia quando ci permette di definire il contesto da cui origina il nostro disagio.

In questa sede mi limito ad alcune - poche - notazioni, che ricavo dai messaggi.

1. La prima osservazione è il senso sollievo - misto a un po' di rabbia - suscitato dal trovarsi, quasi, di fronte allo specchio. In grado di riconoscersi e di venire riconosciuti. Genera sollievo. Perché diventare "invisibili", anche se per scelta, è, comunque, frustrante. Come se ci si nascondesse non per scomparire ma, al contrario, per diventare più evidenti. Si divenisse invisibili per essere più visibili. Si scegliesse il silenzio per essere ascoltati. Per produrre un silenzio fragoroso.

2. Venire definiti e definirsi "esuli" può servire, quindi, a dichiarare il desiderio - e il diritto - di tornare. Di rientrare in patria. Non tanto nel Pd: ma nella società civile. D'altra parte, come scrive un lettore: "Oggi sono trasparente ai sondaggi ma aspetto di poter votare e di sicuro esprimerò il mio voto". Questo è un altro aspetto che ricorre in alcuni messaggi: solo una quota limitata degli esuli è fatta di astensionisti patologici. Pochi, peraltro, hanno cambiato voto, a favore dell'IdV. In maggioranza sono, invece, votanti "potenziali". Potrebbero votare ancora. Alcuni lo faranno di certo. Come annota un altro (e)lettore: "Il quadro degli ex-democratici descrive alla perfezione ciò che provo io (...) in questo periodo. L'unica cosa che faccio di diverso è votare ancora per il PD, tanto per arginare un po' la frana. Ma senza speranza. Il cuore però è sempre pronto a risollevarsi, nessun fuoco sul camino è mai completamente spento. Si deve solo soffiare sotto nel posto giusto".

3. Gli esuli, infatti, non sono stranieri. Si sentono semmai "ex cittadini" (come si descrive un lettore). Perché si sentono estranei ai valori e agli orientamenti pubblici dominanti. Espressi dai leader e dalle forze politiche che governano, con il sostegno della maggioranza degli elettori. Rispetto a cui gli esuli si sentono "altri".

Il che suggerisce due altre osservazioni.

4. La prima riguarda la democrazia. Che si fonda sulla libera espressione del voto. Sulle elezioni. Elemento necessario ma non sufficiente. Tuttavia, considerare la maggioranza con fastidio, guardarli come fossero degli abusivi, o reciprocamente: considerare se stessi "estranei": non aiuta. A conquistare la maggioranza. Occorre, almeno, interrogarsi sul perché i valori e gli orientamenti di cui si è portatori siano "minoritari". Senza dedurne, a priori, che ciò avvenga per ragioni di natura antropologica. Perché i "nostri", perché "noi" siamo migliori degli altri. Avessero pensato e agito in questo modo i cittadini americani dopo 8 anni di presidenza repubblicana, alla guida di Bush e dei teocon; se quelli che negli Usa da 8 anni - ancora 6 mesi fa - erano minoranza avessero scelto l'esilio - in patria - oggi alla presidenza non ci sarebbe Obama.
E poi a chi si sente naturaliter minoranza, in Italia, occorre rammentare che 3 anni fa non era così. Alle elezioni del 2006 lo schieramento di centrosinistra, l'Unione, conquistò la maggioranza. O forse no: pareggiò. Ciò significa, però, che in quel referendum pro o contro Berlusconi - come avviene in ogni elezioni dal 1994 ad oggi - metà del paese, di questo paese votò contro. E che metà degli italiani è, quindi, "potenzialmente" all'opposizione. Metà. Oggi, se i sondaggi dicessero il vero - e spesso non è così - le forze di opposizione, tutte insieme, raggiungerebbero il 35-37%: 13 punti percentuali e circa 5 milioni di voti in meno. In questa cifra il problema. Il vuoto, ma anche lo spazio intorno a chi vorrebbe un'Italia politica (e non solo politica) diversa.

5. L'altra osservazione, però, riguarda la cittadinanza politica, che dipende direttamente dagli attori politici. I partiti, i leader. In passato, nella prima Repubblica - e per quasi cinquant'anni - il 40% dei cittadini è stato all'opposizione senza possibilità di diventare maggioranza. Ma senza mai sentirsi straniera. E senza mai perdere la speranza. Allora, però, i partiti offrivano valori, identità, organizzazione, socializzazione. E ciò garantiva appartenenza, senso. Cittadinanza. Oggi non è più così. Anche se non si può dire che gli elettori del Pd non abbiano espresso il lor sostegno a questo progetto. Visto il risultato elettorale di un anno fa. Vista la grande partecipazione che ha caratterizzato le primarie. Semmai, il problema sta nello scarto fra un investimento tanto generoso e una risposta altrettanto povera. Da ciò la delusione, la secessione silenziosa. Per ri-conquistare gli esuli, i gruppi dirigenti del Pd dovrebbero rinunciare ai giochi di palazzo, a parlar di se stessi per "parlare nuovamente alle persone", come ha scritto Michele Serra. "Basterebbe una politica copiata da un noto estremista. Barack Obama", conclude un altro lettore. Ma forse anche meno. Una politica.


