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Il Paese dell'immobilità

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Il Paese dell'immobilità

Messaggioda ranvit il 02/02/2017, 8:25

Una volta tanto concordo con Giannini! :roll:

02 febbraio 2017

Il Paese dell'immobilità

Capita che anche la ragione abbia i suoi torti. È il paradosso della politica. Il resto del mondo si interroga sulle devastazioni avviate da Trump, l'unico leader del pianeta che per nostra disgrazia realizza le promesse fatte prima del voto. La piccola Italia si incarta sulle elezioni anticipate volute da Renzi, l'unico leader d'Europa che per sua sfortuna non è ancora riuscito a farsi incoronare da un voto.

Dunque Giorgio Napolitano ha perfettamente ragione, quando dice che in un Paese civile si dovrebbe arrivare alla fine della legislatura, perché troppe volte abbiamo fatto ricorso allo scioglimento anticipato delle Camere. Ed ha ancora più ragione quando aggiunge che per togliere la fiducia a un governo servono solide argomentazioni politiche, non stolide rivendicazioni personali. Ma il presidente emerito ha anche torto, quando sottovaluta l'involontario contributo alla crescita dei populismi derivato proprio dagli ultimi quattro governi consecutivi mai eletti. Del tutto legittimi sul piano della democrazia costituzionale, ma un po' meno legittimati su quello della democrazia rappresentativa.

Anche Matteo Renzi ha ragione, quando osserva che dopo un pronunciamento netto come il referendum è necessario ridare al più presto la parola al popolo sovrano. Ed ha ancora più ragione quando aggiunge che l'unico modo per evitare il caos è andare a votare puntando al 40%. Ma ha perfettamente torto, per altre mille ragioni uguali e contrarie.

Dal punto di vista dell'interesse nazionale, sarebbe inaccettabile andare a elezioni anticipate solo perché conviene a lui, che è atterrito dal fantasma dell'oblio politico-mediatico. Dopo il folle azzardo sul referendum, sarebbe solo un altro giro di roulette russa. Dal punto di vista dell'interesse della sinistra, sarebbe intollerabile accelerare la rincorsa alle urne senza prima passare per un congresso del Pd. Nonostante l'ultima disfatta, Renzi ha mancato tutte le occasioni possibili per una riflessione seria e sincera sugli errori del passato e sulle sfide del futuro. Zero contenuti, zero titoli. A Rimini ha richiesto ai suoi il solito "atto di fede": seguitemi, sono il vostro unico capo. Sul web ha rilanciato i suoi soliti proclami sulle tasse: "Rottamiamo Dracula". Non aveva giurato "più cuore, meno slide"? Qual è, al di là degli slogan, la carta dei valori del nuovo riformismo italiano, di fronte alle imperiose "letterine" dell'Europa e alle velenose tossine dell'America?

Sul fronte opposto, Pierluigi Bersani ha altrettanta ragione, quando invoca il congresso e avverte l'ex premier che con questo strappo il Partito democratico muore. Ed ha ancora più ragione quando aggiunge che con il meccanismo elettorale lasciato sul campo dalla Consulta la quota dei capilista bloccati (e quindi dei parlamentari nominati) lievita addirittura al 70%. Ma ha anche torto perché non vede che il Pd (più che morto), forse non è mai nato, e poi perché usa la prospettiva di un nuovo Ulivo (l'unico esperimento ambizioso tentato dal centrosinistra dopo la caduta del muro di Berlino) come una minaccia da brandire contro Renzi, e non come un'opportunità per ricostruire un'area progressista in macerie. E la stessa cosa, volendo, si può dire del D'Alema scissionista e "pronto a tutto". Qual è stato, al di là della tattica, il contributo della minoranza del Pd alla costruzione di una nuova piattaforma programmatica? Su quali basi politico-culturali dovrebbe nascere l'ennesima Cosa Rossa, alternativa o a sinistra di Renzi?

