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sempre dall'HUFFINTON POST (oggi è particolarmente interessante)
Subito il congresso Pd, l'Europa non può attendere
di Francesco Boccia
Congresso. Non è un insulto, non è un'offesa, chiederlo non è lesa maestà. O almeno non dovrebbe mai essere percepito così nel Pd. Invece oggi assistiamo a una continua fuga dei vertici del mio partito che si scervellano per accampare scuse e scorciatoie: un giorno è lo Statuto (che, in realtà, tutela il confronto e non le scorciatoie); un giorno sono le primarie (che ben vengano, come qualsiasi atto di democrazia, ma come atto conclusivo del congresso); un giorno è "la minoranza che non ha voluto anticipare il congresso".
Vorrei sapere, intanto: chi non ha voluto anticipare il congresso? Quale presunta minoranza avrebbe sottoscritto un accordo e dove? I tanto bistrattati e rottamati caminetti sono stati forse riesumati? È ancora possibile confrontarsi e discutere in casa nostra o no? Io come tanti altri iscritti chiedo un congresso dal 5 dicembre, lo chiedo con insistenza.
Lo abbiamo chiesto formalmente in direzione e in assemblea il 18 dicembre, ma Matteo Renzi è sempre stato sfuggente parlando solo di anticipazione del voto. Che piaccia o no il 4 dicembre si è chiuso il nostro ciclo politico di questi ultimi 4 anni. I risultati del referendum costituzionale si possono ignorare, si può anche non fare un'analisi della sconfitta, ci si può nascondere dietro l'ennesimo discorso fingendo un mea culpa che nei fatti non c'è mai stato.
Ma la realtà è che il 4 dicembre è cambiato tutto, nel Pd e nel Paese. E una classe dirigente scaduta, un segretario scaduto, un'assemblea e una direzione scadute che hanno preso una sonora batosta alle urne dovrebbero solo avere il buon senso e l'umiltà di fare un passo indietro, aprire il congresso con qualche mese di anticipo e lasciare che siano gli iscritti e i militanti a decidere, sulla base delle mozioni in campo, quale sia la linea che il Pd deve seguire: dall'Europa, oggi priorità assoluta, alla modernità connessa all'economia digitale, dalle vecchie e nuove povertà, alla scuola, alle banche e ai risparmiatori, all'organizzazione stessa del partito fino alle alleanze.
Sull'Europa il Partito Democratico è chiamato alla sfida più grande e difficile degli ultimi cinquant'anni. Un congresso serio e profondo, per confrontarci su quale Europa vogliamo, senza slogan e con un pensiero lungo. A più velocità? Non sono convinto sia la strada giusta. Oggi alla politica è chiesto coraggio. Ci sono già troppe velocità: dalla moneta per alcuni, a Schengen per altri, alla Difesa con visioni diverse, dall'unione bancaria all'immigrazione, dal mercato unico al fisco, al welfare su cui ognuno fa quel che gli pare.
Un grande partito della sinistra europea non può non avere l'ambizione di sfidare i populismi e i cosiddetti sovranisti, ripartendo da una solida convinzione di sinistra: persona al centro e mercati sempre e comunque regolabili perché il capitalismo è sempre riformabile. Su come farlo possiamo avere ricette alternative e un congresso serve proprio a questo.
Su fisco, welfare e, soprattutto, sull'economia digitale Juncker, da destra, ha preso solo tempo, confermando la sua scarsa volontà di cambiare il corso della vita istituzionale dei centri dell'elusione fiscale in Europa, come l'Irlanda o il suo Lussemburgo. Anche il nostro segretario, da sinistra, ha girato la testa dall'altra parte. Draghi, in un accorato appello, ricorda l'irreversibilità dell'Euro. Un appello condivisibile, ma va difeso con la politica.