I MESSAGGI DEGLI ESULI IN PATRIA

CARO prof. Diamanti, sono uno degli "esuli" (...) descritto nella sua ultima "mappa". La raffigurazione che ha fatto del mio status di ex-democratico (è eccessivo dire: ex-cittadino?) è perfettamente aderente a tutto ciò che nell'intimo sento e penso. Perché non organizza un corso di recupero per la dirigenza (?) del PD? Sono certo che non tenterà neppure di farlo perché sa, come me, che si tratta di un'impresa affatto disperata. Cordiali saluti

ELETTORE di sinistra da sempre, volontario nei seggi per le primarie che elessero Prodi, ho trasalito leggendo l'articolo di Ilvo Diamanti, domenica 1 marzo; pensavo alla solita analisi sul voto degli Italiani, ma man mano che procedevo nella lettura mi sono interamente riconosciuto nella descrizione, la raffigurazione che egli fa dell'ex elettore PD non è affatto caricata, ma assolutamente fedele e precisa(...). Altrettanto centrata è la conclusione: gli ex-voto del Pd si recuperano restituendo fiducia nella politica, politica di "sinistra" (ricordate Moretti) aggiungerei io. Ma non sono più d'accordo con Diamanti quando dice che sarà difficile. Certamente difficile sarà per l'attuale classe dirigente del PD, ma non per un PD che tornasse a fare una politica di "sinistra", basterebbe una politica copiata da un noto estremista quale Barack Obama.

GENTILE dott. Diamanti, ho letto con molta attenzione il suo articolo su Repubblica di ieri 1° Marzo e mi riconosco molto in quello che scrive. La nausea per quanto sta accadendo in Italia, dal caso Englaro, alle ronde padane, agli attacchi quotidiani alla Costituzione alla non opposizione del P.D. mi fanno veramente sentire un apolide. La voglia di fuggire di andarsene all'estero, se solo le condizioni economiche lo consentissero, sarebbe fortissima. Anche io ho ridotto al minimo la lettura dei giornali, anche la visione di Ballarò si sta facendo rarefatta e perfino le discussioni con gli amici. Perché sempre si deve litigare (anche con gli amici) e non ci si sente più parte di un progetto comune. L'unica osservazione con la quale non concordo è il fatto che questa fuga dalla politica e dalla voglia di fare politica precluda anche ad una fuga dal voto. Oggi sono trasparente ai sondaggi ma aspetto di poter votare e di sicuro esprimerò il mio voto. Non posso non essere assolutamente consapevole che se non tentiamo un pur piccolo e fragile argine le conseguenze per la nostra società, per la nostra Democrazia, per le Istituzioni Repubblicane rischiano di essere disastrose. Credo, spero che questa consapevolezza sia patrimonio di quel popolo di soggetti che hanno votato a sinistra e che oggi sono di colpo scomparsi.

CIAO Ilvo, Ho letto la tua mappa(...). Il quadro che hai fatto degli ex-democratici descrive alla perfezione ciò che provo io (...) in questo periodo. L'unica cosa che faccio di diverso è votare ancora per il PD, tanto per arginare un po' la frana. Ma senza speranza. Il cuore però è sempre pronto a risollevarsi, nessun fuoco sul camino è mai completamente spento. Si deve solo soffiare sotto nel posto giusto.

EGREGIO Prof. Diamanti, sei io fossi cattolico direi che il suo articolo su Repubblica di oggi potrebbe essere stato scritto dal mio confessore, in violazione del segreto sacramentale. Lei descrive in modo assai preciso le sensazioni, le delusioni, le paure, le frustrazioni degli ultimi mesi e i punti di domanda che riguardano il futuro politico del Paese. Non posso tuttavia lasciar cadere la speranza che Franceschini riesca a comprendere appieno i pericoli che il PD sta correndo e possa far imboccare al partito la strada giusta per interpretare le istanze che vengono dall'Italia non berlusconiana. Ciò non in nome dell'antiberlusconismo ma dell'urgenza di ridare al Paese la speranza di poter presto tornare a collaborare da pari con gli altri partner europei meno arretrati, meno provinciali, meno bigotti del nostro. Sono un illuso? Forse. Per saperlo seguirò il lavoro di Franceschini e della segreteria giorno per giorno, inonderò di mail le redazioni dei giornali e lo stesso PD (pur consapevole del fatto che nessuno le leggerà!). Se dovrò concludere che il PD non risponde alle speranze riposte nell'idea del nuovo partito democratico, laico, progressista e riformista... sarò in un guaio serio: all'orizzonte vedo solo una scheda bianca, una resa incondizionata! Perdoni lo sfogo.

