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il conto che paga l’Italia

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

il conto che paga l’Italia

Messaggioda ranvit il 31/12/2016, 8:34

Le chiavi di potere del club franco-tedesco e il conto che paga l’Italia
–di Roberto Napoletano 30 dicembre 2016

Le sofferenze sono diventate lo stigma del banking europeo e dietro di esse ci sono le chiavi di potere di un club della finanza internazionale dove tedeschi e francesi comandano, gli spagnoli si “aggiustano”, e gli italiani pagano il conto di tutti. Pagano le colpe loro (sono tante, di ieri e di oggi) ma anche quelle degli altri. Questa è la verità e questo è ciò che accade da troppo tempo intorno al tavolo europeo della geopolitica della finanza internazionale. Mercoledì scorso è venuto al Sole 24 Ore il ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, e mi ha sorpreso perché è uscito dall’abito consueto del tecnico, ha parlato senza mezzi termini di opacità della Vigilanza della Banca centrale europea, ha detto che in Italia le banche sono diventate «il veleno di Dio» e il referendum costituzionale «il veleno della politica».

Insomma, per farla breve: a suo parere sulle banche si è consumata una guerra civile dove tutto è stato strumentalizzato. Lo ascolto e penso che dice cose che hanno fondamento, ma mi domando che cosa aspetta a prendere l’iniziativa politica per rimettere in discussione un sistema europeo di sostenibilità del business bancario e di vigilanza fondato su basi malferme: un’idea pericolosa di leverage (indica l’adeguatezza del capitale rispetto agli attivi bancari) che si accontenta del 3% e, cioè, del livello di leverage di Lehman quando è saltata e su un’altra idea, addirittura mortale, che riguarda la “tutela” dei level 3 assets (derivati e titoli complessi privi di un prezzo di mercato e di un meccanismo per determinarlo) e permette così alle banche francesi e tedesche di custodire nella pancia dei propri bilanci questa specie di “Zombie Bank” senza che ciò comporti esigenze di maggiore capitalizzazione a fronte di assets certamente illiquidi e di difficile valutazione.

Tutta l’attenzione europea è invece concentrata sulle sofferenze bancarie e, ovviamente, su quelle italiane che sono realmente alte ma custodiscono garanzie reali, a partire da beni immobili senza bolla speculativa, beni reali e quindi liquidabili, ovviamente in perdita, ma appunto reali e liquidabili. Il risultato di questo pensiero dominante è un modello di business sbilanciato sulla raccolta a medio termine dove nessuno si occupa del “marciume” dei level 3 assets e di porcherie simili e tutti finiscono con il convincersi che il problema europeo sono le banche italiane e le loro sofferenze, di quelle che hanno problemi seri ma comunque gestibili (Mps, Popolari Venete, Carige e altre minori) e, cosa ancora più grave, anche di quelle sane e internazionalizzate che, però, devono fare i conti con il loro fardello di sofferenze, a volte frutto di ruberie manageriali che non possono rimanere impunite, più significativamente frutto della grande crisi recessiva conosciuta da questo Paese.

Per cui può accadere che la Nouy, presidente del Consiglio di Vigilanza della Bce, si lasci andare a commenti quanto meno indelicati arrivando a dire che l’unico italiano che rispetta si chiama Carlo Messina, ceo di Intesa Sanpaolo, la prima banca italiana uscita in testa negli stress test europei, una capitalizzazione che consentiva ipoteticamente un anno fa di lanciare un’Opa congiunta su Société Générale e su Crédit Agricole.

Quella stessa banca, diretta da Messina, ha visto ridurre le sue quotazioni per cui sta sempre un bel po’ meglio delle consorelle francesi, certo, ma paga il prezzo di un sistema italiano che non conta niente intorno al tavolo della geopolitica della finanza internazionale e, quindi, non riesce a fare apprezzare adeguatamente un leverage di 6,8 punti, pari a più del doppio del coefficiente europeo prescelto del 3%, e la pressoché totale assenza di derivati complessi più o meno malati in portafoglio.