La somma delle ragioni e dei torti produce una pericolosa entropia. Lo spread a ridosso di quota 200 ne è il riflesso automatico. L'Italia è paralizzata, di fronte a un bivio insidioso. Può imboccare la strada voluta da Renzi (il voto anticipato). In questo caso rischia l'ingovernabilità. Con il Legalicum non vince nessuno: l'asticella del 40% è fuori dalla portata di tutti. Servono coalizioni spurie, o ammucchiate secondo i punti di vista. Se arrivano primi i Cinque Stelle, può nascere solo un governo Grilloleghista, cioè il Fronte Popolare contro l'euro e contro l'Europa. Se arriva primo il Pd, può nascere solo un governo Renzusconi, cioè il Fronte Nazareno delle larghe intese. Due prospettive: l'una rovinosa, l'altra inquietante.

L'Italia può invece imboccare la strada voluta da Mattarella/Napolitano (il prosieguo fino alla fine della legislatura). Ma in questo caso, nei precari equilibri politici che viviamo, l'Italia rischia l'immobilità. Che può fare di qui al 2018 il pur volonteroso Gentiloni, con l'ombra di un Banco toscano alle spalle e la spada di Bruxelles sulla testa? Non molto. Una manovrina di pura sopravvivenza, per evitare la procedura d'infrazione. Non una riforma fiscale, non un piano per la crescita, forse neanche il doveroso decreto contro la povertà.

Siamo sospesi, tra l'ingovernabilità e l'immobilità. Siamo in bilico, tra l'eterno riposo (vedi la tragedia dell'Hotel Rigopiano) e l'eterno ritorno (vedi la farsa del Mattarellum-Porcellum-Italicum-Legalicum). Qualunque sia la scelta che faremo, la condizione è ideale per far lucrare nuove rendite elettorali alle forze anti-sistema. Cioè ai Grillo e ai Salvini, i "trumputinisti" tricolori. I più bravi a scommettere sul peggio, perché nessuno sembra capace di contrapporgli il meglio.
TagsArgomenti:legge elettoralePdProtagonisti:Matteo RenziPier Luigi Bersanigiorgio napolitano
© Riproduzione riservata 02 febbraio 2017

Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Il Paese dell'immobilità

Messaggioda ranvit il 02/02/2017, 8:42

Chi cerca l'uomo forte non vuole autoritarismo ma autorità

02 febbraio 2017

Ha sollevato dibattito e qualche polemica la Mappa pubblicata, nei giorni scorsi, dove ho segnalato quanto sia diffusa, fra i cittadini, la domanda di un "Uomo Forte". D'altronde, da oltre 10 anni (per la precisione: dal 2004), i sondaggi dell'Osservatorio Demos ricostruiscono la tendenza di questo orientamento. Che è sempre apparso molto ampio. Ma, fino ad oggi, o meglio: fino a ieri (novembre 2016), non aveva mai raggiunto una misura tanto estesa: 8 italiani su 10. Otto su dieci significa, praticamente, (quasi) tutti i cittadini. Come (e forse più che) nelle precedenti occasioni, i dati del sondaggio hanno suscitato reazioni accese. Sono, infatti, stati considerati un segnale inquietante, che richiamerebbe una minaccia "autoritaria". Alcuni hanno evocato perfino Mussolini. In Italia, d'altronde, l'esperienza del ventennio non è così lontana. E pesa ancora nella memoria nazionale. Forse più della resistenza.

Eppure, come (e forse più che) nelle precedenti occasioni, occorre essere chiari. L'Uomo Forte, che ottiene tanti consensi fra gli italiani, non è un nuovo Mussolini. Un Duce. Non manifesta una richiesta di "autoritarismo". Piuttosto: di "autorità". Cioè: di una leadership dotata di legittimità. Questa domanda, nel corso degli anni, si è progressivamente "personalizzata". Indirizzata sulle persone. Perché i partiti e le associazioni di rappresentanza hanno perduto i legami con la società. Mentre le istituzioni di governo - locale, centrale, e ancor più, europee - sono apparse sempre più lontane. "Ai" e "dai" cittadini. Burocrazie anonime. Distanti e indistinte. Così, fra i cittadini è cresciuto il distacco dalla dimensione pubblica. Al "senso civico" è subentrato il "senso cinico". Mentre - per citare Bauman - si è diffusa "la solitudine del cittadino globale".