EGREGIO dott. Diamanti, ho appena terminato la lettura del suo articolo "Gli ex voto del Pd esuli in Italia". Mi ha sbalordito la sua capacità di tratteggiare uno stato d'animo che mi appartiene ormai da mesi, con una precisione estrema, quasi gliene avessi parlato privatamente. Non andando più a votare, non comprando più assiduamente i giornali, non seguendo più i dibattiti, odiando tutto ciò che lei ha descritto egregiamente (grande fratello, ronde, interferenza della Chiesa...), tanto più in una città come la mia, Milano, dove il berlusconismo è ormai sistema sociale oltre che di potere, mi sono sentito inizialmente in colpa, come quei dissidenti che anziché combattere in patria scelgono un esilio dorato. Dopo molte riflessioni, anche con amici, colleghi, conoscenti, non necessariamente delle mie stesse posizioni, ho capito una cosa molto importante: tutto ciò è per me una questione di rappresentanza mancata, nel senso di assenza di una sinistra capace di essere laica, attenta alle istanze sociali, ambientali, una sinistra alla Zapatero capace di perseguire una concezione della società forte, chiara, netta e non titubante tra le istanze della chiesa e quelle dei laici, tra quelle dei sindacati e quelle della grande industria, insomma tra tutti i poli tra cui è possibile oscillare. Se poi aggiungo che sono un laureato con uno stipendio da fame in un settore schiavizzato come quello dell'informatica, convivo con una persona che, pur essendo laureata, non fa altro che oscillare tra contratti atipici, che pur non avendone voglia mi trovo costretto a chiedere ancora aiuto ai genitori, potrà capire quanto sento su di me il fallimento della sinistra sui temi del lavoro, delle leggi laiche (vedi PACS, DICO o dir si voglia), della meritocrazia e potrà intuire quanta strada questa sinistra deve fare prima di riavere il mio voto.

SPETT.LE Redazione, Egr. Sig. Diamanti, ho letto con particolare interesse l'articolo dell'1.3.2009 a firma di Ilvo Diamanti sugli italiani "esuli nel proprio Paese". E' (...) una sorta di specchio in cui, riga dopo riga, vedevo riflettersi la mia precisa immagine. Non avrei potuto descrivere meglio (...) il mio stato d'animo, il mio "sentire", il mio disagio (che, tuttavia, so appartenere a molti). La domanda che vorrei rivolgere ai "dirigenti" del PD è questa: com'è possibile che non vi accorgiate di questo disagio? E' talmente evidente, è così macroscopicamente chiaro, questo disagio diffuso, da imporre domande scomode di fronte all'assenza totale di opposizione... E' talmente tangibile (anche in termini elettorali) questo rigetto per un partito così desolatamente "buonista" (odio questo termine!), un partito così vergognosamente acquiescente di fronte alle prove di regime, di fronte all'evidente e gigantesco conflitto di interessi in cui annega la nostra democrazia, che le cerebrali e inutili discussioni tipiche degli intellettuali di sinistra sanno ormai di "collusione".
I Partigiani, anch'essi "esuli" nel proprio Paese, dopo l'8 Settembre del 1943, rischiarono la vita per la nostra Libertà. Possono, i Dirigenti del PD, rischiare almeno la faccia per recuperare credibilità e urlare - finalmente urlare - che quella Libertà la vogliamo proteggere, anzi ormai recuperare?

EGREGIO prof. Diamanti, ho letto il suo articolo su la Repubblica (...) e vorrei portarle la personale testimonianza di un astenuto che proviene dalla sinistra. Il mio non voto è figlio dell'infelice esperienza del governo Prodi(...). Per quanto attiene ad alcuni elementi del profilo dell'astensionista che lei individua, mi permetto di dirle la mia personale posizione
(statisticamente non faccio testo, ma per quello che può servire ...): 1) Personalmente non mi colloco più a sinistra del PD: Ritengo infatti che in Italia la sinistra può vincere e governare solo se si smarca dall'estrema sinistra. E' il centro del segmento elettorale che bisogna conquistare, non le frange estreme che storicamente ci saranno sempre. E quando si imbarcano creano solo disturbo nell'attività di governo. 2) Mi riconosco nei valori della Costituzione. Ritengo che debba invece essere aggiornata la parte relativa all'organizzazione delle istituzioni (camera, senato, governo, giudici, ecc.) e troppo tempo si è perso nel farlo, per colpa di tutti. 3) A differenza degli astensionisti di ultrasinistra (tipo i girotondini per capirci), non amo la corporazione dei giudici intoccabili e improduttivi che non hanno mai responsabilità di nulla e attribuiscono tutte le colpe della cattiva amministrazione della giustizia solo al governo che non dà soldi. 4) Nutro, ormai a 53 anni, una sfiducia totale nei partiti. 5) Non guardo con insofferenza a quelli che votano al centrodestra. La vita mi ha insegnato che le mie sconfitte sono dipese solo da me e perciò non ho mai inveito contro chi ha vinto in seguito a mia incapacità. E' stato solo bravo, dove invece io ho fallito. E ritengo che l'opposizione non debba essere fatta dicendo solo no. 6) Non mi indigno verso chi vota Cappellacci e guarda Amici e il festival di Sanremo. Questi sarebbero atteggiamenti da sinistrorsi da salotto. Non confonda gli astensionisti con i radical chic (....). 7) Sì, mi sono indignato per l'influenza della chiesa sulla vicenda Englaro. Ho inviato un telegramma con le mie discrete condoglianze a Beppino. Oggi ho però paura di un referendum in quanto ritengo che sia ormai passata la
stagione delle vittorie come ci sono state per il divorzio e l'aborto. 8) Anche se non ho mai fatto politica e non voto più, continuo ad essere un appassionato osservatore di ogni fenomeno politico. 9) (....). Come le dicevo sono solo una persona normale con famiglia e un buon lavoro e ritengo che la politica possa essere vissuta anche da dietro le quinte, commentando i fatti del giorno in famiglia, la sera a
cena, in una assoluta quotidianità e ordinarietà. (...)