Intorno al tavolo c’è posto per tutti ma non per noi
Questa è l’Europa che la politica italiana non può più accettare perché alla fine di tale circolo vizioso lo scenario più probabile è che le banche francesi si comprino quelle italiane, finanzino, ben pagando, l’acquisto di Made in Italy e, magari, mobilitando unitariamente il sistema francese, fatto di credito, compagnie assicurative, tecnocrati e politica, arrivino a stringere il collo anche alle Generali. Mentre tutti parlano delle sofferenze bancarie italiane, le banche spagnole sono riuscite a farsi autorizzare l’acquisto degli immobili dati in garanzia dai loro clienti con partite incagliate, hanno ripulito il monte-sofferenze e hanno collocato in un’altra posta di bilancio (Repossessed assets) quegli stessi immobili che poi rivenderanno al momento giusto. Risultato: con il consenso di tutti gli uffici europei hanno fatto “sparire” le sofferenze e il circuito sano del credito è tornato ad alimentare l’economia reale e la crescita in genere. Come si vede intorno a quel tavolo c’è posto anche per gli spagnoli, ma non per noi, e per questo fa bene Padoan a parlare di opacità della Vigilanza della Bce. Se c’è una ragione vera per la quale dopo il “suicidio referendario” del governo Renzi è arrivato l’esecutivo Gentiloni, è proprio quella di gestire politicamente in Europa l’emergenza bancaria. Dietro di essa, c’è il nocciolo vitale della questione politica del sistema Italia, bisogna che la squadra si riconosca e scenda finalmente in campo, si faccia sentire sul terreno di gioco non urlando a bordo campo o a tempo scaduto, perché tutti si rendano conto che quello delle banche italiane è un problema serio ma risolvibile, non è il problema delle banche europee, perché ognuno ha il suo di problema. Francesi, tedeschi, spagnoli non possono dare lezioni a nessuno, ed è troppo comodo (oltre che immorale) fare in modo che il mondo si occupi solo di noi, si deprezzi il patrimonio finanziario e industriale italiano e, per questa via, fare sì che i “padroni” del club europeo ci comprino a prezzi di saldo.
Questo è lo sforzo con il quale si deve misurare la politica italiana. Gentiloni e Padoan sono avvertiti, lascino che il Parlamento si occupi di fare qualcosa che assomigli a una legge elettorale, ma se vogliono dare una ragione vera di esistenza al loro governo si occupino della questione bancaria europea e dimostrino di contare qualcosa dove si prendono le decisioni. Basta tappare buchi o urlare a scoppio ritardato, si concepisca e si realizzi una strategia adeguata per una forza di sistema: l’Italia metta in discussione il criterio adottato di leverage, ponga un veto sulle sofferenze se non si parla parallelamente e non si disciplinano in modo differente anche i level 3 assets o i “repossessed” spagnoli. Si usino le carte giuste e, superato l’esame Mps, potremo ancora giocarcela e ripartire, ma sia chiaro a tutti che ci muoviamo sul filo spinato di un terreno impervio e dobbiamo evitare di tagliarci. Ora, non dopo, perché il tempo è già colpevolmente scaduto da un pezzo.

I partiti tradizionali e il guscio vuoto del potere
Non smetteremo mai di ringraziare il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, per essere riuscito a far votare dal Parlamento in un giorno e mezzo la legge di stabilità e per avere dato in sette giorni al Paese un governo nella pienezza dei poteri, quello possibile ovviamente non il migliore dei governi possibili. I partiti, quelli tradizionali, continuano a occuparsi di distribuzione del potere, ma non si accorgono che quel potere è diventato un guscio vuoto, lottano tra di loro ma non avranno nulla in mano e perdono il contatto con l’anima popolare del Paese e il disagio sociale che lo attraversa. Non si occupano del rischio di essere tutti travolti dal “superpotere tedesco” o da quello francese altrettanto presente ma più mimetizzato, e si avviano a fare la fine dei capponi di Renzo di manzoniana memoria che si beccavano tra di loro invece di pensare a salvarsi dalla padella un po’ come avveniva prima dell’unificazione nazionale tra mazziniani, azionisti, fautori dei Savoia e così via. Mi viene in mente una frase che Nino Andreatta ripeteva spesso e attribuiva a Aldo Moro: questo Paese è come un castello di carte, si può pensare di costruire un altro piano del castello, ma bisogna posare le carte con grande delicatezza se no crolla tutto. È la debolezza del sistema, basta un soffio di vento e va tutto a carte quarantotto. Ebbene, questa delicatezza è quella che deve avere il governo Gentiloni in casa e in Europa se vuole dare un senso compiuto a questi mesi di governo per ritrovare la forza (smarrita) del sistema Paese. Se si accorge che non è possibile, che non ci sono le condivisioni necessarie, è meglio che alzi subito le mani, i problemi sono troppo pesanti per continuare a galleggiare.