Così, la prospettiva di "un Uomo Forte al governo" è divenuta tanto "popolare". Che non significa "populista". Ma lo può diventare, se non trova risposta nei partiti. Nelle istituzioni democratiche, nelle organizzazioni di rappresentanza politica e sociale. Se i cittadini restano soli. Davanti agli schermi. E dialogano, interagiscono e reagiscono con il mondo soprattutto attraverso la rete. Mediante i PC, i tablet e, soprattutto, gli smartphone. Basta guardarsi intorno, nei luoghi pubblici, per trovarsi circondati da persone che camminano oppure stanno ferme, ma con gli occhi fissi sullo smartphone. Mentre le dita battono sui tasti. Una "folla solitaria" (per echeggiare il noto saggio di David Riesman, pubblicato nel 1950).

"Affollata" di persone che sono sempre in comunicazione con gli altri, con il mondo. Ma sono sempre sole.

Meglio non stupirsi, allora, se cresce la domanda di un Uomo Forte. "Autorevole" non "autoritario". Un "leader", non un "dittatore". Questa società è allergica ai vincoli e alle regole. Figurarsi se accetterebbe figure troppo "forti". Basta vedere che fine ha fatto Silvio Berlusconi. Le difficoltà che incontra Matteo Renzi. La "forza" del leader sta nella capacità di dare volto e voce ai cittadini. In cerca di valori, ma anche di persone in cui riconoscersi. Per non sentirsi deboli. E disorientati.
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Re: Il Paese dell'immobilità

Messaggioda Robyn il 02/02/2017, 11:44

Questo è possibile solo nell'ambito di una coalizione magari fatta prima del voto perche si è visto in Italia che il passo è breve dal leader autorevole a quello autoritario.In una coalizione il partito di minoranza sarebbe in grado di frenare le fughe in avanti della leadership.Allo stesso tempo però i partiti più piccoli devono anche essere responsabili perche una cosa e frenare le fughe in avanti altra è porre dei veti a cose giuste.Se ad ex il partito di minoranza pone un veto all'invasione della Rai TV fà bene fà male se ad ex pone un veto sù cose giuste.Per mettere d'accordo la coalizione serve un programma comune da realizzare nella legislatura.Altra cosa importante per frenare le fughe in avanti e la legittimazione dei parlamentari dagli elettori perche se non c'è legittimazione il parlamento e i partiti che sostengono la leadership e l'esecutivo sono più deboli rispetto a questi
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Re: Il Paese dell'immobilità

Messaggioda Robyn il 02/02/2017, 12:32

La leadership autorevole e non autoritaria è possibile solo se c'è un partito che riesce a frenare le fughe in avanti della leadership.Se il partito che sostiene la leadership è più debole nei confronti della leadership questo sarà succube della leadership quindi da come si capisce è un problema di equilibri.Per fare in modo che il partito riesca ad influenzare la leadership i suoi eletti in parlamento devono avere legittimazione dagli elettori.In sintesi la leadership anziche agire autonomamente ascolta le diverse pluralità del partito,le associazioni,il paese,le minoranze,non è in breve la democrazia verticale dall'alto verso il basso ma dal basso verso l'alto è il partito wiki.Ad ex nel labour party è invalsa la regola che non si parla più alla gente dall'alto verso il basso ma con la gente.In Gran Bretagna le leadership non hanno tutto il potere che hanno le leadership in Italia perche si vota per i partiti.Naturalmente in Italia fin quando non ci sarà il collegio nessun partito avrà la maggioranza per cui sono necessarie coalizioni che frenano le leadership.Se io faccio le primarie per la leadership e non eleggo i parlamentari creo uno squilibrio in cui sarà la leadership a dominare con fughe in avanti
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Re: Il Paese dell'immobilità

Messaggioda pianogrande il 02/02/2017, 17:18

L'uomo forte è il modo più economico ed efficiente di fare politica.

Tutto il resto sono solo ostacoli, perdite di tempo, bastoni fra le ruote, lacci e laccioli, aule sorde e grigie...

Il problemino di fondo è solo uno: l'uomo giusto.

Finora questo paese, da Benito a Bettino, da Silvio a Matteo, ha avuto uomini forti o aspiranti tali che o non sono stati all'altezza o sono diventati i padroni del paese e si sono fatti gli affaracci loro.