SALVE, ho avuto modo di leggere il suo articolo "Gli ex-voto del Pd esuli in Italia". Credo ritragga molto bene la situazione di molti miei amici (di sinistra e centro-sinistra) che vivono in Italia. Ed è anche per quei motivi che ho scelto di diventare un "rifugiato politico di lusso" andando a fare un dottorato nei Paesi Bassi. Aggiungerei anche due cose che accomunano queste persone, soprattutto quelle più giovani: A) Avere la consapevolezza di vivere in un paese fermo da anni, dunque ormai arretrato; sul versante dei diritti, dell'ambiente, dell'innovazione tecnologica, delle politiche d'immigrazione, dell'economia, dei trasporti, del welfare, della dignità del lavoro ecc... B) Vedere che l'Italia sembra sempre meno un paese europeo e sempre più l'Argentina di Menem. (...)

BUONGIORNO Professore, mi scusi se La disturbo, ma (...) il profilo da Lei tracciato non è altro che quello del sottoscritto e, immagino, non solo il mio. E' tutto proprio esattamente come Lei ha scritto, da controfirmare riga per riga. Vorrei però aggiungere 3 punti per darLe il punto di vista completo di due suoi fedeli lettori (la mia compagna ed io): 1°) il nostro amato Paese vive una paurosa carenza dei valori civici e sociali di base: la prova sta nell'abbrutimento palese della collettività, nel razzismo neanche più strisciante e nel correlato neofascismo ormai sdoganato, nella ruberia fiscale assurta quasi a valore, nella devastazione del territorio, per finire nella sporcizia (uso proprio questo termine) in cui facciamo vivere le nostre strade e i nostri luoghi pubblici. Se siamo così sporchi fuori, come possiamo essere puliti dentro? (...)
2°) quando penso che, se solo fossimo un popolo normale (non dico speciale, per carità), potremmo godere appieno della grazia che ci è stata regalata di nascere e vivere nel Paese più ricco di storia, arte e cultura; nel Paese che è stato tra i più beneficati dalla natura; nel Paese che era e sarebbe ancora meraviglioso; nel Paese che dovrebbe tenere le sue città d'arte come gioielli; nel Paese che potrebbe e dovrebbe essere, e di gran lunga, la nazione più visitata al mondo (altro che quinto o sesto posto) (...). E qui mi fermo... Quando penso a tutto ciò che potrebbe essere e a quello che invece è, mi prende veramente lo scoramento; 3°) ed eccoci al dunque. A 50 anni compiuti da poco, con un discreto patrimonio non frutto di eredità, potrei decidere di avere tempo libero e di utilizzarlo non rimanendo con le mani in mano, ma passando dalle parole ai fatti per dare il mio minimo contributo alla causa di un Paese migliore. Già, ma chi si fila un perfetto signor nessuno che, come altri 5 (massimo 10) milioni di omologhi, sinceramente non merita di finire i suoi giorni in questo tipo di Italia? Mi ricordo chi una volta diceva "non moriremo democristiani" e quasi quasi rimpiango quel tempo! Conclusione. Sa come finirà? La mia compagna (46 anni, di Cuneo, che se non sbaglio è la Sua città natale) ed io, entrambi del Nord, entrambi laureati, parlanti 3 lingue straniere, cui la vita non ha portato figli, stiamo qui solo ed esclusivamente fino a quando vivranno i nostri genitori. Salvo imprevisti, quando sarà, chiuderemo baracca e burattini, prenderemo il nostro capitale (accumulato legalmente e a tasse pagate) e ci sceglieremo un posto che sarà o comunque ci sembrerà più civile. Per come è oggi l'Italia e per quello che abbiamo visto in giro per il mondo con i nostri occhi, ci sarà solo l'imbarazzo della scelta.