Trump ha vinto su Hillary, pochi volevano che vincesse, quasi nessuno lo aveva capito. Colpisce questa incapacità di cogliere che cosa si agiti per davvero nella pancia della pubblica opinione, emerge una visione elitaria, a volte autoreferente a volte no, ma sempre distante da quello che sente a torto o a ragione la gente. Ho già scritto più volte che viviamo i tempi di una specie di rivoluzione francese diffusa dove ogni élite nazionale fa i conti con i suoi sans-culottes. Il pragmatismo politico di Trump può sorprendere, la spinta alla ripresa degli Stati Uniti con cure forzate di più investimenti e meno tasse e il ritorno del superdollaro possono fare bene al Made in Italy, le incognite sull’uomo e sulla forte spinta nazionalista non vanno sottovalutate anche se, è bene ricordarlo, sono confinate dentro la cornice rassicurante di una democrazia matura e di un forte sistema Paese. Che cosa è stata la Brexit se non un moto di protesta degli inglesi (giusto? sbagliato? di sicuro rischioso) che non ne vogliono sapere più di stare dentro un club dove i padroni sono i tedeschi in condominio con i francesi. A guardarsi intorno, senza veli e giri di parole, i fatti e le cose si mostrano a occhio nudo e sono, a volte, più agevoli da capire. Chi si è accorto che la Cina è balzata al secondo posto, dopo gli Stati Uniti, per la spesa nella difesa militare? Non è ancora un’economia di mercato, ha un problema gigantesco di democrazia, ma vuole giocare sempre di più la sua partita geopolitica, vorrà dire qualcosa certo, ma soprattutto bisognerà tenerne conto. Assistiamo al ritorno della Russia, via Trump e via Erdogan, come superpotenza globale e, in un anno, ha riconquistato Aleppo e offre alla comunità internazionale un cessate il fuoco. Non si sa quanto durerà, ma la Russia ha fatto la sua parte.

Tutto cambia, l’Europa resta immobile
Tutto cambia, l’Europa resta immobile, si prepara a una tornata di elezioni politiche nazionali, forse solo per questo sarebbe bene che l’Italia restasse fuori da tale quadro di incertezza politica. Il vecchio club non regge più e, da europeisti convinti, diciamo che la musica deve cambiare, dalle banche alla politica estera, fino agli investimenti. Trump, Brexit, il Papa venuto dalla fine del mondo, il ritorno della Russia, un’incapacità diffusa delle leadership politiche tradizionali di interpretare l’anima della pubblica opinione per vari motivi che vanno dall’elitarismo alla profondità della crisi economica. Ce ne è abbastanza da avere i brividi per l’anno nuovo che ci aspetta. Dentro la piccola e vecchia Italia si avverte quella incapacità politica di cogliere ciò che si agita nella pancia e nella testa degli italiani. Eppure c’è un solo modo per arginare la forza (vera) di ribellione che monta con il populismo e fornire quelle risposte sociali che il populismo chiede ma non potrebbe dare. Occorre recuperare le ragioni profonde del nostro sistema Paese, lo spirito dei De Gasperi, degli Einaudi, degli Andreatta e dei Moro, ma anche dei Costa e dei Di Vittorio. Per ascoltare, comprendere e guidare la protesta, dare risposte al disagio sociale, e fare capire anche alla Nouy che Carlo Messina non è l’unico italiano che meriti rispetto. Forse, dietro quest’uomo che ha fatto di Intesa Sanpaolo una banca europea di prima grandezza per capitalizzazione, nonostante i mille lacci e lacciuoli italiani, c’è il segno identitario di un sistema Paese che ha solo bisogno di riconoscersi per farsi rispettare. Senza strappi, con i piedi piantati nella terra, e un disegno di cambiamento che si proietti nel tempo, diventi patrimonio condiviso della politica (chiunque governi) e appartenga alla coscienza profonda del Paese. Buon anno a tutti.