E la politica deve scegliere: o si sta con l'Europa e la si crea davvero o si finisce con Salvini, Grillo, Le Pen, Wilders e altri emergenti. Quell'appello rischia, senza scelte politiche forti verso gli Stati Uniti d'Europa, di essere spazzato via dai tanti sovranisti. L'Europa va ricostruita ed esiste una sola via: moneta, mercato, fisco, welfare e difesa comune.
Confronto, centralità della persona, riformabilità del capitalismo, autocritica dopo una sconfitta, contendibilità del partito, sono comportamenti e principi distintivi dei democratici che ci hanno tenuto insieme dall'Ulivo del 1995 fino a oggi. Oggi il Pd sembra avere smarrito il senso di comunità. Il Congresso serve a unire, a ritrovarci sotto una stessa bandiera, e consente a chi vince di avere la certezza del sostegno di tutti gli altri. Renzi deve solo e semplicemente ritrovare il coraggio del confronto. Senza paura, credendo nel Pd e nella funzione della sinistra.
Graziano Delrio
Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti
La nostra Europa
L’Europa è stata teatro degli orrori più profondi. L’Europa, come abbiamo più volte sostenuto negli ultimi mesi, ha bisogno di essere rilanciata, di recuperare il senso della sua unione e dei suoi valori fondanti. Il tema della piena occupazione, della rigidità di bilancio, del rilancio degli investimenti, così come quello della condivisione di un grande progetto sull’immigrazione, sono questioni urgenti che vanno poste all’ordine del giorno di una discussione franca e leale. Rimane urgente l’obiettivo di togliere la spesa investimenti dal Fiscal Compact. E di rivedere, come il Governo Renzi ha proposto, i parametri di calcolo di valori — come l’output gap — che poi influenzano gli obiettivi.
Tuttavia sarebbe sbagliato non riconoscere che su molte questioni, dalle scelte ambientali, agli obiettivi sulla scolarizzazione, alle questioni della partecipazione, della formazione o del welfare, l’Europa rappresenti per noi un punto di riferimento e un potenziale grande alleato. Sul piano culturale noi siamo una comunità pienamente intrisa degli stessi valori e degli stessi obiettivi che hanno disegnato e disegnano ancora le politiche europee. Certo, un’Europa che non guarda con attenzione al Mediterraneo non può affrontare con lungimiranza i grandi temi migratori e le aspettative dei popoli emergenti e quindi le sfide per conservare e rafforzare il bene più prezioso ottenuto dal disegno europeo: la pace.
Il Mediterraneo è un pilastro dell’Europa, un pilastro storico e culturale. Uno spazio di pace e di incontro a cui oggi ci si riferisce semplicemente come ad un luogo di morte e di difesa. Non possiamo, su queste situazioni, rincorrere i populismi. Dobbiamo discutere anche con asprezza in Europa, ma non possiamo indebolirne la sua forza nella percezione dei cittadini, per nessun motivo al mondo. Sia per ragioni di affinità culturali, sia per ragioni di opportunità. In un mondo globalizzato solo la scala europea può consentirci un ruolo nello scenario internazionale. Meno di venti anni fa i cittadini italiani hanno accettato di pagare una tassa di scopo per entrare in Europa: abbiamo dissipato in così poco tempo un senso civico tanto profondo? Non dobbiamo e non possiamo cavalcare l’anti-europeismo: per rispetto ai nostri padri, ai nostri valori e al futuro dei nostri figli.
Dobbiamo contribuire a ravvivare e ricostruire quella speranza, modificando le storture che per un eccesso di burocrazia e tecnicismo si sono create in Europa. E a proposito di burocrazia dobbiamo fare i conti con noi stessi e con le nostre contraddizioni. Se stiamo in Europa dobbiamo starci con le regole europee. Se sovrapponiamo alle regole europee quelle italiane creiamo un ginepraio impossibile da decifrare e un contesto assolutamente non competitivo per le nostre imprese.