DESIDERO perfezionare la descrizione tipologica che Ilvo Diamanti fornisce a proposito del quesito: dove sono finiti i voti del PD? Mi riconosco perfettamente nella descrizione di Diamanti. Odio gli Italiani che si riconoscono in questo governo. Mi sento un corpo estraneo in un paese che non mi piace e che non avverto come mio alveo culturale ed etico. Oggi più di prima. Ed odio almeno altrettanto il PD ed i suoi dignitari che pure ho votato. Io sono un socialdemocratico convinto e votavo per il PCI, non perché fossi un rivoluzionario trozkista, ma semplicemente perché quello era il nostro vero partito socialdemocratico laico e riformista già allora (ed era questo che già faceva paura). Il PD ha sacrificato l'identità socialista in questo paese e questo è intollerabile, né, credo, possa essere riparato. In tutto quello che Veltroni ha fatto dopo la batosta elettorale vi è stato il tentativo di spostarsi dove i voti conquistati collocavano il soggetto politico che aveva creato. E la tipologia del voto, dopo l'annichilimento della sinistra cosiddetta radicale (ma in realtà, fuori dalle etichette, la sola depositaria dell'identità socialdemocratica del paese), spingeva appunto il PD a rinnegare una collocazione, più che ovvia, nell'alveo socialista europeo, ad assumere atteggiamenti ambigui rispetto a scelte che avrebbero dovuto essere evidenti ed automatiche, tipo il caso Englaro, e ad accettare supinamente un'offensiva autoritaria senza precedenti nel dopoguerra. Il provvedimento squadrista che è passato tranquillamente in un parlamento che ricorda in modo preoccupante quello del 1922 sarebbe stato impensabile quando DC e PCI erano quelli che erano. Alla faccia del pericolo comunista e della corruzione democristiana. Che cosa c'entra tutto questo con le persone come me, che vivono nella convinzione che, come dimostra la crisi che stiamo vivendo, la socialdemocrazia è l'unica possibile forma di democrazia condivisa? Non pretendo di aver ragione, ma pretendo di votare un soggetto politico che risponda al mio modello. Il PD così com'è non avrà mai più il mio voto. Ed invito tutti quelli che la pensano come me ad andare comunque a votare, ma scrivendo sulla scheda elettorale "questo voto sarebbe andato ad un partito di sinistra riformista e laico, se in Italia ce ne fosse uno". Non vedo uscite, se non quelle di spingere fuori dal paese i nostri giovani (...). Sono in tutte le mie scelte abbastanza vicino ai comportamenti medi. Sono, cioè un uomo normale e sono arcisicuro che quello che dico è sostanzialmente condiviso da quelli che non voteranno più per il PD.

EGREGIO Professor Diamanti, (...) In poche righe le voglio raccontare la mia relativamente breve esperienze politica che, credo, sia comune a moltissimi delusi dal PD. Ho iniziato ad impegnarmi in politica nel 1995, quando Romano Prodi lanciò i "Comitati per l'Italia che vogliamo" e da quel momento, per oltre 10 anni, mi sono impegnato moltissimo per realizzare il progetto che tanti cittadini sognavano: la realizzazione del Partito Democratico; un partito nuovo basato su alcuni valori fondamentali figli della nostra Costituzione e di un senso "etico" dell'impegno politico.
Per 10 anni, assieme a molte altre persone, mi sono impegnato moltissimo, anche in maniera totalizzante, per cercare di vedere realizzato questo obiettivo anche contro i gruppi dirigenti di PPI, PDS, Margherita e DS che per molto tempo hanno remato contro. Nel 2006 questo sogno sembrò realizzarsi e speravo, come molti, che Veltroni riuscisse a realizzare il cambiamenti auspicato mettendo in pratica la "Bella politica" di cui ha sempre parlato e scritto.
Ben presto mi sono reso conto, a quanto pare assieme a milioni di altre persone, che in realtà nulla era cambiato, la classe dirigente era sempre la stessa e per giunta con meno valori ed etica del passato.
(...) A poco a poco, io come molti altri che hanno iniziato nel 1995 o che si sono avvicinati da poco al PD sperando in un reale cambiamento, si sono allontanati e si sono messi in disparte sapendo che, comunque, la loro opinione ed il loro contributo non sarebbe tenuto in considerazione (...).
Mi creda, io per primo ma certamente molti altri, avremmo la volontà di dare il nostro contributo, le nostre idee ed il nostro sostegno affinché questo progetto non si disperda e muoia di inedia, ma certamente è impensabile farlo per sostenere gli stessi che fanno strame dell'etica politica e che se ne servirebbero solo per riproporre se stessi. Pur non avendo condiviso le modalità con cui si è giunti alla sua elezione, mi auguro sinceramente che Franceschini abbia la capacità e la forza per promuovere un vero rinnovamento ed un rilancio del progetto politico. Sta a lui però dare un segnale che un reale cambiamento è in atto e che il contributo di quanti vogliono rinnovare la politica è non solo gradito (nessuno ti dice di no) ma seriamente considerato e valorizzato.

GENTILE Professor Diamanti, anche io mi sono riconosciuto tra "gli esuli in patria" e non so se gioire per il fatto che altri hanno provato la stessa sensazione. Due cose vorrei aggiungere: la prima è che la sensazione netta è che l'attuale dirigenza del Pd sia semplicemente inadeguata: culturalmente, tecnicamente e politicamente. (...)
La seconda è che, per assurdo, le persone ragionevoli non possono che sperare che Berlusconi viva abbastanza da definire con chiarezza chi dovrà essere il suo successore. Dato il triste spettacolo che anche la compagine politica di destra offre, credo si aprirebbero scenari veramente inquietanti in termini di tenuta democratica se si dovesse, dalla sera alla mattina, individuare un nuovo leader della destra che vada bene alla Lega ma anche a quello che resta di An.
Per finire, una nota di "ottimismo", suggerirei a tutti di rileggere periodicamente l'apologo di Italo Calvino sull'onestà nel paese dei corrotti (Repubblica, 15/3/1980).