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti ... d=AD6DIeMC
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Re: il conto che paga l’Italia

Messaggioda trilogy il 31/12/2016, 10:37

ranvit ha scritto:Le chiavi di potere del club franco-tedesco e il conto che paga l’Italia
–di Roberto Napoletano 30 dicembre 2016


Insomma, per farla breve: a suo parere sulle banche si è consumata una guerra civile dove tutto è stato strumentalizzato. Lo ascolto e penso che dice cose che hanno fondamento, ma mi domando che cosa aspetta a prendere l’iniziativa politica per rimettere in discussione un sistema europeo di sostenibilità del business bancario e di vigilanza fondato su basi malferme: un’idea pericolosa di leverage (indica l’adeguatezza del capitale rispetto agli attivi bancari) che si accontenta del 3% e, cioè, del livello di leverage di Lehman quando è saltata e su un’altra idea, addirittura mortale, che riguarda la “tutela” dei level 3 assets (derivati e titoli complessi privi di un prezzo di mercato e di un meccanismo per determinarlo) e permette così alle banche francesi e tedesche di custodire nella pancia dei propri bilanci questa specie di “Zombie Bank” senza che ciò comporti esigenze di maggiore capitalizzazione a fronte di assets certamente illiquidi e di difficile valutazione.


[..] Basta tappare buchi o urlare a scoppio ritardato, si concepisca e si realizzi una strategia adeguata per una forza di sistema: l’Italia metta in discussione il criterio adottato di leverage, ponga un veto sulle sofferenze se non si parla parallelamente e non si disciplinano in modo differente anche i level 3 assets o i “repossessed” spagnoli.[..]

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti ... d=AD6DIeMC


E' un discorso complicato :mrgreen: Comunque quello che sta dicendo l'autore, è che le regole europee sono inflessibili sui crediti deteriorati, mentre sono molto tolleranti sui "Level 3 Asset", che in sostanza sono derivati finanziari non quotati sui mercati. Il valore di questa roba viene messo a bilancio dalle banche con criteri che non sono il massimo della trasparenza. Il risultato è : meno rischio = meno capitali e riserve da accantonare, che si traduce in: maggiore redditività sul capitale investito.

Per dare un'idea quando ci fu il crollo della Lehaman, tutte le banche avevano asset level 3 a bilancio valore =100% , il giorno successivo il risultato contabile era valore = 0% Trilioni di dollari di attività fittizie vaporizzati in un giorno .

In Europa gli asset level 3 in percentuale sul capitale delle banche sono il 15% in Italia, il 34% nelle banche tedesche, il 20% nelle banche francesi. Dato che la vigilanza è accomodante sulla rischiosità di questi asset, le banche tedesche e francesi possono fare più attività con meno capitale. Quindi per migliorare la solidità e la redditività delle banche italiane bisogna ridurre il credito alle imprese e aumentare le operazioni in prodotti derivati 8-)
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Re: il conto che paga l’Italia

Messaggioda mariok il 31/12/2016, 10:44

Belle e condivisibili parole, che però non tengono conto dei motivi per i quali siamo ridotti così.

Eppure basta guardarsi intorno, vedere cosa esprimono gli attuali player della nostra politica, da Berlusconi a Salvini, da Grillo a Bersani, fino allo stesso Renzi, per spiegarci perché "intorno a quel tavolo c’è posto anche per gli spagnoli, ma non per noi"

bisogna che la squadra si riconosca e scenda finalmente in campo, si faccia sentire sul terreno di gioco non urlando a bordo campo o a tempo scaduto

quale squadra? urlare a bordo campo o a tempo scaduto è questo ciò che hanno fatto e sanno fare tutti

E' passato il fiscal compact, l'accordo di Dublino sull'immigrazione, il bail in con la firma di quelli che oggi urlano contro l'Europa che hanno contribuito a rendere quella che è

Altri come Grillo, come è tipico da parte degli incapaci, sbraitano (ovviamente da fuori campo) evocando improbabili uscite dall'euro.