Il problema è, insomma, il povero genere umano che non partorisce uomini perfetti ma solo esseri umani con le loro debolezze e le loro tentazioni e le loro limitate capacità.

Allora la politica è un lavoro di squadra.

la squadra non funziona?

La politica non funziona.

Ci sono alternative?

No!

Bisogna far funzionare la squadra.

Non ne siamo capaci?

Peggio per noi.

Ci attacchiamo al tram e continuiamo ad inseguire facili chimere che ci fanno solo perdere tempo e risorse e ci fanno prendere solenni e tragiche fregature il cui nome popolare qui non riporto ma attiene ad una parte del corpo ben precisa.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Il Paese dell'immobilità

Messaggioda Robyn il 02/02/2017, 17:31

renzi con il suo modo di fare non ha solo compromesso le riforme costituzionali che devono rifuggire da qualsiasi velleità ma anche la democrazia del maggioritario pensando che poi si possa fare quello che si vuole e deprimere le minoranze.Allora che si fà?come si fà a costruire una leadership che abbia un minimo di rilievo senza che ci siano fughe in avanti?Se si fanno le primarie e non si permette di scegliere i rappresentanti è normale che ci sia uno squilibrio.Il partito wiki è forse un partito al passo con i tempi
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Re: Il Paese dell'immobilità

Messaggioda mariok il 06/02/2017, 17:42

Grillo, D'Alema e soci, continueranno a dire che con la vittoria del No non è successo niente?

Lo spread vola a 200 punti ai massimi dal 2014. Anche la Francia paga l’effetto Le Pen

Pubblicato il 06/02/2017
Ultima modifica il 06/02/2017 alle ore 16:03

È inarrestabile oggi la corsa al rialzo dello spread. Il differenziale di rendimento tra il Btp e il Bund vola a 200 punti base, toccando questa soglia per la prima volta da febbraio 2014. Il tasso sul decennale del Tesoro cresce al 2,35%. E va male anche in Francia, dove il differenziale con il titolo tedesco arriva a 74 punti, mai così alto da quattro anni a questa parte. La causa è da ricercare nella candidatura di Le Pen, che se dovesse vincere chiederebbe l’uscita dall’euro.


Dopo una fase di forte volatilità, le Borse europee peggiorano e diventano negative. Sui mercati sfuma l’effetto positivo della chiusura in rialzo di Wall Street di venerdì scorso e si fa sentire il peso delle incertezze politiche europee. A Milano l’indice Fts Mib segna un -1,5%. A Piazza Affari soffrono le banche con Unicredit giù del 3,9% nel giorno dell’aumento di capitale. Male anche Bper (-3,7%), Banco Bpm (-2,8%), Ubi Banca (-2,3%), Finecobank (-2,1%), Unipol (-2,26%), Mediobanca (-1,8%) e Leonardo (-2,1%). Tiene invece Telecom (+3%) spinta dall’apprezzamento degli analisti per i conti e il piano, bene anche Saipem (+0,9%). Francoforte scende dello 0,76% e Parigi dello 0,44% mentre Londra guadagna lo 0,09%.

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Chiusura in lieve rialzo per la borsa di Tokyo. L’indice Nikkei ha concluso le contrattazioni in rialzo dello 0,31% a 18.976,71 Punti, 58,51 punti in più rispetto alla chiusura di venerdì. L’effetto positivo si è registrato anche a Wall Street, che venerdì ha chiuso in netto rialzo. Il Dow Jones ha guadagnato 186,55 punti, lo 0,94%, A quota 20.071,46 Ma nell’ottava è sceso dello 0,1%. L’S&P 500 ha aggiunto 16,57 punti, lo 0,73%, a quota 2.297,42. E nella settimana è salito dello 0,1%. Il Nasdaq è salito di 30,57 punti, lo 0,54%, a quota 5.666,77 Portando il bilancio settimanale a un +0,1%. Il petrolio a marzo al Nyme
« Dopo aver studiato moltissimo il Corano, la convinzione a cui sono pervenuto è che nel complesso vi siano state nel mondo poche religioni altrettanto letali per l'uomo di quella di Maometto» Alexis de Tocqueville
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