GENTILISSIMO Prof. Diamanti, mi scuserà se la importuno, ma credo che la sua analisi su "Gli esuli a volte ritornano" - Repubblica, 4/3/2009 - è molto interessante. Mi domando: ma davvero gli esuli in Patria ritorneranno? Non dovrebbe la Patria, in questo caso la sinistra democratica e riformista del Pd, fare un profondo mea culpa? Siamo noi che ci siamo posti nello staus di esuli o siamo stati esiliati? Domande ovvie, forse, a cui dovrebbero essere date risposte ovvie. Evitando, se possibile, di inoltrarsi nel terreno minato della dietrologia politica. Siamo in molti, mi creda, a non volerne sapere più di politica dopo una vita di militanza, di impegno e di mortificazioni. Infatti, ci stiamo impegnando in altre attività: associative e culturali.
Nel sud, ed in particolar modo in Campania, abbiamo visto una intera generazione di dirigenti della sinistra e/o centro sinistra che una volta trasferitisi nei luoghi istituzionali li hanno trasformati in feudi, circondandosi di vassalli, valvassori e valvassini. In barba a quanto avevano predicato fino a qualche istante prima di essere eletti. Facendo, così, proliferare le cosiddette "Società Miste", al fine di moltiplicare i Consigli di Amministrazione e dare vita ad assunzioni gradite.
(...) Pertanto Professore, credo che i buoi siano scappati e che difficilmente ritorneranno nel recinto... se non cambiano i mandriani. Tutti. (...)

BUONGIORNO Professore, (...) l'articolo in oggetto: rappresenta l'identikit perfetto di un povero ex-voto del Partito Democratico. Non migliora la situazione ma almeno mi fa sentire partecipe di un sentire comune a una discreta percentuale di cittadini italiani. (...)
Leggendolo ho avuto il sospetto che lei ogni tanto si aggiri, invisibile, nel mio soggiorno durante i momenti di sconforto e di delusione che condivido con la mia dolce metà...

EGREGIO professore, ho messo un po' di tempo a metabolizzare il suo articolo sugli esuli in patria. Mi considero tra questi anche se, scrivendole, ho come la sensazione di conservare un residuo di speranza e di essere uno con un profondo disincanto ma... Insomma la situazione peggiore perché fa sperare che ogni refolo, ogni segnale seppur impercettibile si possa trasformare in un fiume in piena e che ci riconsegni quel poco di dignità oggi negletta. Mi chiedo con disperazione (il termine non le sembri retorico)come una democrazia come la nostra (con i suoi riti le sue istituzioni e suoi meccanismi) abbia potuto collassare a tal punto da consegnarci un Paese livido, cinico e tutto sommato più brutto. Mi chiedo come una grande tradizione quale quella di due partiti storici sia potuta collassare così rapidamente da consegnarci questo simulacro di partito quale oggi è il PD i cui riti non sono affatto diversi da quelli che si vorrebbero combattere. (...)
Resta insoluta l'altra parte quella del cuore, delle emozioni del disagio avvertito e senza soluzione.
Altri hanno scritto e denunciato la miopia di questo gruppo dirigente del PD che non si accorge(?) di questo disagio. La mia sensazione è che anche loro non sappiano che risposta dargli e ripetono le loro stanche liturgie perché non hanno altro da proporre in questo marasma (planetario?). Ora, in vista delle elezioni europee, lo stesso Franceschini non perde occasione di lanciare appelli per un voto utile.
Come se evocare lo spettro del "re del predellino" dovesse coagulare tutti gli scontenti i cacadubbi o gli esuli come li chiama lei. Non so se augurarmelo o sperare invece in una sana punizione faccia aprire gli occhi a questo partito senz'anima

GENTILE Redazione, l'articolo pubblicato da Ilvo Diamanti sugli elettori "assenti" del Pd centra perfettamente nel segno. (...) Trovo persino ingenuo suggerirvi di far leggere la mia come le altre mail che -immagino- riceverete, alla simpatica oligarchia del Pd che gioca il Risiko della politica sulla pelle degli elettori. Il disgusto è grande, perché siamo in tanti a non meritarci un Paese e un governo così: parlo di gente che, come nel mio caso, fa il suo dovere fino in fondo nel posto di lavoro che occupa (sono un docente liceale), paga le sue tasse fino all'ultimo centesimo, insegna ai figli e cerca di insegnare agli studenti valori come l'onestà e la rettitudine.
L'unica cosa che manca, nel profilo di Diamanti, è la grande simpatia che quegli stessi elettori hanno verso Obama e quanto sta facendo per il suo Paese, ricco di contraddizioni, sì, ma capace di nominare come presidente un uomo che ha una carica ideale così grande e che fa, semplicemente e pragmaticamente -come dicono gli americani-, "la cosa giusta" (che poi ovviamente ci riesca è un altro discorso: ma almeno ci prova).