Lo stesso Renzi, l'unico che ha provato a mostrare i muscoli quando era in campo, ha finito con l'accontentarsi di qualche decimale di deficit in più da spendere in chiave elettoralistica.

E' questo quello che siamo. Perché lamentarci se gli altri ne approfittano? Sono loro i "cattivi" o noi gli incapaci?
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Re: il conto che paga l’Italia

Messaggioda ranvit il 31/12/2016, 11:08

Perché lamentarci se gli altri ne approfittano? Sono loro i "cattivi" o noi gli incapaci?


E' indubbio che siamo noi gli incapaci! Troppo presi a guardarci l'ombelico e a litigare tra noi!

MA....non credo sia lungimirante da parte dei Paesi del nord europa approfittare delle ns ataviche carenze (siamo un Paese a maggioranza di cialtroni)..... prima o poi finisce male....ma non solo per noi!
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Re: il conto che paga l’Italia

Messaggioda trilogy il 03/01/2017, 15:02

mariok ha scritto:
....E' questo quello che siamo. Perché lamentarci se gli altri ne approfittano? Sono loro i "cattivi" o noi gli incapaci?


senatore Domenico Scilipoti: l’esponente di Forza Italia, divenuto un fan berlusconiano dopo la fuoriuscita dall’Italia dei Valori assieme al collega Antonio Razzi, ha aggiunto un nuovo incarico al suo cursus honorum politico.
È stato infatti nominato vicepresidente della commissione scienze, tecnologia e sicurezza della Nato; è stato inserito anche nella commissione, sempre in seno alla Nato che dovrà occuparsi dei rapporti con l’Ucraina. :D

fonte: http://www.corriere.it/cronache/17_genn ... 8e9f.shtml
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Re: il conto che paga l’Italia

Messaggioda pianogrande il 03/01/2017, 22:46

trilogy ha scritto:
mariok ha scritto:
....E' questo quello che siamo. Perché lamentarci se gli altri ne approfittano? Sono loro i "cattivi" o noi gli incapaci?


senatore Domenico Scilipoti: l’esponente di Forza Italia, divenuto un fan berlusconiano dopo la fuoriuscita dall’Italia dei Valori assieme al collega Antonio Razzi, ha aggiunto un nuovo incarico al suo cursus honorum politico.
È stato infatti nominato vicepresidente della commissione scienze, tecnologia e sicurezza della Nato; è stato inserito anche nella commissione, sempre in seno alla Nato che dovrà occuparsi dei rapporti con l’Ucraina. :D

fonte: http://www.corriere.it/cronache/17_genn ... 8e9f.shtml


Siamo noi gli incapaci e ci scegliamo degnissimi rappresentanti della nostra incapacità nell'ambito internazionale.

Dopo aver mandato Scilipoti a rappresentarci alla NATO, vorrei guardare in faccia tutti i politici che, negli ultimi decenni, hanno blaterato sull'Italia "rispettata nel mondo".
Fotti il sistema. Studia.
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Re: il conto che paga l’Italia

Messaggioda ranvit il 07/01/2017, 19:26

Germania, l'autocritica di Gabriel accusa la Merkel: "Con cieca austerità una spaccatura nella Ue non è più impensabile"
Intervista del vicepremier a Der Spiegel, nell'anno in cui i tedeschi andranno alle urne per il nuovo Bundestag e il nuovo governo: "Insistenza sui conti in ordine ha portato rischi politici"

di ANDREA TARQUINI

BERLINO - "L'insistenza tedesca per una politica di austerità nell'eurozona ha reso l'Europa più divisa che mai pima d'ora, e una spaccatura dell'Unione europea non è più inconcepibile". La durissima accusa alle politiche scelte dalla cancelliera Angela Merkel non viene da economisti critici né da sinistre radicali: per la prima volta, a pronunciarla è il vicecancelliere Sigmar Gabriel in persona, leader della Spd (socialdemocrazia, partner di minoranza dei conservatori Cdu-Csu nella Grande coalizione al potere in Germania) e superministro dell'economia.