Se siamo in Europa usiamo solo le regole europee. Per le nostre imprese, giustamente preoccupate da operazioni di dumping sociale di alcuni Paesi dell’allargamento, in realtà dovremmo rivendicare più Europa, perché solo con regole comuni sul mercato del lavoro o sulla fiscalità riusciremmo a garantire eque condizioni di competitività alle nostre imprese nei mercati europei. Dobbiamo allora valutare se non sia necessario, per uscire da questa situazione ambigua, riprendere decisamente il percorso che ci ha caratterizzato fin dalle scelte dell’Ulivo e chiedere di accelerare i percorsi che ci portano ad avere un’Europa comune su molte più materie: a partire dalla difesa in un mutato contesto internazionale dei rapporti tra USA e Russia, alla omogeneità fiscale, alla regolazione dei rapporti di lavoro. La questione europea può essere certamente una cifra culturale distintiva di un Partito democratico pienamente inserito nella grande famiglia socialista europea.
pianogrande ha scritto:Tanto "panchina" non direi visto che è impegnato piuttosto intensamente a livello operativo.
Basta polemiche, in Direzione ci diremo tutto in faccia
Mi spiace che queste ore siano segnate anche da polemiche interne dentro il PD. Voi direte: “Matteo, dov’è la novità? Sono ormai mesi segnati da polemiche interne dentro il PD”. È vero. Ma sicuramente crea un certo stridore vedere che nel mondo si discute di Trump ed Europa, da noi invece la polemica è legata alla consueta battaglia interna su questioni appassionanti (forse) solo per i diretti interessati.
Le cose stanno più o meno così: dopo il referendum di dicembre, proponiamo il congresso. Ci viene detto di No: “Meglio evitare la conta, altrimenti sarà una rissa”. E sicuramente ve lo ricordate: alcuni di noi – a cominciare dall’elegante Giachetti – non gradiscono questa posizione. Ma noi accettiamo in nome della pace interna e manteniamo la scadenza congressuale per il dicembre 2017 come previsto dallo Statuto. Venti giorni dopo, colpo di scena, ci viene chiesto di fare primarie per “rendere contendibile la linea del partito”, altrimenti sarà scissione. Scissione? E perché mai? Uno si domanda come si possa cambiare idea in venti giorni. Ma in nome della pace interna accettiamo anche le primarie. Quando diciamo di sì, ci viene comunicato – rigorosamente via interviste e via talk-show – che non bastano neanche le primarie.
È abbastanza difficile orientarsi in questo labirinto di polemiche per gli addetti ai lavori, figuriamoci per un cittadino fuori dai giochi della politica. Penso che chi vota PD non meriti questa polemica continua, le minacce di scissione, la lotta costante di chi ogni giorno spara ad alzo zero. Ma penso anche (lo dico a molti di voi che mi scrivono scandalizzati in queste ore e vi sono grato per il vostro affetto) che la migliore risposta non sia la rabbia, ma un sorriso: chi conosce come sono andate le cose non può arrabbiarsi per queste faccende. Torniamo a sorridere, amici: arriverà il giorno in cui ci misureremo sulle proposte e lì le polemiche improvvisamente spariranno.
Siamo pronti a qualsiasi confronto pubblico e democratico che sia rispettoso delle regole e dello Statuto interno. Accettare le regole e il risultato di un congresso o delle primarie è il primo passo per rispettare una comunità; e come ci insegna la storia anche recente, non sempre è accaduto.
Di tutto questo discuteremo lunedì 13 febbraio nella direzione già convocata. Ho chiesto alla presidenza del partito di allargare gli inviti anche a tutti i parlamentari e tutti i segretari provinciali. Almeno ci parliamo chiaramente, in faccia, di tutto. Rigorosamente in streaming, sia chiaro. Ma fino ad allora occupiamoci dei problemi veri, non delle risse interne.
(dalla e-news)
mariok ha scritto:Non mi sembra che Del Rio sia particolarmente attratto dalla lotta che si scatenando nel PD.
Forse perché è una persona seria. O forse per una tattica....
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