CARO prof Ilvo Diamanti, leggevo stamane le impressioni di inizio marzo di molti (ex)-elettori pd... e ora non potevo non scriverle. Durante la lettura avevo quasi le lacrime agli occhi ed è tutto dire. L'amarezza colta in quelle parole mi ha fatto comunque sentire meno solo e meno lontano dalla realtà; grazie a ciò ho capito che la mia "battaglia" di pensiero non la combatterò in solitudine. Ho quasi trent'anni, da sempre diessino poi ulivista, radicale e poi pd perché Di Pietro non si può proprio e ora? Ne parlavo a casa proprio ieri (vivo solo ma nonostante Laurea e cose, il precariato mi impone di mangiare spesso da mamma) di queste cose e sono giunto a una conclusione: preferisco un partito al 15% laico, libero, riformista e veramente socialista che un partito al 20% che non mi rappresenta. Leggevo ancora tra le lettere dei lettori quella voglia di laicità e riformismo, ecco io mi unisco al coro. (...)
Sono anche io dell'avviso che la caduta della DC abbia liberato i cani e fatto scappare i buoi dal recinto verso la deriva autoritaria da sempre covata nel ventre de Bel Paese, ma come si fà a non vedere che il nostro è un paese a-normale? Fra poco arriveranno le provinciali e le europee, e io che farò? Ancora 'sto Pd? Di Pietro? Radicali? Non so proprio, ma come dice mamma "non buttare via il voto" e allora andrò al mio seggio a votare... contro o per qualcuno? Contro Silvio o per Dario? Se le dicessi che non vorrei più un cattolico nel Pd, passerei per estremista? per anti clericale? oppure come mi ritengo un social democratico che mette lo stato e le sue leggi dinnanzi a tutto? (...)

CARO professore, a proposito degli esuli che a volte ritornano, vorrei notare con molta discrezione che gran parte delle mail pubblicate sulla rubrica "bussole" eccetto una, si pongono con un atteggiamento di laicismo forte ed alcune sfiorano l'anticlericalismo. Mi piace molto l'ultima che si richiama fortemente alla socialdemocrazia e anche io mi definisco un socialdemocratico. Il problema del Pd è secondo me (io sono dottore in filosofia e storia) di non riuscire a coniugare la socialdemocrazia con il cattolicesimo. Questo in un paese come l'Italia dove è presente una forte identità cristiano cattolica è una grave pecca per un partito che vorrebbe governare democraticamente.
Le divisioni fra socialdemocrazia e cattolicesimo sono piuttosto di natura storica e derivano dagli steccati che si sono creati lungo il 900 piuttosto che di natura dottrinale. Anzi, credo che vi siano moltissimi punti di incontro fra le due posizioni. Purtroppo c'è chi vuole continuare a tenere distinti i due fronti e chissà per quali scopi. Non è la Chiesa che deve essere laica ma lo Stato.
Non lasciamoci cavalcare da chi come i radicali fanno dell'anticlericalismo il loro cavallo di battaglia. Le posso garantire che per un socialdemocratico i valori cristiani e quanto affermato dal Papa e dalla chiesa è fortemente apprezzabile. Ma pochi a sinistra vanno direttamente alle fonti. Il popolo della sinistra con l'aiuto di un giornale come la Repubblica dovrebbe imparare a conoscere meglio le fonti ecclesiastiche e scorgerebbe molte affinità. Come le ripeto sono un filosofo socialdemocratico e vado abbastanza per il sottile sulle questioni bioetiche, del materialismo storico, etc. e posso garantirle che stiamo facendo molto male alla nostra sinistra e all'Italia continuando a fare grandi battaglie anticlericali.
Le faccio una proposta di aprire sul suo giornale una rubrica di informazione cattolica gestita da un cattolico. Credo sia onesto. Invece il più delle volte ci troviamo di fronte a commenti e cronache sulle faccende della chiesa gestite da atei che non possono comprendere fino in fondo le posizioni della chiesa ne tanto meno illustrarle correttamente.

GENTILE prof. Diamanti, avrà ricevuto chissà quante lettere sul suo articolo relativo ai delusi del PD, ma voglio anch'io ringraziarla per la precisione con la quale ha saputo dipingere il nostro ritratto. (...) Sapere che si è parte di un gruppo, pur minoritario, dà un certo sollievo: fino a pochi giorni fa credevo infatti che le passioni e i pensieri che si agitavano in me fossero così solitari da essere incomunicabili, una sensazione molto frustrante. Lei ha saputo dar voce a un senso di estraneità che, per quanto mi riguarda, è divenuto acutissimo da quando il Pd non ha saputo prendere una posizione univoca sulla vicenda Englaro e sul testamento biologico. Trovo inoltre grottesco che a pochi mesi dalle elezioni europee non sia ancora chiaro se il Pd si siederà nella casa dei socialisti europei, naturale collocazione di tutti i partiti di centrosinistra europei siano essi al governo o all'opposizione. Il tutto per non creare attriti con i famosi "teodem" e non mettersi contro una Chiesa che è tornata ai livelli degli anni '50, quande protestava perché le turiste americane a Roma avevano i pantoloncini corti, ottenendo che fossero vietati. (...)
Sì, è questo il lato che mi fa sentire estraneo nel mio Paese, o se vogliamo concittadino solo di una parte minoritaria della popolazione: la cocciuta e virulenta ostilità di moltissimi Italiani allo Stato, alle tasse, alle regole, alla laicità, il loro attaccamento insopportabile all'ipocrisia per cui "si fa ma non si dice" ("Beppino Englaro poteva risolvere la questione in privato senza fare tanto clamore"), la loro totale indifferenza al tracollo del prestigio e della credibilità del Paese, della nostra patria, sotto i colpi di un cabarettista eletto allegramente per ben tre volte. Ecco: io non mi sento estraneo all'Italia, mi sento estraneo alla maggioranza degli Italiani. Non mi sento estraneo alla politica, mi sento estraneo alla concezione malata della politica che ha la società italiana. Cambierà? (...) Mi risulta che fossero italiani anche quelli che risollevarono questo Paese dalle macerie, anche quelli che votarono per la liceità del divorzio e dell'aborto, anche quelli che si scandalizzarono per il malcostume diffuso portato alla luce da Tangentopoli. Forse la società italiana va a stagioni, e gli ultimi quindici anni sono un freddissimo inverno.