Gabriel ha reso queste dichiarazioni in un'intervista all'influente settimanale di Amburgo Der Spiegel. "Gli strenui, duri sforzi di paesi come Francia e Italia di ridurre i loro deficit e debiti sovrani hanno aperto anche spazio a rischi politici", sottolinea Sigmar Gabriel. E si spiega con un esempio: "Una volta ho chiesto alla Cancelliera, quale alternativa secondo lei sarebbe più costosa per la Germania. Primo, concedere alla Francia di avere mezzo punto percentuale in più di deficit, o secondo, avere Marine Le Pen quale futura presidente della Repubblica francee? Fino ad oggi, la Cancelliera ancora mi deve una risposta".

Le dichiarazioni di Gabriel a Der Spiegel evidenziano le forti divergenze interne nella Grande Coalizione. Tra la Spd che chiede più attenzione a una politica di investimenti e i cristiano conservatori (cioè la Cdu di Angela Merkel e il suo partito fratello bavarese Csu) secondo i quali la disciplina fiscale e di bilancio è più importante per dare solide fondamenta alla crescita economica.

Gabriel è ritenuto il più probabile candidato a cancelliere della Spd, nelle elezioni politiche federali che i terranno nella Repubblica federale di Germania nel settembre prossimo, a regolare fine di legislatura,

Alla domanda, se egli veramente creda di poter conquistare più consensi degli elettori tedeschi con una politica di maggiore transfer di liquidità tedesca ad altri paesi membri della Ue, il vicecancelliere ha risposto: "So che questa discussione è estremamente impopolare...ma so anche in quale condizioni l'Unione europea si trova oggi. Non è più impensabile che si spacchi. Se ciò dovesse accadere, i nostri digli e nipoti ci malediranno, perché la Germania è il paese che trae i maggiori benefici, più di ogni altro membro della Ue, dall'esistenza dell'Unione. I maggiori benefici sia economici sia politici".

http://www.repubblica.it/esteri/2017/01 ... 155581093/
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Re: il conto che paga l’Italia

Messaggioda mariok il 12/01/2017, 21:31

LA GERMANIA E NOI
Il boom tedesco? Per l’Italia non è una buona notizia

Crescita record per l’economia (+1,9%), bilancio pubblico in surplus, consumi in forte aumento. Ma per le economie deboli dell’Eurozona non ci sarà effetto trascinamento
di Danilo Taino, nostro corrispondente

BERLINO - Le ottime notizie dall’economia tedesca – quasi in boom tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 – non sono necessariamente buone per l’Italia. Anzi. L’Ufficio statistico federale della Germania calcola, in via preliminare, che l’economia tedesca sia cresciuta dell’1,9% l’anno scorso: soprattutto che nell’ultimo trimestre del 2016 il Pil sia cresciuto dello 0,5% rispetto ai tre mesi precedenti. Si tratta della crescita annua maggiore in cinque anni (nel 2010 e nel 2011, però, l’economia era in qualche modo “drogata”, recuperava dal crollo del 2009 seguito alla crisi finanziaria). Come risultato, il bilancio pubblico del 2016 dovrebbe registrare per il terzo anno consecutivo un surplus (dello 0,6%).
Prospettive positive
Nel 2016, la spesa pubblica è aumentata, anche per sostenere l’arrivo dei profughi. Soprattutto, però, l’economia tedesca ha visto forti consumi privati, che hanno contato per il 53,5% dell’intera attività economica. Secondo un po’ tutti gli analisti, le prospettive per il 2017 sono altrettanto buone: gli economisti del gruppo finanziario Allianz prevedono un più 1,7% quest’anno. I consumi interni dovrebbero crescere ancora, anche perché si prevede che l’occupazione – già oggi ai livelli massimi dalla riunificazione del 1990 – aumenterà di 300-400 mila posti di lavoro. La debolezza dell’euro sul dollaro, inoltre, dovrebbe favorire le esportazioni, quest’anno già a livelli record.
Effetto paradosso sull’Eurozona
Grazie a un animale del genere, le economie deboli dell’Eurozona hanno potenzialmente il vantaggio di essere trascinate, cioè di potere esportare di più in Germania. Il loro problema, però, è politico. In questo quadro di crescita, molto difficilmente il governo di Berlino (seppur impegnato nella campagna elettorale dell’autunno prossimo) imposterà una politica di maggiore stimolo di bilancio, come invece chiedono molti partner europei, Italia in testa. Con la disoccupazione ai minimi e un mercato del lavoro in alcuni settori già sotto tensione, con il rischio di bolle immobiliari in qualche città, con l’inflazione all’1,7% e di fronte a una politica monetaria della Bce estremamente espansiva, è quasi impensabile che il prudente governo tedesco prenda misure di ulteriore stimolo fiscale. Anzi, è molto probabile che aumenti la pressione sulla Banca centrale europea affinché inizi a uscire in fretta, già da aprile, dalla politica monetaria non convenzionale in coso, che cioè Mario Draghi renda nota esplicitamente l’intenzione di terminare in tempi non lunghi gli acquisti di titoli sui mercati e inizi un rialzo dei tassi d’interesse. Anche questa - il maggiore costo del denaro - una possibilità non positiva per l’economia e i conti pubblici italiani. Ci avviciniamo a un passaggio nel quale le divergenze tra le economie più forti e quelle più deboli nell’Eurozona possono riverberare in divergenze politiche.
@danilotaino
12 gennaio 2017 (modifica il 12 gennaio 2017 | 16:29)
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Re: il conto che paga l’Italia

Messaggioda trilogy il 12/01/2017, 21:49

Futuro dell'euro? Tra 10 anni la moneta unica potrebbe non esistere più...
Inviato da Marco Berton il Mer, 11/01/2017 - 10:51

Il futuro dell'euro non è roseo. Tanto che entro 10 anni la moneta unica potrebbe essere solamente un lontano ricordo.

Dichiarazioni dalle tinte forti che negli ultimi anni abbiamo sentito più volte e che sinceramente rischiano di lasciare il tempo che trovano, soprattutto quando arrivano da semisconosciuti blogger alla disperata ricerca di click sulla rete.

Ma in questo caso no: la dichiarazione arriva da un soggetto che possiamo definire senza dubbio autorevole. Parliamo del candidato alle elezioni presidenziali francesi, Emmanuel Macron, che in un intervento accademico presso la Humboldt University di Berlino ha tracciato un futuro a tinte cupe per l'euro.

Macron Emmanuel"L'euro potrebbe non esistere tra dieci anni, soprattutto nel caso in cui Parigi e Berlino falliscano nell'opera di sostegno all'unione monetaria" ha dichiarato Macron che ha rincarato la dose sottolineando come il sistema attuale abbia favorito, e continui a favorire la Germania a discapito di un numero crescente di Stati più deboli.
Macron è stato ministro dell'Economia sotto la presidenza del socialista Francois Hollande, fino a quando si è dimesso per creare un movimento politico proprio ed è ora candidato indipendente alle prossime elezioni presidenziali francesi.

"Dobbiamo riconoscere che l'euro è un progetto incompleto e che non potrà durare ancora a lungo senza profonde ed incisive riforme" ha sottolineato il politico. "L'euro non ha rappresentato un'integrazione internazionale completa a livello di sovranità, capace di opporsi al dollaro e alle sue regole. Non ha inoltre favorito una naturale convergenza tra i diversi stati membri".

Secondo Macron la Francia ora deve implementare profonde riforme del proprio mercato del lavoro e rinnovare il proprio sistema educativo per favorire la crescita. Allo stesso tempo, però, la Germania deve accettare che vengano fatti investimenti massicci accantonando la politica dell'austerità all'interno dell'intera area euro. In caso contrario l'euro avrà il tempo contato.

http://www.finanzaonline.com/notizie/fu ... %A0-679139
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