EGREGIO Professore, la sua analisi sul sentimento di estraneità che pervade moltissimi cittadini di sinistra, persone normali, mediamente impegnati che, per semplificare, ci credono o meglio ci credevano (nell'idea, nella speranza, nel futuro, faccia Lei) è davvero azzeccata e precisa (...). Vorrei andare controcorrente e, sperando di non costituire una anomalia statistica, raccontare la mia storia, piccolissima. Ho 38 anni, elettore del PCI/PDS/DS/PD con una escursione nel PRI nel 1992 (voto disgiunto collettivo, in famiglia decidemmo di votare un po' PDS ed un po' PRI). Iscritto al PDS dal 1994, lunga esperienza nell'attaccar manifesti di notte, grosse arrabbiature e poche soddisfazioni in direzione. Insomma il militante medio, mediamente fregato, mediamente ignorato, mediamente tutto.
(...) Ieri (...) a me è tornata la voglia d'impegnarmi, di smetterla di guardarmi l'ombelico e dirmi alternativamente "quanto sono bravo, quanto son bello" oppure "quanto sono sfortunato, gli altri non mi capiscono". Siamo noi che non ci facciamo capire, anche chi non ha ruoli in un partito, anche chi è semplice cittadino o militante semplice. Se alle primarie un candidato prende il 70%, il secondo il 20% e gli outsider le briciole, la colpa non può essere solo di Veltroni, D'Alema e della Bindi. La colpa è anche di chi non ha votato persone nuove, idee nuove. Salvo poi lamentarsi. Votiamo persone nuove, idee nuove, è possibile farlo: ci sono liste di 20/30/60 persone per il consiglio comunale, per le circoscrizioni, non c'è solo il sindaco da scegliere. Torniamo a parlare (io l'ho appena fatto) con le persone, con chi non la pensa come noi, con chi crediamo che non la pensa come noi, potremmo avere anche qualche sorpresa.

GENTILE Professor Diamanti, (...) Anch'io ho votato Pd e ho partecipato a tutte le primarie. Probabilmente continuerò a farlo. Anche io sono esule, psicologicamente lontano dall'Italia di Berlusconi e fisicamente a Boston per il mio dottorato.
Le dico subito che il mio primo pensiero è quello di rientrare in Italia e riportare indietro questa mia esperienza e la mia nuova formazione. Insomma, sono scappato, ma non ne sono felice e mi piace guardare alla mia esperienza come a qualcosa che potrebbe servire a migliorare di un infinitesimo la bistrattata Università italiana, che da quaggiù appare come un enorme potenziale sprecato.
E' questo purtroppo un sogno che coltivo con i paraocchi. Rifiutandomi di guardare intorno. La frustrazione dell'elettorato pd, che ha così ben descritto, per me non si limita ad un sentirsi lontani dalla politica, dai partiti, dai meccanismi che regolano il potere. Ma è ormai degenerato in una più vaga sfiducia nelle persone in generale, negli italiani stessi.
(...) Io adesso mi riconoscerei solo in un partito che vuole cambiare gli italiani, che li accusi della loro deriva violenta e razzista, che li indichi come qualunquisti quali sono, ignavi, che preferiscono non
assumere posizione di fronte a temi scomodi (quel 75% di astensione al referendum pesa ancora come un macigno).
Questo mi si dirà non è possibile, ma, di nuovo, Barak Obama non ha fatto qualcosa di molto diverso: ha mostrato agli americani quanto loro, assieme a Bush, erano caduti in basso. E ha sempre detto: la mia
idea dell'America è diversa. Diversa da quello che gli americani hanno fatto e appoggiato negli ultimi 8 anni.
I giovani quadri del Pd si organizzano, si muovono, ma sono una copia patinata della segreteria nazionale. (...)
Dove sono i sogni? Le idee? Dov'è la società del futuro?
Smettere di litigare non basta più. Poteva essere sufficiente prima, quando qualcuno ancora pensava che le persone che votavano Pd erano meglio dei dirigenti, che gli italiani erano meglio dei parlamentari. Adesso serve qualcosa di molto più pesante, di molto più radicale, che richiami a un obiettivo e ad un sogno (...).

(4 marzo 2009)
www.repubblica.it
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
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